Airt’o – Genus (Dimora Records)

album Genus - Airt'o

Cantautorato evoluto che guarda con occhi diversi al calore della sera instaurando un rapporto diretto e latineggiante con le fotografie di luoghi esotici e lontani, luoghi remoti che si ascoltano sottili all’interno delle tracce che compongo il primo disco di Airt’o: Genus, un album che ha il sapore malinconico e nel contempo magico del tramonto rosso cielo che ammalia e stupisce. Incrociatori sonori da Battisti a De Gregori passando per le acustiche melodie dei Kings of Convenience fanno da tramite nel veicolare le poesie del nostro Airto Pozzato in un susseguirsi lussureggiante di anfratti da scoprire, di cascate da ammirare e correnti su cui farsi trasportare, riscoprendo giorno dopo giorno, traccia dopo traccia sempre e comunque qualcosa di nuovo e di coerente con una realtà che per lo stesso cantautore è punto di partenza e mai d’arrivo. Personalmente, la traccia d’apertura, delinea spassionatamente un itinerario immaginato, passando poi per le importanti L’alba dei tramonti, La rosa fino a Qualcosa che non va a riempire un disco fatto di immagini e suoni inusuali. Airt’o apre la strada ad un nuovo tipo di cantautorato, una musica che va oltre i nostri miseri confini  pur rimanendo ben ancorata alle radici che caratterizzano lo stesso cantautore per un album che sa di leggera innovazione e fiducia nella semplicità del momento da cogliere ammirando lontano il giorno che muore.

The singer is dead- \\ (IDischiDelMinollo/La mansarda/Vollmer Industries/Backwater Transmission/Edison Box)

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Eclettico strumentale polveroso e di sostanza che si accinge a riempire di geometrie math rock un condensato di ambizioni favorevoli alla rinascita di uno stile proprio e sempre più ricercato all’interno di una musica in cui il cantante non c’è, il cantante è morto e tutto quello che possiamo ascoltare sono architetture fantastiche e ipnotiche che si dipano in decostruzioni al limite del pensiero imposto raggranellando sogni quando questi sembrano scomparire e non far parte più di questo mondo, una destrutturazione tale da rendere questo disco portante il nome di due, un insieme di pezzi incorniciati a dovere che si muovono su territori post rock e convincono sin dalle prime battute, ottenendo un’omogeneità di fondo a tratti granitica, a tratti cadenzata, ispirata, imbrigliata in quegli arpeggi ridondanti che fanno la differenza ipnotizzando e favorendo l’accesso a mondi lontanissimi e in continua evoluzione. Due è un lavoro importante sotto molti punti di vista, un lavoro che non cerca l’immediato riscontro, ma che piuttosto si fa proverbialmente assaporare lentamente in ogni sua singola sfaccettatura.

Volwo – Dieci viaggi veloci (Viceversa Records/Believe/Audioglobe)

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Pasquale De Fina riporta in vita il progetto Volwo dopo la parentesi Atleticodefina attraverso un disco che si dipana grazie ad una musica d’autore di ricerca sperimentale che non strizza l’occhio alla facile melodia, ma piuttosto instaura rapporti con il proprio essere e con il proprio credo interiore. Pasquale non ha bisogno di molte presentazioni, la sua carriera artistica rientra tra le più importanti della musica indipendente italiana pur rimanendo fedele ad un certo tipo di pensiero, un modo di pensare al suono come veicolo di sentimenti e stati d’animo che vanno oltre le trovate commerciali del momento instaurando un rapporto diretto con lo stesso ascoltatore che si trova immedesimato in contesti di vita disegnati e dipinti ad arte, tagliando e cucendo l’abito più adatto a noi e facendoci scoprire, ascolto dopo ascolto, sfumature sempre nuove e in evoluzione. Per accostamenti Dieci viaggi veloci lo si può paragonare a quel Plancton disturbante di Alessandro Fiori, anche se qui l’elettronica non è evidente anzi, il senso acustico del tutto fa trasparire maggiormente punti d’interesse e stati d’animo tra gli strati e le architetture delle canzoni proposte. Piccoli camei come le presenze di Luca Gemma, Paolo Benvegnù, Rachele Bastreghi, Ylenia Lucisano impreziosiscono la caratura dell’album in un vortice di sentimenti che si fanno punti d’incontro e di partenza, andate e ritorni, passando comunque per quel qualcosa che chiamiamo cuore che è al tempo stesso vita e morte, passione celata e capacità unica di arricchire.

Beppe Trabona – E’ tempo (Autoproduzione)

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E’ tempo di infilare i vestiti pesanti e di andare oltre il confine, tra la polvere, le sabbie sottili, le montagne inarrivabili e gli abissi più profondi del nostro essere. E’ tempo di scoprire un mondo all’interno di pagine mai più lasciate al caso, ma piuttosto raggiungere vertici di passione conclamata che sfocia nella bellezza del ricordo, donando piccoli spaccati di vita che assomigliano ai nostri vissuti, a quello che portiamo dentro, attraverso una fotografia posata sul comodino del tempo a raccontare e a raccontarsi giorno dopo giorno. Beppe Trabona è un cantautore vecchio stampo capace di incrociare le poesie di De André e di Massimo Bubola in un alternarsi di tranquillità che ha il sapore del viaggio, delle terre lontane, degli occhi della gente incontrata e da incontrare. Il sapore delle cose perdute e un po’ di tenerezza per il futuro la fanno da padrone in questo spaccato di vite racchiuso dalle dieci canzoni proposte, pezzi che si trasformano in carezza da ascoltare la sera o nel silenzio della nostra stanza prima di partire, prima di indossare il nostro cappotto pesante e andare là, oltre quello che abbiamo sempre e solo immaginato.

Daniele Braglia – Il silenzio è musica (Autoproduzione)

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Cantautorato sottile e vellutato che sposa le malinconie autunnali in un perdersi tra i colori della natura che ci circonda, soppesando le fragilità dell’animo umano e intessendo trame costruite a puntino per scendere gli abissi della nostra memoria e incanalare i pensieri laddove il mondo sembra non aver fine. Daniele Braglia confeziona un disco da introspettiva terra d’Albione in un crescendo sostanzioso di battiti e cuori lasciati a metà, lasciati a vagare nelle nebbie intrise di significati per noi e per lo stesso cantautore tra canzoni che abbracciano la musica d’autore e si incamminano lungo sentieri giù battuti, ma con un piglio alternative davvero essenziale e costruttivo, tra pezzi arpeggiati che sono quasi uno sfogo, un diario di vita da assaporare lentamente. Da Scuse fino a Come se, passando per significative poesie quali A luci spente o la stessa Title track il nostro porta a casa una prova che ha il colore della decadente bellezza pur annoverando con sé un bisogno di comunicare che attraverso i dieci pezzi presentati, si fa tangibile essenza per distillati armonici incorporati a dovere nel silenzio che ci circonda.