I Fiori di Hiroshima – Nabuk (Phonarchia Dischi/Audioglobe/The Orchard)

Pulsanti di energia giovanile e vibrante attesa i nostri Fiori di Hiroshima, ventenni e essenzialmente energici si stagliano all’orizzonte della musica italiana con questo loro primo disco di cinque piccoli racconti dal sapore dolce amaro e atteggiati da spirito di appartenenza nei confronti di sodalizi cosmici e chiaro scuri luccicanti e vibranti, un piglio deciso e desiderio di stupire, tra distorti non celati e quella classe che tende ad uscire allo scoperto, fresca energia di puro indie rock nostrano, quello che va di moda oggi, quello che si sente ai concerti, quello che la gente vuole sentire.

Nociva apre le danze elettro acustiche fino alla compressione finale della title track Nabuk, un soffio di vento e poi la tempesta, un soffio di vento ancora per sperare, passando per quella storpiatura malata di Datemi un martello e poi via via a rincorrere un’internazionalità ambita e ricercata.

Solo cinque pezzi, ma che in qualche modo denotano le potenzialità della band, potenzialità da affinare con il tempo, ma intrise di quell’odore di gioventù che fa così bene, tanto da poter essere aria fresca in piena estate.

Luoghi Comuni – Chi ben comincia (Phonarchia Dischi)

Sbattere la realtà in faccia, la realtà che ci opprime renderla tale solo ascoltando delle note, lasciando tutto indietro alle nostre spalle e scaraventarci in un mondo, il nostro, che ci vede compiacere di prodotti materiali effimeri che via via si esauriscono come la materia di cui sono fatti.

I luoghi comuni raccontano i sogni spezzati di ognuno di noi, lo fanno raccogliendo le voci di una generazione e lo fanno anche bene, mescolando la musica “moderna” post cantautorato anni zero con una commistione di generi che abbraccia il brit pop ben riuscito e trasportandolo in una dimensione tutta italiana che ricorda gli Zen Circus degli esordi.

Un pop rock aggressivo che ammicca alla sostanza, che vuole raggiungere una conquista personale, un gesto che scende a compromessi, sfiorando Ministri e facendo della schiettezza un punto di forza su cui basarsi per le produzioni future.

Lisa, L’alternativa e poi Alzati passando per Il ballo di San Vito interpretata con alto trasporto finendo con a Metà dell’opera , quasi a sancire una forma di esigenza nel continuare il cammino intrapreso, nel farsi portatori di un qualcosa che al momento è ancora incompiuto.

Bel disco che arriva diritto al sodo, abbandonando i fronzoli e ridando vita ad un genere, ad uno stile che ha bisogno di una vitalità intrinseca per essere continuamente parte vitale di ognuno di Noi.