Merzbow, Mats Gustafsson, Balazs Pandi, Thurston Moore – Cuts of guilt, Cuts Deeper (RarenoiseRecords)

Un pugno allo stomaco, un entrare dentro la conoscenza, dentro ad un abisso fatto di olio liquefatto che si scalda al minimo passare che si fa complice di un delitto immutabile, una tragedia in suono che è il perno per l’abbandono e la rinascita, ancestrale raccordo tra due mondi che si fanno portatori di una conoscenza che assurge l’individuo ad essere totalizzante, vero immediato e reale; suoni che escono da qualsivoglia parte di sperimentazione sonora, reale e incomprensibile, sfuggevole e disinvolta: reale materia per i nostri incubi migliori.

Quattro nomi e zero presentazioni: Merzbow, Gustafsson, Pandi e Thurston Moore, ancora assieme dopo il sorprendente Cuts a ricucire ancora le ferite degli animi, ancora assieme a cercare di dare un senso alla esplorazioni verticali rumorose dell’elettronica noise contaminata dal free jazz e dalle incursioni malate di Moore a dare il valore aggiunto ad un disco che non si lascia di certo intrappolare in un determinato genere, ma piuttosto ne ridefinisce altri.

Quattro tracce e due dischi, si si proprio vero, un viaggio nell’inferno cosmico dell’immaginazione, dove ai nostri giorni chi non osa, chi non riesce a riappropriarsi del volo è costretto a rimanere ancorato a radici che ti inchiodano al suolo senza via di fuga.

Il disco è l’esemplificazione totale di che cosa può diventare la musica oggi: opera d’arte contemporanea senza mezze misure.

Mimì Sterrantino & Gli Accusati – Un lupo sul divano (Veneretta Records)

L’Edoardo Bennato del 2015 impresso di uno stile che in parte può essere considerato personale capace di fondere diverse anime musicali tra cui il blues, il country, il folk e il rock in una miscela esplosiva che fa ballare e riflettere, ricomporre il perduto e segnare il cammino.

Il nuovo disco di Mimì Sterrantino è un disco on the road che riprende le sonorità tipiche di un’epoca per riportarle in modo esemplare nell’Italia sconfinata di tutti i giorni, una musica che si presta per il viaggio e come colonna sonora ci riporta all’interno di un film spericolato dove le vicende di vita umana, si confondono in modo aggraziato alla solare presenza costanza di un’acustica che non si fa abbandonare, ma che è compagna di notti insonni riscaldate dalla presenza di un lupo solitario che protegge e segna il territorio.

Un lupo sul divano è un disco che racconta il nostro essere fieri davanti agli altri, pronti a dare sempre il meglio, facendo prevalere un’immagine di facciata che inesorabilmente viene disciolta davanti alla realtà come una candela bruciata dal vento tangibile che ci accarezza giorno dopo giorno, attimo dopo attimo.

Ecco allora perché il nostro in questo disco sottolinea l’importanza di ritornare alle origini, alle cose semplici ed essenziali, alla natura, alla fantasia che ci fa sentire vivi, alla fantasia che ci permette di essere diversi e migliori.

Dieci pezzi che esaltano un mondo, che ne parlano come racconti di vita, partendo da Ringrazio l’altitudine e finendo con Caro Dj, ironico spunto di partenza per cambiare le regole della musica in Italia.

Ironico e dissacrante, quindi, ma carico anche di una realtà che delle volte può far male, Mimì rimescola le carte in tavola, nel gioco della vita, facendoci capire che il caso e il destino sono ben lontani dal nostro essere padroni di ciò che possiamo fare giorno dopo giorno con la nostra volontà.

Herbert Stencil – I Gelati alla moda (Autoproduzione)

Chitarra acustica strampalata in mano che si condensa e si fa liquefatta in elettriche d’abbandono punk rock che si distendono e lasciano entrare violentemente batterie e suoni in suspense che si alternano ai colori dell’improvvisazioni tanto questo disco è marchiato a fuoco da generi che prevalentemente spaziano dallo psycho al beat, dal rock d’oltre oceano al punk gridato a squarciagola che si consuma indifferente alle mode quasi fosse un’esigenza quella di contemplare ancora a fondo un attimo di orizzonte.

Herbert Stencil è un cantautore nato in Sardegna, dopo innumerevoli lavori più o meno rinfrancanti il nostro si concede alla vita da ingegnere, ma nello stesso tempo compone musica stralunata che non vuole rientrare in un determinato genere, ma che si esprime come esigenza essenziale di vita, senza risparmiare nulla e nessuno.

Affiancato nei live da una band e nel disco da una forte dose di sintetizzatori Herbert Stencil si concede senza problemi, abbandona il superfluo per far dell’introspezione nonsense un cavallo per entrare nella ricca città e attraverso un dissacrante uso dei termini, poter penetrare a fondo e non risparmiare nessuno e nessuna.

Meno tasse e più donne naif questo è il suo slogan, in onore di una spontaneità che deve essere ritrovata per poter fare del mondo un qualcosa di migliore; pensiamo a pezzi come Ci ho pensato domani o Quando andavo al conservatorio, per passare dalla title track fino a Il cervello è scaduto: richiami da Gaetano suonato dagli Exploited, Zen Circus e Tre Allegri in un mix di musica sudata fino all’ultima nota.

Un disco che merita attenzione perché risulta essere una prova in stato di grazia, capace di rischiarare il cielo dalle giornate grigie, tra il ritorno delle cose semplici ed essenziali e una maturità raggiunta e tangibile.

Alessandro Sagresti – Ogni giorno (Alka Record Label)

Cantautorato che si esprime docilmente quasi in maniera raffinata fin dagli inizi per aprirsi pian piano ad incontrare sovrapposizioni elettroniche e parole efficaci per narrare un concetto, una storia, che fa parte del nostro essere al mondo e racchiude quella capacità intrinseca di far si che l’amore per la musica si trasformi in un qualcosa di condivisibile e puntualmente preciso.

Alessandro Sagresti nasce a Milano e coltiva dentro si se il pensiero che la musica debba essere rinascita e nuovo modo per affrontare le avversità tra malcelati chiaro scuri esistenziali che si fanno veicolo per accese ripartenze ed uno sperato rinascere che racchiude il senso intero della vita.

Quattro canzoni per un ep ben congegnato, quattro pezzi da Energia Libera passando per l’autobiografia Io sono così, veicolando il tutto con la ritmata Ogni giorno e la chiusura di denuncia Spegni la televisione.

Impressioni e acquarelli in pittura che delineano le esistenze e che si promettono un nuovo inizio, una nuova era per tutti Noi fatta di cose semplici e narrazioni delicate, cariche di quel cantautorato che si da per raccontare.

Senhal – Bianco/Panoramica (Autoproduzione)

Un cantautorato d’altri tempi che si esprime quasi con grazia sopraffina come fosse una donna a piedi nudi sull’erba che danza fino allo sfinimento, tra leggiadre farfalle amichevoli e piccoli insetti che solleticano e salgono pian piano fino a comprimere il tutto in una poesia tascabile fatta di piccoli racconti post prog che per assonanza si rifanno facilmente alla musica targata ’70 italiana, il post figli dei fiori, in video in bianco e nero e purezza sostenuta non conclamata ma che strizza l’occhio in modo convincente fino all’altra parte dell’oceano.

Due canzoni completamente diverse tra loro, Bianco e Panoramica, ma che entrambe si domandano e si interrogano su temi esistenziali guidati da caparbietà e gioco di spirito, Bianco è il precoce invecchiare dell’anima rispetto al corpo, quando uno muore dentro e il mondo che gira attorno è solo sfocato contorno, Panoramica è il vedere da un punto di vista differente gli occhi degli altri, le città degli altri, le strade degli altri, che possono essere anche nostre solo se non perdiamo di vista il nostro vivere ed è ecco allora che il gioco riparte con Bianco e con l’esigenza fatta ricerca.

Un disco suonato e pieno di spessore, capace di andare fuori dagli schemi pur rimanendo in un’ottica di musicalità percepita che va oltre il vissuto, che va oltre la concentrazione per lasciarsi andare in un respiro profondo.

Luca Casali & The Roots Band – Time to smile (New Model Label)

Colori impressi nella mente che si stagliano in modo quasi sopraffino in un caleidoscopio caldo e intriso di quella capacità di raccontare storie attorno al fuoco, anime che per una sera si incontrano e si parlano, parlano di come potrebbe essere stata una vita diversa, narrano di leggende e di lunghe strade da seguire, memorie e solitudini, ampi spazi e raccolti di distese infinite che sono il nulla agli occhi dei più ma che racchiudono il segreto della vita.

La vita che ci racconta Luca Casali assieme alla sua band è una vita fatta dal viaggio, strutturazione composita di una nostra parte del sé che ci permette di sognare ad occhi aperti e far si che tutto ciò che noi vediamo simultaneamente racchiuda i nostri limiti, le nostre speranze e la nostra caparbietà nel ricreare ancora per un momento una parte di mondo dentro di Noi.

Ecco allora che gli strumenti acustici si sposano perfettamente tra capacità espressiva e quella chitarra Weissenborn tanto cara a suoni acidi e d’atmosfera, usata da artisti come Ben Harper, che impreziosisce il tutto trasformando il dobro in un qualcosa di più raffinato e melodiosamente convincente.

Il percorso che affronta il nostro Luca è fatto di fatica e sudore, un fuggire dalla realtà per immergersi nella natura selvaggia, dimenticando stili di vita consumistici e abbracciando di gran carriera un modo di vivere fatto nella  strada e per la strada, intensa ricerca di un altro nuovo io.

Nove pezzi che narrano di elementi naturali sposati in modo indissolubile con noi stessi, entrando e riscoprendo caratteri persi ed energia prima dimenticata, in un vortice emotivo che si concede ad una proposta di ampio respiro.

 

(re)offender – (re)offender (New Model Label)

Cadere lungo lo spazio imprevisto e riconsegnare al suolo polvere e tracce di Noi che si intersecano in modo ambizioso tra strutture chitarristiche, sonore, spiazzanti, capaci di una nuova energia e forma, un costrutto elegante che fa della materia oscura campo di fioritura per un seme che viene accolto e trasformato, elegantemente fecondato e lasciato cullare dall’aria del tempo.

I (re)offender, band di Frosinone, confezionano un disco di leggero shoegaze, intrappolato dalla rete del post rock e dal dark con impresse in modo del tutto inusuale le capacità post wave che convincono fin dal primo ascolto e si lasciano consegnare ai più come fossero piccoli quadri sonori a cui non chiedere troppo, ma appunto la capacità del tutto intrinseca sta nell’ andare a fondo di un concetto amorevolmente consumato e sofferto, mitigato dal cerebrale alzarsi di un leggero spiraglio di luce.

Ecco allora che le canzoni si compongono e si destrutturano compiendo un salto in avanti, un tuffo nell’ignoto della nostra immaginazione, cinque pezzi e nulla di più tra Down for a while finendo con Meeting of feelings, raccontando le incertezze, gli stati d’animo e i dissapori della crescita, unico mezzo per fuggire dal proprio destino ineluttabile.

Un disco seppur di breve durata, che completa un puzzle, un puzzle emotivo che vorremo avere scoperto ancora prima, a riempire con il proprio tassello una parte importante della musica italiana.