Oltrevenere – Oltrevenere (R)esisto

Luce e oscurità che attanaglia e segna il cammino, entrare in un tunnel, in un abisso fatto di passioni e di cause perse, di possibilità e di orrore, tra il sogno e l’incubo, l’onirico e il reale come uno schiaffo che ti riporta a considerare la vita ancora una volta, renderla tale, essenziale avamposto da cui scrutare la novità che ci permette di sopravvivere.

Miscuglio di rock alternativo tra Teatro degli orrori e Tre Allegri ragazzi morti in una commistione che intrappola l’ascoltatore nel concentrarsi in modo costante al divenire spaventoso che ci attende, un mondo parallelo raccontato, vissuto e decomposto da dove poter ripartire, un’immagine speculare di una realtà che non è più tale.

Oltrevenere quindi oltre i pianeti conosciuti, oltre lo spazio sconfinato e accecante per la propria oscurità, mondi diversi, lontani, impossibili solo da pensare, ma che rinvigoriscono l’idea che il tutto dentro di Noi sia finito, un vortice di infinitezza bellissima e concretezza tangibile.

Provenienti da Vicenza i nostri, dopo aver fatto da opening per band come The Zen Circus e Sick Tamburo, si contorcono nell’esaltazione del mistero e creano un album dai toni cupi e decadenti che colpisce fin dagli inizi e via via si inabissa nell’eclissi totale, cambiamento epocale di divergenza sonora che non lascia scampo.

Un disco ben congegnato e studiato che sa di pioggia autunnale e voglia di reagire perché l’emozione più potente è lo scopo di un istante.

Kamera Kubica – Kamera Kubica (R)esisto

Kamera Kubica copertina

Linguaggio diretto, semplice e senza fronzoli che si apre a incursioni indie rock per sottolineare l’importanza di testi che parlano di abbandono e di totale menefreghismo verso una società che non ci appartiene e priva di qualsivoglia aspetto che ci mantiene in vita.

Vengono dalla provincia di Vicenza e sono i Kamera Kubica, band che rincorre il sogno di apostrofare il genere in innovazione sonora, concentrandosi su melodie pop dal piglio rock distorto, dove appunto quest’ultime la fanno da padrone passando per echi di sospirato suono che avanza e colpisce.

Peccano un po’ di ovvietà questo è vero, ma nel complesso il suono che ne esce è un incrocio tra i primi Afterhours e le lisergiche dicotomie dei Marlene abbracciati per l’occasione da un’ubriacatura contorta in simil Muleta, dove il bicchiere mezzo pieno porta il gruppo a sali scendi emozionali.

Si parte con l’esistenziale Sono solo per finire con l’altrettanto esistenziale Io sono qui, passando per i viaggi Se Salperai e Budapest.

Suono distorto e contemporaneamente melodico, dieci pezzi che si concentrano sul ciò che abbiamo avuto dalla vita  e su ciò che ancora possiamo spendere, una direzione sonora ben precisa che, senza fronzoli, mette al tappeto per vivacità della proposta, con l’augurio che questo sia solo l’inizio.