Alberto N.A. Turra – FILMWORKS (Felmay)

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Poliedricità è la parola giusta per descrivere Alberto e la sua costante ricerca nel ricreare e ammaliare di sostanza magica la pellicola del cinema, cambiando forme, costruzioni, alternando l’energia delle chitarre in distorsione per approdare ad una musica minimal pianistica che via via si avvicenda e si apre a paesaggi lussureggianti e multiformi che per l’occasione intensificano l’approccio e danno alito nella creazione di una difficile, ma armoniosa inquadratura, si perché Alberto Turra è artista a tutto tondo e i campi lunghi cinematografici si possono scorgere appena dopo il muro che ci separa dal nostro non volere assaporare i minimi dettagli che questa opera è in grado di dare, un’opera che si propone, grazie ad una potenza espressiva esponenziale, di racchiudere l’idea di un mondo lontano, quasi subacqueo e vorticoso e pronto ad aprirsi a luoghi che non conosciamo, regalando emozioni sonore di rara intensità che nella circostanza del momento si fanno portatrici di colori dominanti e carichi di consapevolezza.

Hide Vincent – Hide Vincent (IMakeRecords)

Grande prova di introspezione sonora che recupera la bellezza dei cantautori americani dell’ultimo periodo da Bon Iver passando per Bonnie Prince Billy, Iron & Wine, Micah P Hinson e intervallando i quadri dipinti in sostanza sussurrata che si avvicina ai mondi descritti nei primi album di Damien Rice o di Tom Mcrae con arrangiamenti eccellenti e qualità che raramente si può ritrovare in un cantautore dei tempi moderni tanto più che il nostro Hide Vincent è italiano e assomiglia per purezza d’intenti a quel Waiting to Happen dei primi Perturbazione. Troppi nomi?Troppe citazioni?Mi fermo allora perché questa musica in sostanza scava l’anima nel profondo e ci fa vedere una parte diversa dentro di noi, una parte in continuo conflitto con il nostro essere, la parte forse migliore da ascoltare. Dischi di un’immensità come questo riescono a farci riscoprire l’importanza nel valorizzare la bellezza che ci circonda in un’assonanza di ballate nel tempo e per il tempo che arrivano come un fulmine a ciel sereno e si trovano un posto sicuro dove stare, là sul filo di una carezza, prima che venga la sera.

Téta Mona – Mad Woman (Garrincha Go go)

album Mad Woman - Teta Mona

Avventure sonore di bellezza che si apre a solitarie lande in levare tra un reggae psichedelico di altissimo libraggio e grandiosa capacità nel creare atmosfere stratificate ed energia pulsante in stop motion a balzi retrattili e appigli che nel tempo del lampo costituiscono una solida impalcatura di base capace di lanciarsi in sperimentazioni mozzafiato, nella purezza del momento, dell’istante imbevuto di incertezza e di forte bisogno di esprimere punti di vista oltre l’immaginato. Teta Colamonaco, in arte Teta Mona, nel suo primo full length mette in campo tutta una serie di capacità nel consegnare all’ascoltatore una prova ricca di savoir faire che non abbandona, ma aumenta il proprio valore nello scorrere delle canzoni tra cantautorato e dub style in lingua inglese c’è anche il posto per due perle in italiano: Orologio e Whiskey quest’ultima di Mina, omaggiata per l’occasione portando avanti una determinazione di fondo che si sposa bene con quella della pantera di Goro, per un disco prodotto da Prince Jaguar e che mette dei paletti di indiscussa qualità in un quadro di insieme da poter affacciare oltre oceano.

Espada – Love Storm (BV Records)

Ci si consuma e si ama all’interno di immaginari desertici che improvvisano stati d’animo da cuore trafitto, con una voce che si immola nella sabbia, disintegra gli accessi ad un mondo sostenibile e si crogiola al sole disidratando ciò che resta del mondo in decomposizione. Una dichiarazione d’intenti nei confronti di una pienezza che si staglia veloce alla ricerca di un proprio canale di sbocco, tra lisergici assoli chitarristi e brividi che salgono su per la schiena, tra Calexico, Wilco, Mercury Rev e quella velata introspezione che ci consegna un disco da assaporare, svolgere e far proprio, attraverso le sfumature dell’anima, proprio quelle sfumature che rendono ancora più vicina l’idea di grandezza e di caldo tepore blues che si evolve conoscendone presagi e distribuendo pezzi di veridicità in canzoni al fulmicotone come l’apertura lasciata a Hard Times per proseguire con la ballad malinconica Dwayne e con la bellissima e sussurrata Young and devious per approdare nel finale alle incertezze del futuro con The well dove una voce da lontano parla, forse, di ciò che succederà, lasciando al manierismo la conclusione di un album ricco di un’originalità trascinante e allo stesso tempo intima e riflessiva capace di scardinare gli ordini precostituiti: ora il pubblico sarà chiamato in causa per capire nel profondo la grandezza di queste canzoni.

L’edera – Rampicante EP (Autoproduzione)

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Radici di un cantautorato che si esprime nell’urgenza di raccontare le immagini di un’Italia quotidiana, nei contesti di vita e assaporando il giorno che avanza come fosse del succo da consumare nel bicchiere eppure L’edera, progetto iniziale di Alberto Manco, racchiude nel suo insieme una ventata di leggerezza che ricorda i primi L’officina della camomilla e prosegue nel filone della musica d’autore moderna immagazzinando idee e spunti da far uscire pian piano tra un Niccolò Fabi in apertura con la bellissima Tieniti forte per passare ad una musica più sostenuta nel proseguo del disco, mantenendo una fede di base che si sposa bene con l’essenzialità del progetto e soprattutto intascando una prova che è uno spaccato notevole ricco di apporti essenziali e sensazioni racchiuse che si avviano al concepimento delle idee stesse in simultanea con un piglio punk e sbarazzino in grado di cogliere con velocità il mondo in cambiamento.

Fabio Sirna – Orpheus (Autoproduzione)

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Quello di Fabio Sirna è un disco che travalica le mode e si abbandona nelle creazione di melodie minimal condite da interventi elettronici per una colonna sonora in simbiosi con la natura e con il mondo circostante, accarezzando questo tempo e guardano il mondo da una vetrina lontana, percependone però sensazioni che in questo album strumentale sono riposte in modo egregiamente a riempire i buchi della nostra coscienza per trame fitte e strutture complesse e ricercate, dove il nostro chitarrista/polistrumentista contempla dall’alto delle sue capacità un divenire in cui il paesaggio circostante prende forma ad imprimere valore aggiunto ad un concept album che si pone da subito alla ricerca del sole in un viaggio oltre il definito e attraverso un tapping elegante che si fa esso stesso punto di partenza per esplorazioni caratterizzanti la bravura del musicista di Varese. Intiepidendo i fondali marini per esplodere e muovere le ali ancora verso quella zona di cielo che potrebbe essere nuova e condivisa vita il nostro protrae il cammino della propria esistenza in una solitaria apoteosi di bravura riuscita.

N-A-I-V-E-S / N-A-I-V-E-S (Le Peau)

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Suoni sintetizzati che rilasciano colore al loro passaggio, danno energia e consumano la fiamma dell’oscurità per lasciare spazio a sali scendi che danno un senso diverso alla vita circostante in un’elettronica stampata a dovere, ben racchiusa nel contesto ascensionale e portatrice di legami che sbalordiscono per freschezza, genuinità e capacità di creare singoloni, uno dopo l’altro, incrociando sapientemente l’elettro pop di gruppi osannati degli ultimi anni come MGMT o il sapiente manipolatore canadese Caribou, senza dimenticare gli Arcade Fire di Reflektor e incamerando un’esigenza di rincorrere il tempo con pezzi veloci, ripetitivi e altamente contagiosi. Dall’introduzione lasciata a Hold Out fino alla compiutezza di Golden shore il disco dei Naives si fa musica da sogno capace di dimenticare la realtà attorno per consegnare agli ascoltatori momenti di goduria totale, momenti baciati dal sole e dalla psichedelia elettronica di un momento che vale mille e ancora mille attimi vissuti in modo sbalorditivo.

Dorian Gray/Golem in Love – Moonage Mantra (Cassavetes Connection)

E’ un dolore soffocante che lacera e amalgama un rock che da anni è perduto e qui rivisitato, cancellato immagazzinato nel tempo e lasciato a sedimentare nell’aria, nell’etere circostante; è solo questione di abbracci mancati, è solo questione di speranza che esiste, ma tarda ad arrivare il tutto compresso e divincolato in un disco che ha il potere di risistemare le cose, il settimo disco, quello dei Dorian Gray che evolve ad un certo punto, durante l’ascolto, nella creatura Golem in Love ad arricchire di mistero e fascino una formazione che la dice lunga e sa ancora raccontare di questi giorni, degli amori mancati e dell’ineluttabilità nei confronti del mondo che avanza, dei nostri cambiamenti e di quel bagliore laggiù in fondo che a fatica possiamo ammirare per sorprenderci ancora. La parte Dorian Gray sa di rock, di profondità alla Nick Cave e di cantautorato velato e dichiarante, la parte Golem in love si lascia invece ad un cantato inglese che sa di internazionalità lisergica e a tratti psichedelica in un acustico mondo di orpelli elettronici caldi e avvolgenti per tracce che nella loro complessità sanno di sperate attese, di importanza nel raccontarsi e di verità in grado di venire a galla oltre la quotidianità mediocre imperante. Nota a margine la copertina misteriosa del fumettista Marino Neri e il booklet ricco di disegni e immagini di altri illustratori come Davide Toffolo, Gildo Atzori, Ausonia e Andrea Bruno ad implementare maggiormente il valore intrinseco dell’opera stessa.