Magasin du café – Landscape (HK-Media/Believe)

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Abili musicisti capaci di ricoprire substrati musicali attraverso architetture di puro impatto sonoro che evidenziano la bellezza di pezzi che pescano nel repertorio dei grandi della musica classica e contemporanea in sodalizi rivisitati davvero eccezionali e d’intrattenimento esplosivo. Un disco fatto di quattordici pezzi dove otto sono gli inediti della band per canzoni in divagazioni sostanziali che sembrano accompagnare le orecchie dell’ascoltatore attraverso mondi lontanissimi, attraverso mondi infiniti che parlano un linguaggio di facile appeal e soprattutto portante per emozioni perennemente in divenire. Landscape è un quadro di un paesaggio che si immedesima con l’interno del nostro vivere, è la circostanza che di getto trasforma Allievi, Borra, Santoru, Floris in un quartetto esplosivo capace di creare con l’abilità delle mani qualsivoglia atmosfera dello scibile umano, per un disco che nella sua poetica di fondo racchiude all’interno una bellezza più unica che rara.  


The Sonora – The Sonora (Believe)

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Suoni compressi e rock dove la rabbia segna l’abbandono e conquista lidi di inoppugnabile qualità e si fa largo attraverso canzoni scritte in un lasso di tempo lunghissimo. Più di dieci anni di passioni e ammirazione per una musica senza confini e capace di entrare nelle corde di chi ascolta attraverso un facile appeal caratterizzato da ritornelli contagiosi e da un buon gusto pop mai edulcorato. L’omonimo dei The Sonora è un album che parla di quotidianità attraverso la qualità delle canzoni proposte, niente di trascendentale certo, ma un buon pop rock eterogeneo a dovere che si sofferma sulla diversità dei brani e ci consente di entrare in un mondo intimo fatto di sogni infranti e desiderio di rivalsa nei confronti di ciò che non va bene con la speranza che qualcosa prima o poi possa cambiare. I The Sonora partono da qui per identificarsi come fautori del cambiamento, dall’iniziale potenza di Rub it fino a Coming Storm i nostri lanciano segni di presagio e stabiliscono un equilibrio importante nella ricerca continua della perfetta canzone da stadio. 


The Blue Giants – Flamingo Business (Autoproduzione)

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Puro Rock’n’roll dalla provincia di Vicenza in sodalizi con una musica ammiccante al passato che trova in questa modernità un punto di svolta o forse una pure e semplice ricerca delle origini che diventa contrappunto sonoro per questa ed altre soddisfazioni. Dai Ten years after fino ai Led Zeppelin i nostri non fanno dell’originalità un’arma vincente, ma piuttosto ricercano egregiamente una purezza di suoni dimenticati che nell’immediatezza e nell’urgenza trovano un forte impatto emozionale capace di scardinare e rendere attiva quella parte dormiente del nostro cervello. Flamingo Business è un album di puro rock di qualche decade fa, un album grandemente suonato, una prova artistica che se solo in futuro riuscisse ad osare di più permetterebbe ai nostri di guadagnare posizioni nel panorama di genere della musica italiana. Questo resta comunque un disco composito, dove le architetture non sono di certo banali e dove la speranza di compiere una rivoluzione ha gettato le basi in questa manciata di canzoni sovrapposte e dannatamente vissute. 


Le donne di Magliano – Donne che cantano le donne (Believe)

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Donne che cantano canzoni popolari in un progetto d’insieme che va oltre le implicazioni di genere, donne che si ritrovano per unire quel filo comune tessuto tra passato e presente, un suono d’amore per la propria terra e per le proprie radici, guardando però il tutto con prospettiva interiore che apre a nuove soluzioni, a nuovi spunti per questa odierna società. Le donne di Magliano uniscono mondi apparentemente lontani, generazioni a confronto, donne dai dieci ai settant’anni che, attraverso uno spirito comune, ridonano identità ad una terra riscoperta tra le mura di un borgo medioevale in Toscana, tra la pietra, i sassi, il grano e la natura a riscoprire pezzi di se stesse stampate su di un cielo infinito. Donne che cantano le donne è un laboratorio di musica popolare, è un qualcosa di più che il semplice trovarsi, è piuttosto il ristabilire atmosfere identitarie parlando con il linguaggio di un tempo perduto, un linguaggio semplice ma carico di bellezza da percepire verso dopo verso, stornello su stornello. 


 

Carmelo Amenta – L’arte dell’autodistruzione (Altipiani/BarbieNojaRecordings/Audioglobe/Believe)

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Lettere d’amore mai spedite e lacerate al suolo della modernità per una musica viscerale consumata nell’attimo appena trascorso e intrisa di significati e atmosfere dark, oscure che rimandano ad una new wave post ’80 e affacciata vigorosamente a suoni che abbracciano i Marlene Kuntz dell’ultimo periodo dove le poesie in dissoluzione si sposavano con suoni arpeggiati, incalzanti e a tratti distorti ed esplosivi. Il nuovo di Carmelo Amenta è un pugno allo stomaco, un grido d’amore sofferto che si consuma nell’attimo dell’attesa, nel momento in cui non esiste più nessuna certezza per il domani. Una musica d’insieme capace di incanalarsi nelle sofferenze di chi non riesce più ad alzarsi, di chi non ha più la forza per combattere. Fuori da ogni accozzaglia di progetto ammiccante L’arte dell’autodistruzione è per primo bisogno essenziale nell’avere, ancora una volta, con sempre maggiore necessità in Italia, dischi di questo livello. Soffuse ricerche, sperimentazioni ambigue, bellezza oscura esplosa, inadatta ad ottenere il risultato sperato, ma piena di quella linfa vitale che rende ancora unico il ricordo di una musica di grande qualità. 


RAFT – Fuoricorso (Believe)

Album che parte con il piede giusto per cercare una propria via da seguire pur conoscendo le insidie e le difficoltà di una tipologia musicale abusata e che soprattutto ai giorni nostri è possibilità immediata per fare colpo alzando in alto la bandiera dell’originalità. Di originalità però in questo disco non si parla, piuttosto si cerca, attraverso suoni moderni, di comunicare un pensiero, un’opinione che interagisca con la quotidianità e con ciò che ci troviamo ad affrontare, un grido silenzioso che spazza le consuetudini con un suono aperto che trova nella comunione del rap, del funk e del pop un punto da seguire, un bisogno essenziale di spiegare il mondo dei giovani da una finestra nuova, da una nuova dimensione. L’universo raccontato dai RAFT è una terra che corre alla velocità della luce, un terra in dissolvenza che si domanda e che ricerca, un mondo carico di pensieri e di abitudini conformate da rimpiazzare con qualcosa di vero, di duraturo, oltre l’abuso tecnologico, oltre l’abuso del pensiero condiviso. 


Swingrowers – Outsidein (Freshly Squeezed Music)

Swinggrowers Outsidein

Swing senza retorica capace di abbracciare un tempo lontano, un tempo che non esiste più, pur proiettando il tutto all’interno di questa modernità fatta di luci e ribalta, club e grandi palchi ad infarcire un suono che si nutre della gente, delle persone, una musica che parla all’anima e dalla stessa anima prende il passato e lo rivisita in chiave moderna, in chiave del tutto attuale. Gli Swingrowers sono un super band davvero, hanno girato il mondo con la loro musica, dall’Europa fino al lontano Oriente, passando per il Nord America e la nostra e loro Italia. Una band dal forte piglio internazionale che con il loro nuovo Outsidein si garantiscono lo scettro di vincitori di un elettroswing contaminato con un qualcosa di più fresco, ballabile e ricercato, un suono d’autore smembrato che nella velocità della soluzione intasca un risultato sorprendente e di puro impatto con pezzi simbolo come No strings attached, My mood, Healing Dance, Here to stay. Canzoni mutevoli e cangianti quindi, pezzi di intelaiature vintage che con suoni jazz di una dance d’avanguardia donano pura bellezza a questa nuova impresa compiuta. 


Cartabianca – Finalmente (Believe)

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Cantautorato dall’approccio punk che se ne frega delle mode odierne per instaurare con l’ascoltatore un rapporto che vede nel rock d’annata il punto di svolta, il ponte capace di unire passato e futuro, non disdegnando di certo le convinzioni e i ritornelli maledettamente pop, pur mantenendo di fondo un’anima, un pensiero, un modo di intendere il mondo, di costruirlo e in qualche modo di capirne vizi e virtù. I Cartabianca sono tornati con un disco affilato, un modo di unire le contrapposizioni, gli ossimori, intrappolando nella rete della quotidianità racconti che si fanno portavoce degli ultimi del nostro universo o del loro e di chi magari viene dimenticato attraverso un suono a tratti viscerale e a tratti dolce e cullante, ma senza tralasciare di mostrare, attraverso gli specchi della realtà, la natura distorta dell’uomo, la natura contrapposta dei protagonisti di queste canzoni. Pezzi come Cazzate anni settanta, L’altra storia, Principe rosa, Melina, Tetti sono l’esemplificazione di una prova che segue inevitabile la propria corrente, il proprio credo personale e questo al momento basta. 


Riccardo Gileno – The Curse EP (Autoproduzione)

Rialzarsi dalle cadute quotidiane, lottare contro l’indefinito e contro quella capacità dell’essere umano di creare ambientazioni non più adatte alla vita, ma piuttosto luoghi, zone, dove perdersi e lasciarsi affondare e dove lottare ancora sembra l’unica cosa necessaria per poter vivere nel nostro tempo. Riccardo Gileno dà alla luce un piccolo disco di quattro tracce, quattro canzoni fatte di chitarre acustiche e voce in primo piano, un cantautore sensibile al mutare della marea, allo stravolgimento del nostro essere, alle fasi lunari che ci interessano da vicino. Quattro pezzi in solitaria che aspirano a trovare la luce laddove la luce sembra disperdersi nei punti più bui della nostra coscienza, un EP che si snoda tra atmosfere alla Nick Drake, passando per le solitarie immagini sofferte di Damien Rice pur custodendo un animo intrappolato nella musica degli anni ’70 e nei cantautori più introspettivi che hanno fatto grande la storia della musica. The curse parla di maledizioni in musica, di tutto quello che conosciamo e che da un momento all’altro può trasformarsi travolgendo pensieri e illusioni perenni in stati di verità sospinta. Un cantautore dell’animo umano Riccardo Gileno, un musicista che attende con speranza illustrazioni di vita che saranno prima o poi le immagini perenni e fondanti di nuovi dischi, di nuove canzoni.

Antarte – Isole (Megaphone Label/Goodfellas)

album Isole - Antarte

Strumentale d’atmosfera che si inerpica su scogliere lambite dal mare e capaci di penetrare gli anfratti oscuri, gli anfratti della nostra coscienza in un vortice compresso di musica che dissolve le certezze e trascina le nostre ambizioni nei territori inesplorati della nostra anima attraverso un rock che ha il sapore del post e della musica d’oltremanica in connubi davvero potenti e sognanti, oniriche visioni di pace dei sensi e traguardi importanti e sublimi da raggiungere. Contorni quindi oscuri e cupi che si aprono in un disco davvero ben congegnato, strutturalmente mirato ai grandi concept del passato e imbrigliato all’interno di una luce salvifica e immortalata nell’istante, canzoni che sembrano dipinti materici pronti a stupire, Turner pittore che incontra l’eterea immaginazione della musica islandese e delle suite sonore dei primi ’70 congegnando ad arte stelle che brillano fino all’ultima nota. Isole è un concentrato di difficile spiegazione, è un viaggiare nei territori umani dove quello che costruiamo sarà bisognoso di apporti sempre nuovi per tessere le trame dei nostri cuori, trame collegate da vene, arterie, capillari pulsanti vita, trame riscoperte per l’occasione all’interno di un album davvero importante.