Exit Spoons – Exit Spoons (Autoproduzione)

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Incroci sonori tra elettronica, caos, distorsioni e tanta psichedelia per un progetto originale sin dalla confezione di lancio. Due mini cd, un cartoncino per raccoglierli e un libretto per spiegare l’ambiente onirico e discostante che possiamo trovare e percepire durante l’ascolto di questi sette brani. Canzoni ed estrapolazioni sonore ad intessere trame futuristiche che sono e che si fanno pittura esagerata oltre ogni modo e dove la fantasia autentica risulta spiazzante all’inverosimile già da Trippo Hippo fino a La moglie del proprietario passando poi per l’altro disco labirinto che si muove da Sequenza a Passatela a Totti includendo Jenny senza mutandine e Zumbaccamera. Ascoltare gli Exit Spoons è spogliare l’intera musica per come la conosciamo e vestirla con un abito nuovo e luccicante, intraprendere una strada senza uscite e magicamente ritrovare il sentiero verso casa in uno sperare che accarezza il prog, ma nel contempo si ritira alla visione di quest’ultimo per un album che assume le basi del rock per stravolgerlo e ottenere poi paesaggi sonori di rara importanza.

Giulia’s mother – Here (INRI)

Ritorna il duo dei Giulia’s mother con un album davvero sensazionale che scava le teorie dell’universo con ampiezza che va oltre il cosmo per come lo conosciamo, incasellando immagini e sensazioni che possono apparire in bilico tra l’attesa e l’insperato, tra ciò che desideriamo e ciò che ancora deve ricevere luce. Here è un disco alquanto affascinate, la velata manipolazione delle chitarre dona ampiezza stupenda che si assapora appieno attraverso le voci in costante cambiamento, mutevole sensazione di un corpo abbandonato che si lascia cullare, lassù tra le stelle. Ascoltando Here possiamo sentire il Bon Iver di 22, A million spogliato di ogni orpello e si ha come la sensazione che qualcosa di autentico e reale ci possa definitivamente accompagnare verso un altro mondo, verso ciò che ancora non conosciamo. Esigenza quindi di stupire e bellezza a non finire in tutte le tracce che compongono questo miracolo per uno dei più bei esempi riusciti di internazionalizzazione e di ricerca degli ultimi anni musicali italiani. Un album che si affaccia direttamente sulle coste americane, là dove l’Atlantico si specchia sotto la volta stellata e ondeggia tra chitarre folk e sussurri di voci lontane.

Cristallo – Cristallo Ep (Asteria/Khalisa/Cane Nero Dischi)

E’ difficile catalogare questo disco frutto di un lavoro di un duo composito che per l’occasione trova in Damiano Simoncini la chiusura del triangolo, è difficile perché le sensazioni di facile digeribilità lasciate alla traccia d’apertura, via via dipanano nebbie all’interno di territori inesplorati e luminescenti, un’oscurità fatta bagliore che ritorna come cuore pulsante ad ingabbiare tenebre e tensioni, spasmi e vitalità sospinta sempre più in alto. I Cristallo con questo progetto sintetico e architettonicamente ampio confondono idee e impressioni, amalgamando substrati di coscienza e attraverso una sperimentazione che va oltre il primo ascolto i nostri intascano una prova affascinante che per certi versi lascia al minimal la possibilità di imporsi, una musica appositamente scarna che ricorda per certi versi band come Santo Barbaro o alcune composizioni dei Nova sui prati notturni. Eco, Primavera, Tutto passa e Come pioggia sono sintetiche espressioni di un quadro d’autore che trova una via di sfogo dove luce non c’è.

Non Giovanni – Stare bene (IRMA Records)

Secondo album per Giovanni Santese, cantautore pugliese che utilizza l’ironia di fondo in modo arguto e meditato parlando di piccoli patemi e di stati d’animo che influiscono nel nostro essere al mondo, nel nostro stare bene. Il senso profondo del disco lo possiamo scovare all’interno di un pop elettronico ben condito e farcito, come l’attuale scena indie vuole, mettendoci però anima e cuore nello stabilire una profonda comprensione di sé e del circostante, narrando di piccole vicende e facendo del citazionismo, soprattutto nella traccia d’apertura Dan Brown, una chiave di lettura per comprendere in profondità stilemi appunto identificativi e canzone d’autore che strizza l’occhio al passato creando ponti di collegamento con tutto ciò che è stato. Canzoni come stare bene con te, Questa è la migliore, Quest’estate, Non lasciarmi indietro sono, a mio avviso, punti importanti di un’omogeneità davvero bella nel senso più intero del termine che grazie ad un’ottima produzione raggiunge picchi emozionali elevati e di sicuro effetto. Stare bene è un disco più maturo del precedente che non segna un confine, ma sicuramente getta le basi per approcci di originalità da intensificare nel corso del tempo. Un album che scova nelle parole la bellezza del momento, la bellezza di tutti gli attimi da vivere da qui al futuro.

Grog – Men of Low Moral Fiber (Musichette Records)

Solo quattro pezzi di presentazione per un suono che da elettronico leggero passa ad un granitico impresso nella roccia capace di affondare le energie in motivazioni che vanno ben oltre la forma canzone, ma si attestato attraverso uno strumentale d’eccezione che vede il duo calabrese intraprendere un percorso in salita che sfiora apici rumorosi ed efficaci alternando il noise rock a strumenti più aggraziati come il glockenspiel o le tastiere. Luigi Malara e Filippo Buglisi danno vita ad una creatura, i Grog che grazie a questo Men of Low Moral fiber riesce ad entrare nel mood corale di un suon compatto ricordando i padovani Menrovescio e energizzando la forza sperimentale contando i secondi che passano in velocità da The great Jeeg in the sky fino a L.A. Crime e poi ancora per Got Ham e Give more water, please everybody per un disco prorompente che non lascia un minimo di fiato per respirare.

So long – So long (DG Records/Entes Anomicos/E’ un bruto posto dove vivere)

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Malinconia giovanile assuefatta dal caldo d’Agosto e intrappolata per l’occasione in un dischetto power chord che lascia ai suoni un gusto estetico davvero importante e coinvolgente, ricoperto di pellicole di vita fatte apposta per l’occasione e che vorremmo non finissero mai. Il disco omonimo dei So long è un tuffo nel passato scoperto, è un bagliore di stelle davvero importante che ci permette di assaporare questa musica corale con le orecchie protese agli ’90, tali sono le sensazioni che pervadono prepotentemente fin dalla traccia d’apertura Hanger per poi proseguire su di un substrato cangiante, ma omogeneo con pezzi come We loved, So long o Spine solo per citarne alcuni. I So long fanno della melodia pop un punto centrale che sfocia nella determinazione dell’indie rock pur non essendoci un confine netto tra i due generi, anzi in queste otto tracce ci sta la sorpresa del momento che come soffio di vita ti accoglie e svanisce proprio come le belle storie che sanno d’infinito.