Methodica – The Silence of Wisdom (VREC)

Entrare negli anfratti della coscienza con un suono misterioso, ma allo stesso tempo capace di penetrare in profondità e colpire senza mezze misure tra altisonanti introduzioni e leggendarie melodie da colonna sonora dei nostri tempi in un susseguirsi di onde a rincorrersi, a dichiarare il proprio stato di appartenenza, ad insegnare ancora una volta all’ascoltatore meno esperto che la verità da seguire si aggira nelle complesse stratificazioni di una società malata e a ricordare che una nuova e diversa alternativa è possibile.

Con questo nuovo disco i Methodica, band prog rock di stampo metal, intensifica gli orizzonti e si fa portatrice di un suono ancora più tagliente, ancora più incisivo rispetto al passato per un gusto degno di nota che sfrutta appieno le proprie potenzialità lungo le nove tracce che compongono questo album, nove tracce che a loro volta contengono la suite sonora Caged suddivisa in quattro atti, quattro momenti di puro delirio sonoro tra i ricordi di Tool, A Perfect Circle fino a rincorrere i Dream Theater.

Proprio con questi ultimi, i nostri hanno potuto condividere il palco al Pistoia Blues Festival entrando di diritto tra le band prog più interessanti del panorama italiano e non solo in quanto i Methodica sono portatori di un suono alquanto internazionale che non sfigurerebbe di certo in un festival di grossa portata: europeo o mondiale che sia.

Il nuovo disco è un saliscendi emozionale di melodie granitiche a scomparsa, dove l’imprevedibilità è dietro l’angolo e dove il passato, la saggezza dell’uomo, fa i conti con la meschinità del presente, un albero in copertina spoglio e il grigio del cielo che minaccia temporale.

Una solida base per difendersi dalla tempesta in arrivo, un continuo mettersi in gioco trasformando le intenzioni in promesse, una forte capacità che si esprime soprattutto in chiave live costruendo e ricercando una via infinita alla perfezione.

Pasquale Demis Posadinu – S/t (Desvelos)

Cantautore atipico sardo che estrapola la tradizione e la proietta nei nostri anni, aggiungendo un’elettronica che concilia e riempie, un utilizzo cospicuo di sintetizzatori che si innestano immancabilmente in testi che parlano di Noi, che parlano delle nostre speranze e aspettative, che parlano dei giorni che prima o poi cambieranno.

Il colore del mare a farla da padrone, si perché i testi sono delicati, ma sanno trasformarsi in parole impetuose capaci di cambiare in profondità gli abissi delle nostre coscienze e farci comprendere che tutto poi non è come sembra, è un cantautore che ci allena a guardare oltre, in cerca di speranza, in cerca di nuove attracchi nei porti dei nostri sogni, senza però dimenticare di porci davanti la realtà, quella dura realtà che ci fa tenere in vita.

L’approccio diretto è coadiuvato dalla produzione artistica di Giovanni Ferrario opportunatamente dispensatore di idee e capacità conoscitive fuori dal comune che rendono l’ascolto ancora più intrigante e capace di suscitare stati emozionali vivi e sinceri.

Dieci pezzi quindi che mescolano la realtà alla ribellione, notevoli brani quali musica TV passando per Michela o Più vecchi di Guccini a disegnare una dimensione in cui le nuove leve musicali crescono tra una bellezza omologata, senza più apporto originale, perdendo quella linfa vitale di protesta che caratterizzava i grandi degli anni passati.

La bellezza quindi che si perde e con la luce dobbiamo ritrovarla, un disco che affonda le proprie unghie dentro al substrato culturale di ognuno di Noi e cerca con inossidabile tenacia di trovarci qualcosa di buono e autentico.

River Jam – A band from a river (Autoproduzione)

Provengono dall’alta provincia di Vicenza e raccolgono l’eredità della natura per comporre canzoni lungo il fiume, dove l’improvvisazione sonora si staglia lungo le tracce che compongono questo disco autoprodotto in tutto e per tutto e dove strumenti tipicamente bluseggianti si confondono fino a creare alchimie sonore tra l’incastonarsi del sax, l’intreccio di chitarre e la generosa intensità live che in tutto e per tutto si evince dalla dimensione che i membri riescono a raggiungere, incanalando una jam session infinita tra i sassi bianchi che guardano il mare.

Una band che viene dal fiume, la connotazione geografica anche qui, il Mississippi trasportato in terra nostrana per calarsi in un mondo fatto di sonorità che abbracciano il delta sconfinato per renderlo sostanza viva, acqua che dona vita e potenzialità da affinare.

In questo disco ci sono buoni spunti sonori ci sono echi del primo Springsteen, Elmore James e Canned Heat, una composizione che arriva diritta al cuore, suoni che fanno vibrare tra My only dream passando per Confusion mind e The waterman, un album che come esordio ha tutte le carte in regola per innalzarsi in futuro, livellando la voce e dando più spessore ad un mix generale che non guasta, un suono che ha bisogno di quel tocco di scintilla maggiore per garantirsi un posto di genere.

Nonostante questo i River Jam fanno parlare di se, intascano una buona prova e guardano con occhio attento al futuro che verrà, tra concerti live e tanta sana improvvisazione frutto di creazioni non snaturate, ma reali e sincere.

Cesare Malfatti – Una città esposta (AdesivaDiscografica)

13 brani di cui 6 pezzi per 6 mesi di expo e un’idea geniale per reinventarsi e andare oltre al fanatismo iconoclasta e materiale tracciando una linea di demarcazione netta e con stile di ciò che forse più ci rappresenta in questo momento nel mondo.

Cesare Malfatti si rinnova e partendo dal genio di Alessandro Cremonesi, che un anno fa aveva ideato un progetto unendo icone milanesi e ExpoinCittà, da il via ad un album meno introspettivo del precedente coadiuvato nella stesura dei testi da artisti come Francesco Bianconi dei Baustelle, Paolo Benvegnù, Luca Morino tra gli altri in grado di creare un costrutto unico e indissolubile tra musica e città, essenzialità e purismo contrapposto ad eleganza notturna, impreziosendo grigiore di una quiete quasi tangibile.

Un disco quindi che racconta e si lascia raccontare, dimenticando per un attimo gli abissi dei ricordi per proiettarsi sulla quotidianità inusuale, ma tanto vicina all’azione di ogni giorno, le canzoni raccontano di sogni e cose da mantenere nel tempo, di ambizioni per progetti a garanzia di un domani che potrebbe essere diverso, i grandi nomi si alternano all’interno di uno schema non preciso regalando un tocco di personalità unica nel suo genere ad ogni singolo brano.

Cesare Malfatti è tornato, il marchio di fabbrica resta comunque indelebile, un disco che raccoglie i cocci di una città fantasma per darli in pasto alla luce della ragione, unica possibilità di creare e di essere punto di riferimento culturale italiano per una rinascita artistica che vede protagonista proprio quella Milano, tante volte troppo relegata alla triste oscurità che la contraddistingue, senza ricordare poi di che cosa è capace.