PoorMan Style – Rabbia Dub Style (Autoproduzione)

C’è tanto di quell’inesplorato nella musica emergente italiana che a pensarci bene ciò che conosciamo è solo la parte di quell’iceberg soporifero che ci accingiamo ad ascoltare magari per radio o distrattamente in qualche grande magazzino o centro commerciale.

I PoorMan Style navigano però su altre onde, perché la loro musica prima di tutto si incanala tra il reggae il dub e il funky e poi perché è portatrice di un suono di denuncia e allo stesso tempo di pace.

Un album creato per abbattere le nostre convinzioni e ancora di più un disco elaborato per dare un senso al tutto, da ciò che viviamo giorno dopo giorno, alla nostra convinzione di essere infallibili e imbattibili, anche se non lo siamo.

14 tracce che raccontano delle nostre debolezze e delle nostre paure, ma affrontate e viste in maniera diversa e più reale.

Un affronto alla realtà che si fa vivo nei ritmi di Musica Nuova per percorrere un lungo cammino da consegnare Nelle tue mani, recipiente di vita e protezione che ancora ci accomuna.

Un mondo quindi che cade a pezzi cantano i nostri, ma cantano anche la volontà di ricreare questo nostro meraviglioso mondo, racchiuso da speranze mai tradite e da sogni sempre nuovi.

Black Elephant – Bifolchi Inside (RudeRecords)

Diciamo che sono brutali, energici, e hanno quella strafottenza quasi osannata e finemente sospettata delle rock band più estreme.

Diciamo che questi sono di Savona, si chiamano Black Elephant e fanno uno stoner mescolato all’hardcore incrociato al brutal, cantato a tratti in italiano a tratti in inglese.

Un insieme di generi che vanno oltre il punk lanciando grida gutturali da profondità abissali e ricche di concentrazione delittuosa, tanto da poter inghiottire tutto ciò che ha la parvenza di aver un minimo di vita.

Un disco per pochi, scandito da una batteria bella larga che si lascia le pelli alle spalle, dove la qualità non conta, ma l’energia è punto focale per una buona riuscita e per una buona presa generale.

Un album quindi velocizzato ed estremo, in cui ci si concede il lusso di coverizzare in maniera spinta Male di miele degli Afterhours, lasciando il resto tra abissi profondi di ombre sonore cariche di vita.

Like a Paperplane – Unfolding Light (OverdubRecordings)

Cieli e spazi indefiniti che piovono miracoli di stelle lucenti da prendere e delicatamente custodire.

Aerei di carta che si innestano a coprire foglie di alberi spogli e sostanza, dove se ne trova, a rischiarar dalle nuvole e poi il sereno.

Abbondanza di post rock nel nuovo disco dei Like a Paperplane, che mira a costruire una trama sonora fitta ed efficace, capace di raggiungere profondità in bagliori di luce e possibilità di vita, vera, autentica.

Il primo full length è passione cosmica per l’indefinito e per quell’elettronica che fa da contorno a cavalcate sonore che si prestano ad abbozzare un paesaggio lunare pronto ad essere scoperto e assaporato.

Dieci tracce che tendono, nella loro interezza, alla perfezione, in quadro non del tutto definito, ma ricco di sostanziali e ipnotiche aspettative.

Mulhollan Drive – La misura dell’equilibrio (Pagina 3/FarmStudioFactory/Audioglobe)

Disco d’esordio per il quartetto umbro che tra testi cupi e introspettivi ci porta alla scoperta di un mondo segreto, arcano, di indubbia poesia e carico di figure emotivamente oniriche che graffiano come la voce particolare e distinguibile di Lodovico Rossi.

Omaggiando Lynch i nostri prendono il rock più cupo per incrociarlo con lo stoner e il post grunge arrivando a confezionare un progetto molto credibile e cantato totalmente in italiano.

Un sali scendi emozionale legato dalla ricerca di se stessi lungo lo sviluppo delle tracce che ricordano i luoghi bui, con poca luce del film di Lynch e che parlano di amori e speranze da seguire in una dimensione che solo nel finale si scopre essere solo la proiezione di un desiderio che mai e poi mai riuscirà ad avverarsi.

Importante l’incontro con Matteo Carbone e Paolo Benvegnù, che del disco hanno curato la direzione artistica lasciando trapelare sostanza mai esibita e osannata, ma lavoro di cesello, impreziosendo canzoni che di per sé possedevano già un forte valore.

Andata e ritorno quindi nell’indefinito a riscoprir se stessi e quella parte di noi che ha bisogno di essere compresa in una continua e profonda vertigine, che però ci fa sentire vivi.

Lettera 22 – Le nostre domeniche (Libellula / Audioglobe)

La pura essenza della sospensione del tempo, una clessidra di un passato ormai lontano che si affaccia inesorabile al presente, tentando e volendo cambiare qualcosa, ma senza un’opportunità, senza quella possibilità di vincita che spetta solo agli eroi.

I lettera 22 non sono eroi, sono persone comuni, che intersecano vite, armonie quotidiane e illusioni vanificate da un mattino grigio seppia che si contorce dentro a noi cercando di fare uscire il tanto sperato amore che poi stride con la quotidianità.

Le nostre domeniche è un disco meditativo, un intreccio di storie che tutti abbiamo vissuto e che in qualche modo ci rendono partecipi di un progetto più grande.

Usciamo allo scoperto e assaporiamo il mare, assaporiamo la poetica di quasi tutti i pezzi  firmati da Arianna Graciotti e come non possiamo sentirci dentro l’abbandono delle cose perdute, la nebbia e l’umidità che avanza.

Musicalmente si incrociano Perturbazione a Intercity con qualcosa dei Mambassa a risvegliare quel gran bel pop che aveva fatto la musica italiana dal 2000 in poi, prima di arrivare alla semi-deriva attuale.

Un album di grande musica italiana quindi, nessuna canzone è da escludersi, un cammino che parte da Contanti per finire con la title track Le nostre domeniche, prodotto arrangiato e anche qualcosina suonato da Paolo Benvegnù, il secondo disco dei Lettera 22 si appresta ad entrare tra le migliori proposte del 2014, conturbando con una ricetta mista al desiderio di recuperare il tempo perduto.