Umbero Maria Giardini – Protenstantesima (La Tempesta International)

Tutti aspettavano questo album, il nuovo di Umberto Maria Giardini, io l’ho ascoltato e vi dico cosa ho sentito.

Ripetuti ascolti mi portano a scrivere quello che ora leggerete, una mia opinione di certo, da  amante della musica e da ascoltatore quotidiano.

Umberto Maria Giardini ritorna dopo La dieta dell’Imperatrice e Ognuno di noi è un po’ anticristo, ritorna per dare all’Italia un’altra perla da coltivare, da mantenere nel tempo e da custodire soprattutto per segnare forse una strada, per esprimere vissuti che vanno ben oltre l’immaginazione.

Sarà così?

La voce c’è, sempre bellissima e coinvolgente, la qualità sonora tocca picchi di immacolata veridicità e gli strumenti fanno la loro parte, con tocco caldo di vintage d’altri tempi.

Le canzoni sono una summa del proprio pensiero anche se i testi alle volte si concedono in rime imbarazzanti che se scritte da un cantautore sconosciuto sarebbero certamente stroncate da critica (v. Latte giovane, coperto dalla panna/La tua bocca inganna; Chi dice il vero/Chi odia il bianco e ama il nero; Tutto il mio mondo è quella luna piena/il mare aperto (gode) la balena).

Il problema di fondo però è che il tutto manca di intensa improvvisazione, tutto è calcolato perfettamente a tavolino senza tenere conto del fattore sorpresa dedicando al suono un sacco di energie che forse potevano essere distribuite in modo più uniforme.

Un disco a mio avviso che è riuscito solo a metà, stupende comunque restano la title track e Molteplici Riflessi, in attesa, forse, che il nostro si lasci andare ad una più umile ricerca, lasciando da parte il personaggio da interpretare che vive in un’aurea di intoccabilità e grazia e riconsegnando a Noi la capacità visionaria del primo Moltheni.

AIM – Finalmente a casa (Autoproduzione)

Disco registrato in presa diretta, puro e cristallino che non intacca la genuinità e la veridicità della proposta condensata in 9 tracce e una durata che supera di poco i trenta minuti per un full length appassionato e soprattutto convincente.

Convince il totale cantato in italiano, testi taglienti, esistenziali e attuali che non scadono in banalità, ma attraggono, respingendo una realtà fatta di sciocchezze e inutilità.

I nostri alla quarta prova da studio, più due ep e oltre 300 concerti in Italia ed Europa, si rendono ancora più accattivanti con una proposta che strizza l’occhio a FASK e i primi Verdena, mescolando le carte di un post grunge con sonorità di ampio respiro in un turbinio di emozioni positive.

Il ritorno a casa è segnato dalla necessità di porsi, di farsi delle domande e forse anche nel rendersi conto che qualcosa è cambiato, nulla è come prima e la sostanza che prima ti apparteneva ora risulta essere motivo per ulteriori cambiamenti, per essere migliori e concentrati in un’idea di relazione che va ben oltre il comune pensare, in un’ottica di talentuosa rinascita e possibile vittoria.

Marco Fiorello ce lo dice, ci dice che la casa è Un posto buono da restarci dentro e ancora in Voglio il mio tempo: Noi grideremo sempre più in alto, non ce ne andremo, a sancire un pensiero indelebile in Dove è ancora più profondo: Vieniti a sdraiare, questo appartamento ha una sua magia.

Un disco per porte chiuse, sogni da vincere e fatiche da superare, alla costante ricerca di un suono che sempre più si fa vero, di quella veridicità che solo il tempo sa maturare.

Odiens – Prima incisione (Beta Produzioni)

Innamorati del sole e del vento che ti scuote i capelli mentre sei ammaliato da una cabrio targata ’60 che ti scuote a dismisura in un film in bianco e nero dove le balere estive facevano da contorno all’Italia della rinascita.

Prima incisione il disco degli Odiens è un concentrato di suoni miracolosamente tendenti a sonorità genitoriali che imprimono una gradevolezza esterofila al beat dei primi Beatles e si accostano facilmente a perle sonore suonate direttamente da Corvi e soci.

Un disco fresco, genuino, suonato e riportato con strumenti vintage dal grande carattere, dove i nostri scomposti e ricomposti per l’occasione non si limitano solamente a ricreare un mondo, ma lo fanno con un piglio assai indie, assai underground, ricco di quei suoni che riempivano i locali pieni di fumo dove l’ora per tornare a casa non arrivava mai.

Non soltanto quindi una musica ballabile, ma anche musica impegnata dove il valore aggiunto nei testi e nella voce incisiva e tagliente di Flavio De Cinti, si amalgama ad un songwriting che non lascia nulla per scontato.

Si analizzano testi sghembi e ironici, battute proverbiali e attimi di follia adolescenziale, su tutti Voyeurismo, L’educazione sentimentale e la bellezza al pianoforte di Carta da Parati.

Il miglior disco 2015 ascoltato fino ad ora; mi auguro di non sbagliarmi, se dico che questi ragazzi lasceranno un segno, disegnando un ponte tra passato e presente, nella musica italiana.

John Mario – Per fare spazio (Cabezon Records/Audioglobe)

Grande passione per i suoni anni ’90 in questa nuova prova di John Mario, musicista veronese, ai natali Mario Vallenari, già indiscusso e carismatico esempio di personalità musicale a tutto tondo, artista poliedrico che spazia dal cantautorato italiano alle incursioni blues folk del progetto parallelo Dead Man Watching fino alla compiutezza nella gestione di una piccola etichetta la quale ha dato alle stampe i dischi di Veronica Marchi e The Softone, passando per Nicola Battisti e Facciascura citandone solo alcuni.

Per fare spazio nasce dall’esigenza di trovare un proprio posto nel mondo e di riscoprire la bellezza nella quotidianità, un viaggio introspettivo che accarezza le corde dell’animo fino a concentrarsi su ciò che occorre veramente fare e su ciò che effettivamente occorre tenere per essere ancora esseri pensanti e indipendenti.

Un disco dall’impostazione indie rock che regala piccoli sprazzi di sperimentazione sonora targata ’90 incrociando chitarre smithesiane e inglobando orizzonti sonori con drum machine sincopate, battenti e un’elettronica accennata a impreziosire gli undici brani del disco.

In un attimo in Dalla tua Ford si incrociano gli Smashing Pumpkins di 1979,  passando per Counting Crows e abbracciando, nella maggior parte dei pezzi presenti, un cantautorato puro, cristallino che ammicca al naif, sincero e organizzato a tratti scomposto, ma sempre al centro del tutto in una prova che conquista e che convince per fruibilità immediata.

Un album quindi, forse un concept album, dal sapore agro dolce, che accosta ballate sonore ad altrettante trovate musicali che stupiscono e confermano la capacità di questo ragazzo di dare vita ad ogni parola pronunciata.

Felpa – Paura (Sussidiaria / Audioglobe)

Essere così lontani, su di un pianeta deserto e ascoltare il silenzio che ti inonda e ti include in qualcosa che non riesci a spiegarti, a cui non riesci dare un significato palese, ma ti può far ricordare quanto maestosa può apparire attorno a te la galassia, oscura, perduta, fioca di luce e priva di sorrisi.

Paura segue Abbandono, e Paura è anche il nome del nuovo disco di Felpa, Daniele Carretti, degli Offlaga Disco Pax e Magpie, che si cimenta in una prova discostante, lisergica ed eterea in cui il cantato si sovrappone segnando linee melodiche in testi che parlano della paura di affrontare il mondo, quasi fosse un tuffo da un trampolino esistenziale, dove i ricordi si fanno vivi, veri; apparente certezza di un mondo che forse non ti appartiene più.

Daniele parte in sordina con la strumentale cavalcata Buio, che via via si apre per dare spazio al cantato sonoro di Inverno e scorrendo traccia dopo traccia fino a contemplare la luce.

Discesa e salita verso il soprannaturale che non è mai stato così naturale come ora, tra incursioni islandesi di post rock fino a comprimersi elegantemente in frame di fotografie da applicare nell’album della vita.

Ecco allora che dentro al packaging appare un frame, vuoto, una foto scattata o che ha bisogno di essere scattata, come fosse un ricordo a cui dare un nome, come fosse musica da ammirare in rigoroso silenzio.