-FUMETTO- Martoz – Remi Tot in La forchetta vibrante (MalEdizioni)

ArrayTitolo: Remi Tot in La forchetta vibrante

Autori: Martoz

Casa Editrice: MalEdizioni

Caratteristiche: brossura, 17 x 24, 48 pag, colore

Prezzo: 13,00

ISBN: 9788897483151

Continuano le peripezie squinternate del nostro Remi Tot in un sali scendi di contrasti metafisici e colorati che dominano, in modo surreale, l’idea di spazio tempo che solo a pensarci rende vertiginosa la salita lungo percorsi di vita che vedono il nostro James Bond disegnato da Picasso stesso alle prese con un viaggio da Otranto ad Otranto per parallelismi con la psichedelia degli anni ’60 e con finali alternativi in grado di spiazzare e rendere la proposta ancora più misteriosa e in parte interpretabile rispetto al precedente volume, oltrepassando il confine con la realtà e intensificando piuttosto il rapporto pragmatico e reale con la tangibilità degli eventi e di conseguenza con gli immancabili danni che il nostro protagonista riesce inevitabilmente e soprattutto volutamente a fare.

Martoz da vita ad un’avventura che vive di vita propria, un approccio più breve e nel contempo necessario del predecessore che ci permette di entrare, sfidando le leggi della fisica, nel mondo dello stuntman a fumetti più conosciuto e popolare del momento, attraverso le consuete tavole fatte da colori fantasmagorici e attraverso una linearità meno definita e più lasciata all’improvvisazione in sodalizi cosmici e avventurieri di un uomo proiettato nel suo futuro ipotetico attraverso una narrazione istintiva e destrutturata.

Destabilizzante quanto basta, questo fumetto edito dalla sempre presente MalEdizioni, ci lascia a finali aperti e pregni di quel tratto incisivo e nervoso che oramai è sinonimo di garanzia da parte dell’autore, un fumetto di significati che lascia posto a innumerevoli domande, ma che nel contempo basta soltanto sfogliare per comprenderne la grandiosità.

Per info e per acquistare il fumetto:

https://www.maledizioni.eu/IT/pages/detail/id/3/Catalogo.html

Montauk – Vacanza/Gabbia (LABELLASCHEGGIA)

L'immagine può contenere: cielo, albero e spazio all'aperto

Punk di risveglio post o pre estivo che a dir si voglia incentrato su vacanze e affini, dove la stretta morsa della gabbia routiniana attesta le difficoltà di far parte di una società di per sé malata e accentrata nei confronti di un filo occidentalismo che annienta i costumi, annienta la bellezza e nel suo senso profondo annienta le libertà in nome di un progresso a specchio, un progresso fotocopia che vede nell’omologazione un’ancora di salvezza presumibilmente certa.

Montauk è una spiaggia guarda caso, Montauk è anche la rabbia però nei confronti di questo sistema e in queste canzoni, tredici per l’esattezza, le parole si sciolgono al sole in un soft hardcore prudente mescolato ad un pizzico di cantautorato nella ricerca testuale immagazzinando pezzi che si susseguono rapidamente e legati da un filo rosso che porta l’ascoltatore ad aprire gli occhi nei confronti di ciò che fa più male.

Da Privata a La neve si passa con facilità da una situazione ad un’altra tenendo a fuoco però quella necessaria guerra quotidiana che ha per nemico un bagliore effimero di velata importanza ritrovato per l’occasione grazie ad una rivolta musicale che parte proprio dal prendere atto che alla fine tutto ciò che è tangibile dura solo un istante.

Tre – Andrea Leone e Reverbero (Manzanera)

Realtà sulfurea in pub inglesi grondanti birra e acqua a fiumi lungo i vetri delle finestre trasparenti che donano lucentezza ad anfratti bui creando pensieri di abbandono e vite caratterizzate dalla continua lotta e ritrovamento di amori immaginati e addentrandosi in punta di piedi dentro ad una fiaba trasparente e vaporosa dove il migliore Dylan incrocia le inquietudini dei REM e dove la vibrante e mossa armonia di brani si sposa a pennello con la loro lentezza, la loro atmosfera, la loro capacità di dare vita ad un racconto nel racconto, per un percorso, quello di Andrea Leone, che arriva alla terza produzione; un percorso probabilmente molto intenso, perché intense sono le inquietudini che si respirano in questa cassetta autoprodotta in soli cinquanta esemplari. Sono le forme che prendono il sopravvento, sono le speranze e la bellezza, il buio che avanza e gli istanti di luce a completare un’esigenza di ritrovamento, quasi folgorante, pura ed esistenzialista da rendere il quadro proposto una mirabolante scelta di colori da preservare nel tempo.

-LIVE REPORT- Non voglio che Clara + Iasevoli – Mame Club Padova – 13/01/17

Il Mame di Padova si trova nella prima periferia della città, un luogo molto accogliente con un cartellone ricco di proposte della scena indie italiana e non e con occhio attento e un gusto variegato nei confronti delle situazioni musicali attuali capace di accontentare, da quello che ho potuto vedere fin’ora, anche i palati più esigenti. Complice forse la temperatura esterna ieri sera il locale si presentava alquanto freddo, della serie senza cappotto la vedevo dura restarci dentro e forse un bel pentolone di brulè non sarebbe stato del tutto fuori luogo.

Ad aprire il concerto di ritrovo, in vista delle registrazioni del nuovo album del gruppo semi-bellunese Non voglio che Clara, Iasevoli, già recensito sulle pagine di Indiepercui (iasevoli – Bolero! (Lavorare Stanca) e per l’occasione accompagnato da sola chitarra-voce. Gianluigi Iasevoli è un’artista naif puro, un cantastorie di punk tascabile in cui la passione e l’interpretazione personalissima dei brani si sposa con l’esigenza di mettersi in gioco per cercare di comunicare sensazioni già apprezzate in toto nell’album di esordio Bolero, da Atlantico fino ad una creazione improvvisata di gelo e carezze notturne, passando per Un’estate distratta e Tigre del Bengala il nostro ne esce vittorioso intascando gli applausi sinceri di un pubblico attento e interessato.

Cambio palco e via i NVCC con le loro incursioni elettroniche per nuovi apporti che hanno saputo dare un diverso volto al progetto stesso trasformando l’approccio prettamente acustico degli inizi in un qualcosa di maggiormente destabilizzante mescolando una formula di indie rock e musica d’autore, incrociando chitarre pianoforte e sintetizzatori in ascensione e abbandonando quasi le parole stesse in un’esigenza di dare forma e colore alla musica di supporto, così essenziale e così magistralmente suonata da quattro musicisti che hanno saputo, nel tempo, dimostrare il proprio valore in molti altri progetti paralleli (Il teatro degli orrori, Public, Norman, Sara Loreni) e che stasera ritrovano conferma in un live particolarmente curato dove il suono ben differenziato colpisce come pugno allo stomaco in un divenire emozionale carico di quella premura che consola attraverso cavalcate post rock capaci di immagazzinare le poesie introspettive di Fabio De Min.

I NVCC si confermano pionieri di indiscussa classe ed eleganza, raccontando storie al limite, ma raccontando anche le storie nostre e dei giorni nostri dove l’amore è sostanza materica per il giorno che verrà e dove il vivere la calma di tutte le sere ci porta ad entrare in mondi in cui la scoperta del nostro essere interiore si confronta e si scontra inevitabilmente con l’altro ricordandoci che tante volte anche un cuore che si consuma è sempre un cuore.

SETLIST:

  1. IL TUO CARATTERE E IL MIO
  2. LA MAREGGIATA DEL ’66
  3.  LE ANITRE
  4. LO ZIO
  5. LA BONNE HEURE
  6. L’INCONSOLABILE
  7.  LE GUERRE
  8. L’ESCAMOTAGE
  9. GLI ANNI DELL’UNIVERSITA’
  10. LE MOGLI
  11. MALAMORE
  12. LA CACCIA
  13. CARY GRANT
  14. QUESTO LASCIATELO DIRE
  15. L’ESTATE
  16. LE ORE (della settimana)

Desuite – Desuite Ep (Autoproduzione)

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Impianti sonori attrezzati e permissivi che non vengono incasellati in forme lineari, ma piuttosto si concentrano nel raccogliere vari pezzi di mondo sonoro aggrappandosi alla sfida di un rock elettrico ricercato e ambizioso, scavando nelle profondità dark e new wave degli anni ’80 per un duo, quello formato da Marco Grazzi voce dei Sinezamia e Claudio Mori batterista dei sopra citati fino al 2010, capace di consegnarci una prova composta da soli quattro brani abrasivi dove la presenza di Nunzio Bisogno alle tastiere, già con Il nero e Lef incrementa un valore aggiunto preponderante e di sicuro effetto, da Iceberg fino all’Ultimo respiro passando per Natura morta e Specchio i nostri dipingono a tinte forti un panorama amalgamato e stratificato dove il bisogno di gridare al mondo la propria presenza è tassello fondamentale per la riuscita di questo primo biglietto da visita da consegnare ai giorni che verranno.

Malkomforto – Malkomforto (E’ un brutto posto dove vivere/Dischi decenti/Taxi Driver Records)

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Dentro al nuovo disco dei Malkomforto c’è la rabbia di un’intera generazione rigettata al suolo senza vincoli e ancore di salvezza, ci sono le grida e ci sono le ricerche nei testi che si assecondano con l’incedere di una musica diretta, senza fronzoli, mescolando l’inquietudine punk hardcore di gruppi come At the drive in, fino ai veneti Il buio passando per i Distillers in una musica che non concede spazi di respiro, ma piuttosto si ritrova immersa in un’onda chiamata vita che immagazzina la corrente e la risputa a ricoprire di acqua sulfurea le mode del momento con stile diretto e senza fronzoli, senza orpelli e arrivando a quel finale Senza Dio che probabilmente racchiude la summa di un pensiero di libertà da respirare e assaporare, lasciando in disparte l’innocenza del tempo perduto e proseguendo la strada dei ricordi in attimi di luce alternati alla notte di una camera oscura dove le fotografie di ciò che è stato completano il puzzle del nostro futuro migliore.

Big Domino Vortex – Human Colonies (MiaCamerettaRecords/LadySometimesRecords)

Rumori pop che intensificano un rock degli anni ’90 spregiudicato e ambizioso che incasella degnamente la lezione del tempo e rimanda a riff chitarristici contagiosi in noise grazie ad apporti tecnici elevati e grazie ad una sperimentazione di fondo che olia per bene l’ingranaggio dell’assolutezza per consegnare un disco, questo nuovo Big Domino Vortex, di matrice puramente americana contaminato a dovere in substrati di livelli musicali grati agli anni passati per sei canzoni che sono in bilico perennemente con la caduta e la rinascita, la quiete e la tempesta, mescolando un grunge primitivo con la post new wave di band come Interpol e affiliati, tracce che pian piano si aprono con Sirio fino a creare connubio di intese e di approcci con pezzi come Vesuvius o Mondrian, percependo il sapore metallico nel gelido inverno, estrapolando dal caos quella melodia necessaria a rendere la proposta ghiotta e persistente, sudata e rinvigorita grazie a elucubrazioni che vanno oltre il pensiero, oltre la luce e stampandosi in un cielo fatto di onde magnetiche e campi gravitazionali.

Rocco Traisci – L’amore ai tempi della collera (Autoproduzione)

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Rocco Traisci ci porta nei meandri del punk cantautorale come espressione in testi che si affacciano alla pura realtà senza mezze misure e trascinando le orecchie dell’ascoltatore all’interno di un mondo fatto d’apparenza e di per sé inguardabile, ma arrancato in un contesto che lo vede purtroppo protagonista del nostro vivere quotidiano.

Il nostro stabilisce un legame indissolubile con strumenti prettamente rock per dare vita ad una sostanza musicale ben suonata e strutturata capace di penetrare e raccontarsi in cliché in cui ci si può imbattere o che perlomeno almeno una volta nella vita ognuno di noi ha potuto vivere in prima persona.

L’amore ai tempi della collera è un disco suonato e registrato davvero magistralmente, i suoni sono alquanto calibrati e la ricerca di fondo è più legata alla forma testuale, alle parole mai usate a caso e dove la prosa si fa ricerca e regala un senso di perfezione che non sfigurerebbe a confronto con altri cantautori della scena nazionale ben più in voga.

Un album da riascoltare più volte che in qualche modo riesce ad affrontare la realtà con occhi diversi, critici e ad un passo più su, in alto, vicino alle nuvole.

Cè – Di vita, morte e miracoli (Autoproduzione)

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Disco diretto sugli stati d’animo del momento racchiuso in una sostanziale rivincita nei confronti di una società d’appartenenza poco aperta e propensa all’espansione e dove vizi contorti e storie di tutti i giorni intrecciano in modo chiaro una narrazione disinvolta, ma anche intelligente capace di rendere il cantautorato proposto come formula di disincanto, ma anche di impegno dove il tutto si apre alle possibilità che il quotidiano sa donarci. Da un punto di vista musicale si sentono gli echi dei cantautori degli anni ’70 anche se proiettati con vena quasi radicale ai giorni nostri e dove la sostanziale ricerca è messa in disparte per catturare l’istante in fotografie colorate e distorte da Il mio umore fino a Alla fine i passi da percorrere sono chiari e netti e in questo terzo disco il cantautore Cè riesce nell’intento di trasportare modernità di fondo in formule già testate, quasi a ricreare una sorta di prosecuzione naturale ad un percorso che sa regalare soddisfazioni continue.

twoas4 – Marea Gluma (Libellula/Audioglobe)

twoas4 marea gluma

Opera onnivora che spazia suadente nelle intercapedini discostanti e tangibili spiazzando l’ascoltatore e portandolo in un vortice emozionale da percepire e interpretare in composizioni quasi sbilenche, ma che ambiscono ad una scelta d’amore poetica ed elevata dove l’osare e il provare fino in fondo porta a conseguenze strepitose e d’avanguardia. Questa è la nuova prova dei twoas4, Marea Gluma è un disco liquido e metafisico che si concentra negli spazi e in questi stessi spazi si disintegra e cambia forma intensificando il proprio approccio nei fatti della vita di ogni giorno, senza tralasciare la forte componente artistica che si ricava dalla visione d’insieme di un booklet bellissimo che contiene immagini di quadri e un racconto dello stesso Oscar Corsetti anima fondante della band che assieme alle elucubrazioni sonore di Alan Massimiliano Schiaretti e la voce di Luminita Ilie, spazia da scene crepuscolari al post rock metallico e inondante di gruppi come Godspeed you!Black Emperor passando per le atmosfere sognanti dei Lali Puna o dei Blonde Redhead in una prova che non trova incasellamento certo, ma piuttosto si immola ad opera che vive di vita propria in una contesa vitalità di fondo che incontra culture, confonde, muore e rinasce in un cerchio concentrico che sa illuminare.