Persian Pelican – Sleeping beauty (Trovarobato/Malintenti Dischi/Bomba Dischi)

La bellezza sta dormendo, ma non in questo caso, racchiusa da capogiri esistenziali dove il vortice emozionale è importante quanto la valorizzazione del sogno e del suo farne parte, in una realtà che è possibilità tangibile di ricreare l’onirico nel quotidiano, dando forma e speranza alle situazioni del domani.

Persian Pelican, all’anagrafe Andrea Pulcini, è tornato, confezionando un terzo disco di purezza cristallina che abbandona le esigenze più introspettive e malinconiche del precedente How to prevent a cold per dare un senso maggiore alla bellezza che si cela nell’elettricità e nelle melodia, divincolata dal suono acustico che lo caratterizzava, per compiere un salto ancora più luminoso nel mare delle produzioni nostrane.

Il carattere e lo stile che lo contraddistingueva, legato al desiderio di sperimentare, non manca e in qualche modo il nostro regala vita ad un concept reale sull’irrealtà e il linguaggio dei sogni, non mascherando le illusioni del vivere, ma riuscendo ad attingere direttamente dai vissuti un senso maggiore che completa il tutto.

Sono tredici pezzi di una bellezza disarmante, difficile sceglierne uno, gli episodi appartengono ad un tutto inscindibile e importante; esempio ne è l’apporto del cantautore statunitense Tom Brosseau che grazie alla sua voce rende l’idea di Orphan ancora più reale, in un disco che sa di maree e di sogni lucidi, ad occhi aperti, senza la paura di scoprire, qualcosa di più, dentro noi.

Francesco Serra/Sergio Carlini – Av.Ur.Nav (Trovarobato/Parade)

Il sogno, l’arte di navigare paziente tra le tempeste dei nostri tempi e poi l’amore viscerale verso un qualcosa che è troppo difficile da spiegare, così lontano da Noi e quasi impercettibile abbondanza che si scarnifica su di un palcoscenico oscuro.

Francesco Serra, Trees of Mint e Sergio Carlini, Three Second Kiss, raccontano una storia dilatata imperniata da quella capacità di immedesimazione che diventa un tutt’uno con lo spettatore in un vortice altalenante di melodie d’atmosfera che ti circondano e lasciano in bocca quel senso di stupore bagliore che si fa accecante consolazione in una vita destinata a sgretolarsi.

Musica d’atmosfera quindi scesa quasi dal cielo e mai così terrena, un colonna sonora da film della nostra vita che si contorce, lotta consumandosi, ama.

Si ha come l’impressione di viaggiare in un giardino acquoso tra i fondali marini dove anemoni introversi lasciano spazio a pesci colorati che si incrociano senza guardarsi, in un teatro, quello della vita, che ci vede noi stessi spettatori poco attenti ai cambiamenti.

Ecco allora che i due vogliono  sperimentare, tra acustiche in errore e elettriche a ricoprire la scena, due opposti che si incontrano, omaggiando la prova, un monumento all’essere umano.

Tra gli echi di Gatto Ciliegia i nostri confezionano un grande esperimento, solo per il fatto di avere messo a nudo le proprie paure trasformandole in eternità.

Mariposa – Semmai Semiplaya (Trovarobato, Aprile 2012)

 

I Mariposa ritornano. Ritornano con un album esclusivamente in vinile.

Non c’è da stupirsi, una scelta incisiva, contro il mercato, per una band così in controtendenza con qualsivoglia regola imposta, ma che continua a incuriosire gli estimatori del genere.

Un gruppo certamente che non ha bisogno di molte presentazioni: sono un settetto “multietnico”, con elementi provenienti dal Veneto, dall’Emilia, dalla Toscana e dalla Sicilia.

Musicisti professionisti che provengono da diverse formazioni come Afterhours, Zzolchestra e Hobocombo.

Ritornano con suoni più seventy e con una nuova voce: Serena Alessandra Altavilla dei Baby blue.

Dal 2011 la voce storica, Alessandro Fiori, decide di intraprendere una carriera solista (Attento a me stesso) e la band inizia a collaborare con la voce di Alessandra; voce molto particolare e vellutata certamente un cambio drastico, ma non per questo da svalorizzare, anzi questo “bel canto” permette di dare un senso a passaggi più melodiosi e di sicuro impatto.

L’album parte con la rivisitazione in inglese “Pterodactyls” della loro canzone “Pterodattili” presente in coda al disco, un pezzo veramente d’atmosfera: cembalo vibrante, chitarra acustica a 12 corde e batteria in lontananza con una voce quasi arrabbiata che si mescola nel finale all’harmonica indiavolata.

Con “Tre mosse” sembra di stare in un videogioco anni 80 creato da Ian Anderson e da Il genio: fiati di Enrico Gabrielli in primo piano, assieme alle tastierine “Casio” per bambini e batteria elettronica; “ma perchè canto se non ho un cazzo di voglia di cantare?”.

Avete presente Julie Cruise in Twin Peaks che canta Nightingaile?Ecco a voi la rivisitazione più dilatata nel tempo.Con “Pompelmo rosa” sembra di essere seduti ai tavoli di quell’oscuro locale: da brividi.

Frustalo” è una canzone contro la società moderna, “se le cose vanno bene: frustalo!”; ritmi e musiche più vicine alle sonorità di un tempo.

Chambre” canzone in francese che precede “Specchio”: qui sembra di ascoltare i migliori Crosby stills nash & young.

Il disco termina con la poesia musicale di “Pterodattili” qui riarrangiata e cantata in italiano.

Quasi una ninna nanna all’inizio, che prende vita, dopo pochi secondi, nel vortice di colori che i Mariposa sanno creare in ogni secondo del disco.

Il gruppo sa dare lezione di stile, anche con questo album che sembrerebbe suonato con strumentazioni molto lo-fi, in verità racchiudendo melodie ricercate; valorizzate dai singoli componenti.

L’unico neo, aggiungo forse per i molti, il supporto in vinile, ma poi mi fermo e mi chiedo: i molti possono ascoltare e comprendere l’importanza di tutto questo?