Michele Anelli – Giorni Usati (Adesiva Discografica)

Cantautore sopraffino di stampo intimista che lavora sodo e produce molto con quel piglio a tratti da rocker navigato a tratti invece più solerte e riflessivo, capace di emozionare come di far ballare, una bella voce in primo piano incisiva quanto basta per buttare su disco pensieri e divagazioni sonore che raccontano l’età e distruggono qualsivoglia forma di preconcetto per domandarsi il proprio posto nel mondo.

Un disco sentito e a tratti vibrante, un flusso energico che in primis disorienta poi acclama e consola, una macchina da scrivere in primo piano e le parole che non finiscono mai, sanno essere vicine, sanno essere puro conforto nei mattini e nelle sere dentro di noi.

Ecco allora che Adele e le rose è il simbolo di tutto questo, un ballare infinito contro tutti e contro il tempo, fai la prima mossa, cogli quelle rose prima che qualcun altro lo faccia, non smettere di credere di poter raggiungere i tuoi obiettivi e soprattutto non smettere di sognare perché i giorni sono pochi e domani ce ne sarà sempre uno di meno.

Due venti contro – In fondo (Autoproduzione)

Raccontare e raccontarsi lungo le strade della vita tra sali scendi emozionali e quel piglio sbarazzino che permette di concentrarsi su ciò che davvero è utile, su ciò che conquista e rende la proposta di Due venti contro azzeccata quanto basta per raccontare storie di vita in bilico tra il reale e l’immaginato, frutto del tempo e di quell’ispirazione che inebria l’aria quasi di magia, di quel qualcosa di positivo che l’autore a tutto tondo vuole dedicare al tempo; una ballata d’amore infinito verso tutto ciò che gli gira attorno, nei confronti dei ricordi, nei confronti dei bei tempi andati, senza rimpianti certo, ma con una dose e una carica di savoir faire che regala emozioni a non finire e conquista l’ascoltatore facendolo riportare ad un mondo così lontano da quello attuale.

Le nostre storie, quindi quelle più nascoste, tra l’apertura di Presto passando per l’essenzialità di Metropolitana, passando per il lento Parole Nuove e poi via via fino all’efficace finale di In Fondo.

Un disco che comunica e che ci parla attraverso l’uso intelligente della musica, un album che è quasi uno sfogo diretto di ciò che fu, con la speranza che un giorno ci ricorderemo di tutto questo.

Luprano – Sognavo sempre (Autoproduzione)

Atmosfera soppesata e cangiante capace di quei colori capolavori da dream pop d’annata che stupiscono per originalità e caparbietà di creare una eco internazionale con l’uso della lingua italiana, abbracciando stili  diversi e completi, stili che fanno sognare e che lasciano il tempo perso relegato per confezionare una prova matura e di sicuro impatto.

Luprano canta delle persone sensibili, canta con introspezione e malinconia, lo fa con capacità che fa da velo leggero di seta al mondo che avanza, non dimenticando nessuno, ma utilizzando parole che ci coinvolgono da vicino, che sono parte di noi, del nostro essere e del nostro vissuto contemporaneo.

Luprano è un quadro dai colori tendenti al seppia, tendenti al ricordo e alla narrazione, che sapientemente legato all’uso della parola, si cimenta in compressioni sonore che vanno ben oltre il già sentito e si soffermano sulla musicalità di queste ultime, sul senso profondo che vogliamo concedere loro.

11 tracce sognanti ed eteree da Punto a Voglio i tuoi occhi, l’artista leccese fa pieno centro, non perde un colpo e pone la firma su qualcosa che va ben oltre le apparenze.

An electronic hero – Isoipstar (Autoproduzione)

Viaggi cosmici spaziali in grado di contemplare lo spazio da un nuovo punto di vista, suoni stratosferici che si innalzano sopra le nuvole della quotidianità e incrociano pianeti amalgamati nel buio eterno, conquistano nuovi bisogni e cercano di osservare la materialità da un nuovo punto di vista, un’idea concentrata al tempo stesso, un’idea che è parte del tutto.

Tre pezzi soltanto, che vantano un’internazionalità di sicuro impatto, capace di dare freschezza e concentrato in divenire, con Fireworks che ricorda il Blake migliore, processato con cura e disintegrato, senza dubbio ricomposto e sicuramente sognato.

Un album che riempie il tempo, riempie il mondo di sintetizzatori universali, un disco che stupisce solo per il fatto che allo scadere dell’ultima canzone riparte, con un po’ di amaro in bocca, esigenza che di questa musica ce ne sia ancora per molto, superando le barriere territoriali e andando oltre, lassù.