Fast Animals and Slow Kids – Alaska (Woodworm)

Opera sonora variegata che si caratterizza da una maturità compressa e pronta a scoppiare ad ogni secondo.

Il terzo album dei FAASK è un fiume in piena di emozioni sonore, dal caratteristico sapore glaciale, un misto di strade da percorrere e punti di svolta da cui ripartire, angoli ciechi in una strada ricoperta da grattacieli in cui la via di fuga non è proprio a portata di mano, ma si nasconde nel posto più vicino alla nostra anima.

Il cuore, quindi, in questo disco più di tutti gli altri si sente il cuore energizzante che strappa e lacera, che si contorce in grida di dolore e squarcia orpelli aerei in voli silenziosi, dall’azzurro cielo all’azzurro mare, un po’ come quando si torna bambini guardando l’immensità del mondo.

Un album immenso quindi, circolare, essenziale, mai banale, che stupisce per cariche sonore e sprazzi di inquietudine quotidiana pronta a ritagliarsi un nuovo terreno per ripartire.

Sono dieci pezzi, gridati a squarciagola, per non sentire più tutto l’universo intorno, canzoni che non prevalgono, ma che tutte fanno parte di un percorso ben preciso, che i nostri sanno di poter realizzare: titoli azzeccati e rumori che si impadroniscono di noi in un continuo e lungo atto infinito.

Un album che a priori, regala attimi di luce nel buio e ti fa, anche solo per un po’, essere migliore.

Fast animals and slow kids – Hybris (Woodworm)

Il progetto Fast imagesAnimals and slow kids è un concentrato di bravura e talento legato dal filo sottile, ma percettibile dell’armonia e del rumore, del suono pesante, ma allo stesso tempo delicato; con stile, i 4, confezionano una prova sopra ogni aspettattiva toccando vertici altissimi di vera poesia, sia nei testi che negli arrangiamenti, questi ultimi mai banali e accomunati per certi versi alle distorsioni di Gionata Mirai del Teatro degli orrori.

Un album molto maturo quindi, che raccoglie il lato migliore della prosa rock degli ultimi anni miscelando uno stile che si dava per morto, ma che con capacità rinasce nelle mani di Alessandro, Alessio, Aimone e Jacopo.

Il suono concentra il punk dei Nofx con l’indie distorto dei Sonic Youth e i testi dei Zen Circus.

La voce risulta graffiante e irriverente come in “Fammi domande”, mentre raggiunge picchi decadenti in canzoni come “Combattere per l’incertezza” e nella splendida “Maria Antonietta” dove un perdono serve a poco quando siamo già grandi.

E’ un album, questo, che si interroga sulla morte delle relazioni e sulla capacità introspettiva di vedere il proprio mondo riflesso in una società immobile e inerte.

Come Capovilla si interroga in “E’ colpa mia” qui Aimone in “Canzoni per un abete parte II” si interroga sulla colpa di non avere colpe in quanto ciò che ci circonda ha distrutto molto di buono del costruito: rendendo a pagamento anche l’aria che respiriamo, rendendo meno facile il vivere normale.

Per questo i 4 ragazzi umbri riferiscono un’urgenza nel loro esistere, un’inquietudine resa più che mai dalla cover del disco: la desolazione di una città lontana, mentre noi formiche bruciamo al sole sopra una terra che, con quel poco che ci assomiglia, ha smesso di far nascere fiori.