Stanze dentro a stanze pieni di rimandi enciclopedici ad un alternative elettronico e sospeso, affilato nel dream pop e nel trip hop in un sostenere una voce sublime nell’ entrare nelle viscere del nostro essere persone quanto tali affermandosi in un bisogno di raccontarsi attraverso pezzi che narrano e si fanno svolta. Han ci regala un esordio importante, quattro canzoni che possono essere anche quattro singoli con le corrispettive versioni riadattate da artisti come i padovani Klune o dal progetto elettronico Safe Shelter, senza tralasciare The Children rivisitata da Daykoda e 1986 da dj Kharfi con il fiorentino Greg Haway. La nostra giovanissima autrice ingabbia le inquietudini di un’età attraverso un’eterea visione d’insieme che ricorda le peripezie di Francesca Amati con gli Amycanbe o gli internazionali Lali Puna dipingendo stanze e affreschi che si fanno narrazione preponderante nel frastuono di ogni giorno, incasellando singolarmente i suoni distinti nitidi e necessari alla costruzione di queste architetture in divenire, quasi mistiche e di certo eleganti nella loro complessità. Bellezze che escono e si consegnano quindi, perle in quantità ridotta da riascoltare in modo ipnotico più volte attentamente.