Elodea – Confluenze (VREC)

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Fiume in piena che scava nelle profondità dell’anima alla ricerca di un suono mutevole e costante che nel pop suonato e congegnato a dovere si ritrova a fare i conti con le esperienze e le forme desuete di una modernità mai diretta e conclamata, ma piuttosto soppesata, sospinta e lieve ad intrecciare i vissuti con l’amore, le energie di un qualcosa che non c’è più con il nostro divenire, il nostro stare al mondo. Il disco di Elodea racchiude al proprio interno la passione per una musica che non si vuole porre dei limiti. Notevoli le collaborazioni presenti in tutti i pezzi proposti, ricercando quel senso di appartenenza alla terra che nelle nove tracce ascoltate si fa bellezza affascinante e stagionale in un intreccio di cantato che passa con bravura dall’inglese all’italiano fino al confluire di pezzi simbolo come Nina cantata con Omar Pedrini o Quanto tempo è con Riccardo Maffoni per un disco che fa dei legami indissolubili la propria chiave di lettura. 


Carmelo Amenta – L’arte dell’autodistruzione (Altipiani/BarbieNojaRecordings/Audioglobe/Believe)

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Lettere d’amore mai spedite e lacerate al suolo della modernità per una musica viscerale consumata nell’attimo appena trascorso e intrisa di significati e atmosfere dark, oscure che rimandano ad una new wave post ’80 e affacciata vigorosamente a suoni che abbracciano i Marlene Kuntz dell’ultimo periodo dove le poesie in dissoluzione si sposavano con suoni arpeggiati, incalzanti e a tratti distorti ed esplosivi. Il nuovo di Carmelo Amenta è un pugno allo stomaco, un grido d’amore sofferto che si consuma nell’attimo dell’attesa, nel momento in cui non esiste più nessuna certezza per il domani. Una musica d’insieme capace di incanalarsi nelle sofferenze di chi non riesce più ad alzarsi, di chi non ha più la forza per combattere. Fuori da ogni accozzaglia di progetto ammiccante L’arte dell’autodistruzione è per primo bisogno essenziale nell’avere, ancora una volta, con sempre maggiore necessità in Italia, dischi di questo livello. Soffuse ricerche, sperimentazioni ambigue, bellezza oscura esplosa, inadatta ad ottenere il risultato sperato, ma piena di quella linfa vitale che rende ancora unico il ricordo di una musica di grande qualità. 


Felpa – Tregua (Sussidiaria/Audioglobe)

album Tregua - Felpa

Continuano le elucubrazioni sonore di Daniele Carretti, continuano all’insegna della sperimentazione notturna in grado di trasportare l’ascoltatore attraverso mondi lontani, contando sul senso di appartenenza con un qualcosa di latente e soprattutto interiore capace di scardinare l’immediatezza di una musica d’autore aggiungendo sostanze in post rock e delay ambient regalando alla scena distorsioni e sintetizzatori capace di concludere un’ipotetica trilogia discografia partita con Abbandono, proseguita con Paura e arrivata a Tregua in un sodalizio con un respiro profondo che abbraccia tutto il tempo per come lo conosciamo. I testi sono diretti, semplici, ma non banali, si sposano bene con la musica che accoglie passando facilmente da atmosfere shoegaze fino ad incontrare i silenzi d’autore e la calma apparente che ricorda i lavori di Santo Barbaro o del solista Pieralberto Valli. Le canzoni proposte sono intrise di significati naturali, Svegliarsi, Ancora, Illumina, Dormire sono solo alcuni dei momenti più interessanti di un disco che chiude un cerchio, ma apre la mente a tutto ciò che per noi può essere segreto, nascosto e celato quotidianamente agli occhi.

Me, the other and. – 404: human not found (Seahorse Recordings/Audioglobe)

Sperimentale progetto d’apertura elettronica in grado di coniugare l’etereo vagare del tempo con lo strato coscienzioso che apre a finestre di dipartite in un solitario abbraccio al mondo in decadenza. Misantropia verso l’animo umano che affiora nelle tracce di questo progetto di lontananza, progetto che raccoglie le menti e le idee di Paolo, Chiara e Lorenzo attraverso un uso consapevole di apparizioni e stati catatonici che sfiorano gli ambienti e le diffuse elaborazioni di gruppi come i Massive Attack in un’eterna lotta tra bene e male che si fa alterità e ingloba in modo del tutto naturale il mondo che sentiamo vicino a noi. I resoconti eterei proposti fanno d’atmosfera appagante all’intero susseguirsi di energie nascoste e viscerali che possono esplicare la propria parabola in pezzi come Intro, Paperstream, Jazz e Bird a ribadire concetti di fuga e abbandono, a recuperare quel sano e del tutto legittimo desiderio di libertà che nel calore della situazione inverte i poli e come un magnete attira a sé tutto ciò che di buono ancora esiste in un’estasi perenne di sogni inesplosi.

Unoauno – Cronache Carsiche (Ribéss Records)

album Cronache Carsiche - unoauno

Ti trafiggono, ti pungono, entrano in simultaneità con le radici da dove provieni, si innestano nel territorio e attraverso depressioni scivolano per poi riaffiorare, esplodendo a dismisura proprio quando meno te lo aspetti. Giovani, giovanissimi poco più che ventenni registrano un disco scarno e viscerale, profondo nel suo insieme che rimanda inequivocabilmente ad una scena mistica e troppo presto dimenticata in nome del pop edulcorato del momento. La musica dei Unoauno estrae capacità dal cilindro pezzo dopo pezzo e le divagazioni non prendono di certo vita perché la forma e la sostanza sono sempre in bilico e comunque a braccetto con una musica di qualità, una musica intima come una liturgia, chiaro e nitido specchio di questi giorni che apre le mascelle e custodisce al proprio interno la saliva per queste e altre proteste, per queste e altre piccole gioie quotidiane. Unoauno è il distacco totale con l’esistenza piatta e uniformante dove spiriti affini come CCCP o Massimo Volume fanno da contraltare al post-punk di Gaznevada, ma i riferimenti non sono così importanti, agli Unoauno va di certo il merito di aver dato costruzioni mentali e strumentali al proprio vivere e nel contempo di aver abbandonato la realtà, andando oltre l’intrattenimento e sedimentando pensieri e speranze nel profondo della terra da dove tutto proviene.

Volwo – Dieci viaggi veloci (Viceversa Records/Believe/Audioglobe)

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Pasquale De Fina riporta in vita il progetto Volwo dopo la parentesi Atleticodefina attraverso un disco che si dipana grazie ad una musica d’autore di ricerca sperimentale che non strizza l’occhio alla facile melodia, ma piuttosto instaura rapporti con il proprio essere e con il proprio credo interiore. Pasquale non ha bisogno di molte presentazioni, la sua carriera artistica rientra tra le più importanti della musica indipendente italiana pur rimanendo fedele ad un certo tipo di pensiero, un modo di pensare al suono come veicolo di sentimenti e stati d’animo che vanno oltre le trovate commerciali del momento instaurando un rapporto diretto con lo stesso ascoltatore che si trova immedesimato in contesti di vita disegnati e dipinti ad arte, tagliando e cucendo l’abito più adatto a noi e facendoci scoprire, ascolto dopo ascolto, sfumature sempre nuove e in evoluzione. Per accostamenti Dieci viaggi veloci lo si può paragonare a quel Plancton disturbante di Alessandro Fiori, anche se qui l’elettronica non è evidente anzi, il senso acustico del tutto fa trasparire maggiormente punti d’interesse e stati d’animo tra gli strati e le architetture delle canzoni proposte. Piccoli camei come le presenze di Luca Gemma, Paolo Benvegnù, Rachele Bastreghi, Ylenia Lucisano impreziosiscono la caratura dell’album in un vortice di sentimenti che si fanno punti d’incontro e di partenza, andate e ritorni, passando comunque per quel qualcosa che chiamiamo cuore che è al tempo stesso vita e morte, passione celata e capacità unica di arricchire.

Slotface – Try not to freak out (Propeller Recordings)

Sløtface: <i>Try Not To Freak Out</i> Review

Debutto con i fiocchi per la band norvegese che fa del punk rock un punto di partenza per esprimere al meglio concentrati di canzoni orecchiabili al massimo e ricche di rimandi con i ’90 e con tutto ciò che rievocano quegli anni. Ci sono i Garbage, i No doubt e quel pizzico di aggressività alla Nofx che permette un ascolto fluente ed espressivo capace di incasellare al meglio delle piccole perle odierne e attuali. Canzoni manifesto come le tracce d’apertura Magazine o Galaxies fanno da spartiacque essenziali per comprendere al meglio la cifra stilistica del gruppo che si sposta da territori marcati fino ad incontrare la sperimentalità corale che in pezzi come la finale Blackyard raggiunge il culmine di una insperata tregua. Try not to freak out suona a bomba nello stereo, è un disco immediato di puro e semplice godimento neuronale, un album che non si fa troppe domande e di certo non le concede, ma piuttosto si posiziona, come freschezza, tra le più riuscite produzioni attuali.

Nerina Pallot – Stay Lucky (Idaho Records)

Entrare in punta di piedi nel mondo di Nerina Pallot non è impresa semplice, anzi la cantautrice britannica racchiude la migliore essenza di una musica d’ascolto che proprio attraverso questo disco, il quinto della sua carriera, esprime al meglio le doti vocali e intime di un persona che ha scelto la strada dell’introspezione musicale per comunicare al meglio forme e intenzioni attraverso un concentrato di musica suadente e avvolgente, elegante quanto basta per appartenere a quell’ondata di nuove cantautrici a livello mondiale che si impongono quali capaci di creare architetture che fanno da ponte con il presente e con ciò che è stato in un’interessante rivisitazione del ruolo d’autore che nella realtà del momento crea un senso di appartenenza ed un legame profondo con ciò che ci troveremo ad affrontare. Le dieci canzoni che compongono l’album si riassumono nella stessa title track nonché singolo di lancio per una metamorfosi floreale che proprio nel concetto stesso di bellezza trova il punto più alto e concentrico dell’intera produzione. Un disco davvero complesso, stratificato e bello nella forma più naturale e imprevedibile del termine stesso.

Zara McFarlane – Arise (Brownswood Recordings)

Terzo album caraibico per Zara McFarlane, intenso disco colorato che racchiude roboanti caleidoscopi in grado di trattenere la bellezza di un cielo azzurro e il blu del mare in una simultanea esigenza riuscita di dare marcatamente un gusto soul leggero e quasi disincantato all’insieme sfumato di canzoni che racchiudono questo Arise per un’eterogeneità mai nascosta di jazz, soul per l’appunto, reggae e world music. Sono dodici tracce che appartengono ad un mondo parallelo, ad un mondo da scoprire, penetrare e osservare, dodici stati emotivi che aprono le danze con Ode to Kumina fino a Ode to Cyril passando per la potenza di Pride, Freedom chain, Fisherman a sottolineare l’importanza culturale, il retaggio, l’eredità che il tempo ha lasciato, laddove i Caraibi sembrano vivere e continuare a sperare, tra i suoni del sole e del vento, tra le trappole marine e i pesci da pescare Zara confeziona un disco davvero speciale in grado di rappresentare al meglio una cultura e convogliarla al centro del mondo.

Newdress – Falso negativo (VREC)

Suoni sintetici che inglobano l’atmosfera di luci e ombre attingendo direttamente dalla wave anni ’80 una capacità di ricreare elettronicamente atmosfere che ben si sposano con il repentino cambio musicale odierno in una ricerca che in fin dei conti si fa novità nella stesura, ma anche nel suono, ad arricchire ciò che prima era già di per sé punto di partenza importante per una band che ha un forte debito nei confronti di gruppi come Joy Division, ma anche nei confronti di una serie di modernità acclamate internazionalmente come gli Editors in un dissertazione musicale fatta di bianco e nero, una contrapposizione costante che si respira lungo tutte le nove tracce che fanno parte del disco in un sali scendi di intenzioni che soprattutto nella prima parte si concede ed emoziona altamente grazie ad un’ispirazione che sembra non sfuggire, facendo presa sull’ascoltatore in modo da ricreare un ponte tra passato e futuro, un ponte di ricerca che possiamo assaporare nelle prime note della riuscita Attico Narcotico, ricordando Bluvertigo fino a quella Sorride a tutti, ineluttabile finale a sancire una buona prova ben costruita e pronta a ricordare ciò che è stato proiettandolo nel quotidiano nero vivere che ci accomuna.