Piano Che Piove – In viaggio con Alice (Autoproduzione)

Tutto calibrato pesato e soppesato, un viaggio chiamato amore direi io, parafrasando il nostro Campana, un percorso introspettivo sospeso tra la quiete del tenero inverno, accarezzando melodie autunnali, in quieto divenire, forse punto di partenza per nuove strade e nuove esperienze.

In viaggio con Alice racconta la storia, una storia, quella di Alice, che potremmo essere proprio noi, una poesia in musica fatta di fotografie in lontananza sbiadite dal tempo e consumate dagli attimi di amore verso ciò che si fa, l’eterna incostanza della vita che, racchiusa da un petalo di un fiore, dona quell’attimo da cogliere giorno dopo giorno.

Melodie ritmate da sprazzi di bossa nova e jazz palpando il blues con mano e toccando vertici di altissima concretezza tra Patrizia Laquidara e Sylvia Telles in momenti di soffice meraviglia vissuta.

Questi sono i Piano Che Piove e contagiati dal cantautorato italiano dei ’70 si concedono in una prova ricca di sfumature dove a farla da padrone sono spazzole di batteria, chitarre in arpeggio e un contrabbasso pieno ma mai invadente.

Un disco da ascoltare in auto, rilassati, tra i sedili di un’eterna Primavera che stenta ad arrivare.

TuttoNERO – Tuttonero (I dischi del minollo)

I torinesi TuttoNERO al loro album d’esordio colpiscono per vivacità della proposta e capacità espressiva, cantautori stralunati che si concedono e lasciano da parte le cose serie per raccontare, sorridendo, di un’Italia che non c’è più, di un ambiente desertico dove le incursioni garage blues si diffondono tra chitarre taglienti e leggermente gainizzate dove al sole si sciolgono speranze e passioni, amore verso un qualcosa che non c’è più da riconquistare, da fare proprio.

Ecco allora che i testi sono parte fondante della canzone, sono ricerca di un comune sentire che si fa forza nelle attitudini quotidiane, canalizzate come vittorie, come vincite sonore che stupiscono ed estraggono pensieri per dissacrare una popolazione allo sbando tra attimi di luce e vuoti cosmici di tunnel in decomposizione.

Un disco che parla di Noi in modo completo,  un racconto psichedelico che prende vita grazie ai cinque, tra oscurità e bellezza nelle tenebre  attraversate da suoni ben impostati e sicuramente di gran impatto.

11 canzoni che sono anche consigli, brani che ti entrano facilmente nella mente per donare in qualche modo speranza nel cambiamento, attesa e pensiero che nella veridicità della proposta si fa protesta ora e sempre.

Brani che scorrono veloci da La gente media a Nero, un buco oscuro che si riempie di linfa vitale ed energia, melodrammatica messa in scena di una vita che è anche la nostra.

Eugenio Rodondi – Ocra (Phonarchia Dischi/Audioglobe)

Questo disco sa di terra, di sabbia, quella che calpesti nelle giornate al mare, bagnata leggermente da secchielli sparuti e poco interessati a dare linfa vitale ad un terreno troppo caldo per essere compreso.

Eugenio Rodondi al suo secondo disco si appassiona al cantautorato febbricitante che esce direttamente da un film di Morricone, tra pietre scaldate al sole e lucertole che cercano un leggero refrigerio all’ombra di qualche foglia d’erba.

Il cantautore torinese sancisce definitivamente la propria maturità con un progetto artistico che spicca per talento e capacità vocale, la prima forse a farsi notare, tra ballate ironiche e meditative come solo il migliore Tom Waits sa confezionare.

Un album che tocca i campi, i cieli azzurri e i prati, che parla in prima persona della difficoltà di trovare un posto di lavoro, quest’ultimo preda quotidianamente di classismo sociale, dimenticando la vera essenza del tutto, tra ignoranza e un mondo fatto di finzione.

Una prova quindi che denota carattere solare e riflessivo, colto e mai banale, un risveglio  naturale che sa di giallo carico, tra note di acustica a marcare un territorio fatto di colpi di scena e sostanza.

Quasi come essere dentro ad un film quindi, dove i protagonisti siamo noi alle prese con i piccoli e quotidiani misteri della vita che per quanto piccoli alle volte sembrano inconcepibili.

Edoardo Chiesa – Canzoni sull’alternativa (DgRecords/L’Alienogatto)

Edoardo Chiesa è un cantautore che va oltre il concetto di cantautorato e si presta a snocciolare otto pezzi che si rifanno ad un costrutto che tende ad essere opposizione all’alternativa, un generale ricambio di codici che si fanno via via sempre più essenziali.

Forse è tempo di cambiare e di dare un senso diverso al tempo, lasciare in disparte, gran parte delle creazioni italiane di questi ultimi anni e ritornare a fare le cose in modo più classico, dal sapore retrovintage, un modo per ritornare alle origini.

Canzoni sull’alternativa porta all’interno già un pensiero che è veicolo di costruzione di un nuovo modo di pensare, si apre con il botto con l’alternativa e via via si scrollano di dosso dissapori passati ascoltando un blues ben suonato e calibrato, gestito e autogestito, meraviglie sonore che abbracciano testi di velata introspezione e forte capacità visionaria.

Un disco pieno di spunti e di riadattamenti, quasi fosse un circolo da cui non poter uscire e dove le parole acquistano valenza sia nelle intenzioni che nei risultati.

Una cover che viene direttamente da una scatola di cioccolatini, successivamente colorata e pronta a contenere piccole dolcezze un po’amare, come dolce/amara è la vita che Edoardo Chiesa vuole cantare, tra alti e bassi, salite e discese da superare e da vivere.

Le capre a sonagli – Il fauno (Hashtag)

Blues mescolato a tratti convincenti ad un rock gutturale che abbraccia un Capossela indiavolato e pronto a sputare in faccia ad una realtà stretta ed impraticabile.

Divenire sonoro che ci porta all’interno di un religioso ambiente reso inospitale dalla sporcizia che si calpesta, quasi fosse sinonimo di una vita da cambiare, da rendere più nostra e percepibile dal calore umano.

Ecco allora che le diversificazioni blues si stagliano altalenanti ricordando approcci animaleschi e imbracciando le chitarre di T.Bone Walker che spadroneggiando graffiando con uno stile innovativo e sicuramente di forte impatto.

Una voce dal profondo poi fa tutto il resto, esprime, si contorce, ama in una rapida ascesa discesa verso ciò che non conosciamo, verso ciò che non è più nostro.

Un disco che suona strampalato, un concept sul lato oscuro, ma anche ironico di ognuno di noi, un attacco al potere religioso mai conclamato, ma velato da sottile humor nero, in procinto di affrontare catastrofi ben peggiori.

 

Four Tramps – Tramps e Thieves (New Model Label)

Il blues del diavolo, il blues maledetto che circonda di fiamme gli strumenti e li fa suonare al ritmo di un traghettatore lungo i sentieri ripidi della vita, tra forme sonore che si inabissano fino a toccare il cuore più solitario.

I Four Tramps incanalano la loro voracità di musica, nell’essenza di un rock dalle tinte molto blueseggianti dove i suoni vintage ricercati si amalgamano in modo coerente ad una forma canzone che parla nei testi di abbandoni lungo le strade del mondo e della voglia di riscatto contenuta in ogni pagina della nostra vita.

Il progetto nasce nel 2011 attingendo ciò che di meglio hanno da Eagles a Muddy Waters, toccando i Doors, ma anche il più sfrontato Jack White di Ball and Biscuit in Elephant dei compianti White Stripes.

Un disco quindi che suona retrò fin dagli inizi, nulla di inventato certo e nulla di nuovo, ma sicuramente un disco di inediti fatto con il cuore di chi fa della malinconia sognante del blues il proprio appiglio per la vita, tra alti e bassi, situazioni di sconforto e vittorie inaspettate, in un vortice continuo.