Caputo – Habitat (Ribéss Records)

Riflessione circolare sulla parola casa. Riflessione che mette radici e parla di vissuti sostanziali inglobando elementi di un cantautorato solitario che si sposa con l’esigenza interiore di dare un valore simultaneo all’abitare, al sentirsi parte o comunque elemento interiore di un tutto in espansione. Il disco di Valeria Caputo suona domestico, ma nel contempo ramingo. Racchiude il diario di vita di una musicista trasformata e migrante. Un inizio, una partenza e mai un arrivo. Un riconoscersi oltre le apparenze, un conoscersi solo affacciando la mente nel passato mai scomparso e insieme quella sensazione unica e rituale di coinvolgere una molteplicità di sensazioni e di universi in espansione. Da Ma quale casa fino a Dove finisco io passando per le riuscite Vieni, La mia città che sull’acqua brucia, Riconoscersi, la nostra riesce a comunicare un senso di vuoto circostante mai colmato, una denuncia nei confronti di Taranto, sua città natale, il bisogno di riscatto, la tempesta da raggiungere dopo la silenziosa quiete di questi tempi infami.


TIR – Nosferatu ost (Ribéss Records)

Odore di un tempo passato annebbiato dalla polvere simultanea di un bagliore mai eccesivo, ma pronto ad esplodere ad ogni elucubrazione sonora compiuta e recuperata attraverso una sonorizzazione coraggiosa e affascinante del grande capolavoro di Murnau. Un Nosferatu che prende vita e ricopre di oscurità il mondo circostante intensificando visioni che si sovrappongono alla realtà tentando di dare un senso all’inspiegabile che avanza. Il mastodontico lavoro di Marco Pandolfini e Giulio Galeno Giorgietti è impresa degna di nota e di sicuro interesse. Si respira l’esigenza di recuperare il perduto attraverso suoni esemplari. C’è l’intenzione di dare un nuovo valore alla condizioni estrema dell’uomo, una metafora perpetuata in musica che qui vive grazie alle atmosfere create, grazie a quel senso di oppressione perenne che si respira in un disco pregno di meraviglia che trova nel buio che avanza una luce capace di illuminare un percorso che conosce l’importanza e la grandezza di un’internazionalità raggiunta ed espressa con grande maestria e bravura.


Radon squad – Hotel colon (Ribéss Records/Light Item)

Campionamenti da film horror che non passano di certo inosservati incapsulando tenebre e oscurità all’interno di una musica che si fa sorgente per raccontare al mondo intero il marcio che ci circonda tante volte troppo patinato, edulcorato, mercificato. Un disco che suona rap perché parla degli errori di questa quotidianità, li descrive, li denuncia, li analizza da vicino. Un album per certi versi futurista che scardina la visione dell’arte preesistente per porre l’ascoltatore all’interno di un caleidoscopio fatto e colorato con la parte più nera che siamo chiamati a trasportare. Hotel colon è disturbante e magnetico. Una produzione coraggiosa nell’era della musica usa e getta. Una produzione  capace di inabissarsi nel continuo esistere attraverso un personalissimo esempio di interpretazione della realtà. I Radon squad ci consegnano una prova coraggiosa, forse, oggi più che mai, necessaria.


Collettivo Ginsberg – Kintsugi (Ribéss Records)

album KINTSUGI collettivo Ginsberg

Monumentale disco commovente che riflette raggi di luna per raggiungere altitudini imponenti, riflessive, interiorizzate, maestose. Sesto disco per il Collettivo Ginsberg. Disco anomalo che toglie il superfluo per raggiungere un bisogno di comunicare che si esprime grazie alla potenza introspettiva di pezzi ammalianti e concentrici pronti ad osservare da vicino storie metafisiche di pace e abbandono. Una sorta di post rock che si apre all’ambient ricordando i veneti Nova sui prati notturni, Paolo Cattaneo di Una piccola tregua, i Marlene Kuntz di Uno in una sorta di ellisse temporale che abbraccia cicli di vita, un andare e un tornare. Fermarsi e poi riprendere nelle incertezze di ogni giorno. Kintsugi è un disco atemporale, raccoglie i pezzi di ciò che è stato per portarci in un’altra dimensione dove convive la morte e l’esistenza, il sogno e il reale. Al chiaro di luna, Chiedi alla polvere, la stessa title track sono oro che cola ad unire ciò che è stato distrutto e che oggi, grazie ad una bellezza profondamente unica, rivive ancora.


Houdini Righini – Lascaux (Ribéss Records)

Houdini Righini – Lascaux

Sopraffino cantautorato a sciogliere istantanee di una vita contemporanea che diventa un accogliere e un dare ad ogni latitudine conosciuta, imprimendo sul far della sera, tardivi momenti che accarezzano insospettabilmente la quiete. Ritorna Giuseppe Houdini Righini, ritorna con un disco di immacolata e perseguibile bellezza. Un album scarno, essenziale che vira verso atmosfere notturne e incalza l’etere grazie ad un’elettricità capace di trasformarsi in elettronica, ma quasi in sordina, non apparendo, ma piuttosto dimostrando. Lascaux è il ripartire da un disegno. E’ la roccia che si fonde con la coscienza e con i nostri intervalli di tempo chiamati memorie. Un rigoroso esempio di cantautorato impegnato e moderno a sedimentare costantemente attenzione nei confronti d ciò che vale la pena ottenere e inglobare. Lascaux è un disco davvero importante. Si nutre di questa nostra realtà, ma lo fa dalla seconda fila. Immedesima elementi, attinge dal passato e trova modi sempre nuovi ed essenziali per colpire e consegnarci bellezza a dismisura.


Pieralberto Valli – Numen (Ribéss Records)

album NUMEN - Pieralberto Valli

Ascoltare Pieralberto Valli è come entrare in comunione con qualcosa di mistico, interiore che smuove una parte di noi, una parte di ciò che ci portiamo dentro. Abissi ancestrali risvegliano parti sopite e le canzoni che si susseguono come un fiume travolgono i meccanismi neuronali interiori, i meccanismi di disincanto che ci accompagnano nel tentativo di capire questa nostra vita. Numen si muove commovente e maestoso sin dalla bellissima traccia d’apertura Non fare tardi e via via recupera territori misteriosi in tappeti elettronici capaci di mescolare l’analogico al digitale in una commistione impattante di eleganza, forte capacità e grande sperimentazione. Un album composto da tre dischi, nato per accompagnare, in parte, uno spettacolo teatrale, questo Numen diventa un trattato sull’errare umano, sulla sconfitta e l’abbandono, sulla spirituale decadenza eterna. Un incontro di un io tormentato alle prese con l’evoluzione del proprio stare al mondo, uno spaccato esistenziale racchiuso in un prezioso box di tre dischi dove qualità e quantità diventano un tutt’uno, scardinando gran parte delle produzioni odierne e stabilendosi laddove nessuno, o quasi, può arrivare.


 

Unoauno – Barafonda (Ribéss Records)

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Colpi violenti imprimono l’etere di visioni distorte e sudate capaci di concentrare la pioggia intensa di una giornata primaverile in un qualcosa che sa di terra, fango, quel qualcosa che di materico viaggia nella nostra mente e scova i pensieri più reconditi, la nostra anima più animale. Il disco degli Unoauno rispecchia sensazioni tormentate di abbandono che ricercano, nella complessità della vita raccontata, un punto di sfogo reale attanagliando l’uomo-consumatore attraverso canzoni che sanno di polvere, pezzi che corrono alla velocità del fulmine e simulano visioni di luce laddove la luce non esiste più. Sensazioni a fior di pelle scaturiscono ascolto su ascolto. Nemmeno venticinque minuti di tirata potenza incalcolabile capace di scardinare al suolo costruzioni e paesaggi in distruzione. Barafonda è emblema inossidabile di questi nostri tempi. Un calcio al perbenismo, un cuore, altrove che respira alla velocità della luce.


Morose – Sopra il tetto sotto terra (Ribéss Records/Under my bed recordings)

Suoni che provengono da un cantautorato capace di abbracciare sostanziali similitudini con la bellezza in divenire di De Andrè e il suo Non al denaro non all’amore nè al cielo raccontando di vicissitudini e vite vissute in un vortice terreno di amore tangibile. Dopo molti anni di assenza dalle scene torna Morose con un album capace di raccontare in modo lucido e a tratti ben definito una realtà costretta e imbrigliata nella morsa dei giorni che si muovono inesorabili per un insieme di canzoni che non passa di certo inosservato. La peculiarità del nostro sta nel riuscire a delineare in modo egregio e verosimile attimi di realtà vissuta, attimi che forse non torneranno più, ma qui raccolti in brani che hanno un sapore d’altri tempi, pur mantenendo una certa dose di modernità. Il cantautorato non è morto, anzi, è questa ne è la prova. Sopra il tetto sotto la terra sa concedere spazi e margini d’indipendenza, pur affondando con radici profonde nel nostro vivere. Da Forse Greta è partita davvero fino a E’ ora (di andare via) il nostro ci regala un disco ben arrangiato fatto di poesia e di speranza. 


Unoauno – Cronache Carsiche (Ribéss Records)

album Cronache Carsiche - unoauno

Ti trafiggono, ti pungono, entrano in simultaneità con le radici da dove provieni, si innestano nel territorio e attraverso depressioni scivolano per poi riaffiorare, esplodendo a dismisura proprio quando meno te lo aspetti. Giovani, giovanissimi poco più che ventenni registrano un disco scarno e viscerale, profondo nel suo insieme che rimanda inequivocabilmente ad una scena mistica e troppo presto dimenticata in nome del pop edulcorato del momento. La musica dei Unoauno estrae capacità dal cilindro pezzo dopo pezzo e le divagazioni non prendono di certo vita perché la forma e la sostanza sono sempre in bilico e comunque a braccetto con una musica di qualità, una musica intima come una liturgia, chiaro e nitido specchio di questi giorni che apre le mascelle e custodisce al proprio interno la saliva per queste e altre proteste, per queste e altre piccole gioie quotidiane. Unoauno è il distacco totale con l’esistenza piatta e uniformante dove spiriti affini come CCCP o Massimo Volume fanno da contraltare al post-punk di Gaznevada, ma i riferimenti non sono così importanti, agli Unoauno va di certo il merito di aver dato costruzioni mentali e strumentali al proprio vivere e nel contempo di aver abbandonato la realtà, andando oltre l’intrattenimento e sedimentando pensieri e speranze nel profondo della terra da dove tutto proviene.

Forestale Val d’Aupa – Dorsale (Ribéss Records)

Folletto dei boschi reali che imprime sugli alberi le voci di questi giorni, farciti e conditi da testi che ripercorrono poesie ermetiche e registrate in baite montagnose che danno al tutto un senso di contorno davvero speciale per una bassa fedeltà d’intenti voluta in grado di sottolineare con grande capacità la noncuranza per le mode e la totale estraneità ai mezzi di comunicazione di massa, social ovviamente compresi. Bruno Clocchiatti è uno spirito libero, di giorno distribuisce bibite, di sera registra lo-fi le proprie condizioni umane. Il disco in questione è ripreso grazie ad un microfono di un tablet e il risultato che ne esce è un insieme di canzoni davvero ispirate in bilico tra la canzone d’autore e un vinile di un tempo passato che suona ancora e proietta sui propri solchi il gusto per una poesia attuale e vetrata quanto basta da disegnare profondamente le intelaiature delle finestre per i paesaggi che ammireremo da qui al domani.