The heart and the void – The loneliest of wars (leOfficine)

The heart and the Void lo conosco bene, è passato di qui con le prime autoproduzioni, i primi EP e finalmente è arrivato al momento del grande salto con un disco completo, intenso, sincero e vissuto. L’artista sardo è un concentrato di parole e bellezza da ammirare affacciati al fiume della vita che ingloba e nel contempo sussurra parole d’amore e di speranza, un cantautore di certo talentuoso che dopo aver girato di gran lunga la penisola è riuscito ad imbastire un album completo ben ponderato e calibrato che raccoglie l’eredità del passato e centrifuga un desiderio innato nel mescolare il sempre citato The tallest man on earth, passando per Iron & Wine, An Harbor senza dimenticare i grandi che hanno fatto la storia della musica d’autore come Dylan o Nick Drake. Attraverso dieci pezzi il nostro raccoglie una pittura velata da una leggera tristezza e malinconia, un’introspezione profonda tipica dei poeti della terra d’Albione, un mix di emozioni struggenti che possiamo scegliere se far scivolare lungo l’ascolto dell’intera produzione oppure, come consiglio, prenderle e portarle nel posto che abbiamo più vicino al cuore, là dove tutto nasce e tutto muore. The heart and the void si conferma essere una delle voci più rappresentative del folk italico, un cantautore da seguire negli anfratti della nostra penisola, dalla pianura alla città, dai mari fino alle montagne imponenti e lontane.

Han – The Children (Freecom/Factory Flaws)

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Stanze dentro a stanze pieni di rimandi enciclopedici ad un alternative elettronico e sospeso, affilato nel dream pop e nel trip hop in un sostenere una voce sublime nell’ entrare nelle viscere del nostro essere persone quanto tali affermandosi in un bisogno di raccontarsi attraverso pezzi che narrano e si fanno svolta. Han ci regala un esordio importante, quattro canzoni che possono essere anche quattro singoli con le corrispettive versioni riadattate da artisti come i padovani Klune o dal progetto elettronico Safe Shelter, senza tralasciare The Children rivisitata da Daykoda e 1986 da dj Kharfi con il fiorentino Greg Haway. La nostra giovanissima autrice ingabbia le inquietudini di un’età attraverso un’eterea visione d’insieme che ricorda le peripezie di Francesca Amati con gli Amycanbe o gli internazionali Lali Puna dipingendo stanze e affreschi che si fanno narrazione preponderante nel frastuono di ogni giorno, incasellando singolarmente i suoni distinti nitidi e necessari alla costruzione di queste architetture in divenire, quasi mistiche e di certo eleganti nella loro complessità. Bellezze che escono e si consegnano quindi, perle in quantità ridotta da riascoltare in modo ipnotico più volte attentamente.

Cumino – Godspeed (Autoproduzione)

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Viaggi essenziali in ambienti solitari dove l’occasione per ritornare e incontrare un mondo in decomposizione si perde con l’onirico vagare elettronico di un duo composito per eccellenza capace di scrutare l’animo umano, integrare sogni, ambientazioni, emozioni che scatenano e si dipanano lungo l’intero ascolto di questo trattato atmosferico. La musica dei Cumino sembra immediata, ma così non è. I suoni prodotti da Luca Vicenzi e Davide Cappelletti si rifanno alla folktronica di Fout Tet e amplificano le vedute con imprese che dondolano attraverso una coperta calda e ammaliante, un qualcosa che scalda e che ti rapisce fino alla successiva canzone, fino all’ennesimo pezzo d’atmosfera. Godspeed è un album multistrato ingigantito a dismisura dalla bravura dei due musicisti, un disco che racchiude al proprio interno undici tracce tra divagazioni ed elucubrazioni easy listening ed un qualcosa che si conficca nella carne e non riesce più a svanire, almeno per ora.