Cambio Cane – Due (Autoproduzione)

Cambio Cane, “Due”: recensione e streaming

Copertina metallica che nasconde un cuore di vetro per un disco narrante stati di complicità emotiva che si disperdono nel buio della notte e accarezzano, ti parlano, sfiorano la pelle e sedimentano, sguardi e pensieri, colpi d’apertura verso l’esterno e leggiadra disinvoltura nel dare senso all’indefinibile della vita. Il nuovo album dei Cambio Cane affonda il pensiero dominante negli anni ’90 tra The Carnival of fools, Uzeda, i primi Afterhours, iMarlene Kuntz e i CSI in un rock che non si apre mai a fragorosi disimpegni post moderni, ma piuttosto crea strutture, intelaiature che ben si fondono con l’incrociarsi di voce maschile e voce femminile in una contestualizzazione minimale che sa di introspezione, ma anche di potenza tagliente rappresa nelle parole e nei significati. Traccia maestosa forse, contenitrice di un intero disco resta a mio avviso Notte Larga a definire un insieme di canzoni, nove per l’esattezza che guardano oltre le mode del momento, dando un senso corposo e ben distribuito a questa piccola opera di luce e oscurità, di speranza e di richiami ad un mondo musicale che può e che deve diventare diverso. 


Sendorma – Notturno 1 (Overdub Recordings)

Nessun testo alternativo automatico disponibile.

Rock imbrigliato nella luce degli anni ’90 a disquisire forme e costruzioni che si affacciano egregiamente alle idee mutevoli che avanzano ed esigono di ricercare una sostanza che si fa preponderanza nell’attimo, affondando radici nel vecchio per affacciarsi al nuovo. Immagini in dissolvenza si comprimono nella criptica messa in scena della vita dove a raccontare vicende, personaggi e narrazioni sono i Sendorma attraverso un rock ben ponderato dove i testi sono omogeneità che luccica e abbaglia e dove il substrato e l’apporto di nomi come Luca Vicini, già con Subsonica, Giovanni Versari al mastering con nomi simbolo quali Muse e Il teatro degli orrori portano l’intera composizione ad affacciarsi ai testi elaborati con l’aiuto di Luca Ragagnin, poeta e scrittore che dona potenza controllata ad un cerchio che si chiude e si riapre davvero importante. La traccia d’apertura Alba lenta è qualcosa di eccezionale e ipnotico capace di convogliare materia in pezzi come Diamanti e asfalto, Il potere del silenzio o la finale Notturno per un album composito che sfiora incursioni post rock in grado di diventare bagliore omnicomprensivo oscuro e di rara introspezione.

LED – L’irriverente (Chains)

LED

Disco poliedrico e multisfaccettato che incamera una voce importante racchiudendo speranze per voli pindarici capaci di abbracciare la canzone d’autore con una forma più sostanziale di ricerca, lasciando l’inutilità in disparte e progredendo a gran voce in sodalizi notevoli per un duo formato da Massimiliano Tordini già voce dei Miura e Mesas e Marco Mangone, chitarrista dei La Nuit, un duo capace di preservare la bellezza che ci circonda con appigli essenziali di pura impronta rock con un uso sapiente dell’elettronica a segnare tappeti sonori e chitarre in deflagrazione post rock che concedono parti strumentali in divenire di sicura presa, di sicura resa. Quello che ne esce è un Ep sonante che sconvolge la nebbia intorno alle produzioni moderne e intasca di diritto la possibilità di dichiarare stati emozionali che parlano di noi e di una quotidianità persa nei meandri del tempo e che pian piano, grazie a queste cinque tracce, riesce a riaffiorare in tutta la sua potenza.

Palkosceniko al neon – Radice di due (Autoproduzione)

Assordanti dissonanze che si intersecano con il nostro animo umano a recepire i sottili legami che tengono unite le persone con l’intento di gridare al mondo un proprio modo di essere denunciando abusi e soprusi di una società che ci sta stretta, immagazzinando la prova del tempo e concentrando un rumore di fondo che ben si amalgama con una prova variegata e soprattutto che trova nella forma testuale l’apice nell’inseguire un concetto che si evince da un risultato che colpisce allo stomaco e comprende, ingloba e metaforicamente uccide qualsivoglia ordine precostituito donando ad un rock viscerale i contagi di un hardcore e di un crossover che intersecano a tratti nomi come Teatro degli orrori ed Elettrofandango, scolpendo generosamente canzoni che acquisiscono una propria apertura già con l’iniziale e audace Re nudo fino alla ballata psycho country, lasciata al finale, Sorella minore, passando con rabbia repressa in Tempi moderni, Radice di due e Otto ore, in una contesa rivoluzionaria che non da tregua, ma che piuttosto scava un posto d’onore nelle sotterranee produzioni di genere.

Massimiliano Martines – Ciclo di lavaggio (Dry-Art Record)

Suoni che ipnotizzano e si stagliano oltre l’oscurità tra un sali scendi di parole non sempre rassicuranti, ma che affrescano in modo egregio spaccati di vita in decomposizione e non sono altro che passi nella nebbia del nostro tempo, raccontati con maestria in queste terzo disco da Massimiliano Martines, un cantautore proveniente prima di tutto dal teatro e dalla poesia e che conquista l’ascoltatore con attimi di riflessione pungente raccontando la solitudine, raccontando degli ultimi, quei sentimenti che si fanno strada tentando di lasciarsi qualcosa alle spalle senza però riuscirci.

Il nostro è un cantore non dell’apparenza, pensiamo solo alla stupefacente La guerra dei fiori rossi, che si sposta dall’educazione cinese, passando per Auschwitz fino agli esperimenti americani in Francia sugli effetti dell’LSD.

I suoni ricordano il divagare nordico, l’accento posto su quell’etereo che fa da sfondo, ma nello stesso tempo è anche parte integrante del tutto, è parte viva e partecipe di noi, di quello che proviamo e sentiamo ogni giorno, nel nostro incedere nel nostro non volere morire; ecco allora che il cantautorato prende il sopravvento, il senso delle parole, per vederci più chiaro in questo mondo sempre meno ospitale.