Suoni che ipnotizzano e si stagliano oltre l’oscurità tra un sali scendi di parole non sempre rassicuranti, ma che affrescano in modo egregio spaccati di vita in decomposizione e non sono altro che passi nella nebbia del nostro tempo, raccontati con maestria in queste terzo disco da Massimiliano Martines, un cantautore proveniente prima di tutto dal teatro e dalla poesia e che conquista l’ascoltatore con attimi di riflessione pungente raccontando la solitudine, raccontando degli ultimi, quei sentimenti che si fanno strada tentando di lasciarsi qualcosa alle spalle senza però riuscirci.
Il nostro è un cantore non dell’apparenza, pensiamo solo alla stupefacente La guerra dei fiori rossi, che si sposta dall’educazione cinese, passando per Auschwitz fino agli esperimenti americani in Francia sugli effetti dell’LSD.
I suoni ricordano il divagare nordico, l’accento posto su quell’etereo che fa da sfondo, ma nello stesso tempo è anche parte integrante del tutto, è parte viva e partecipe di noi, di quello che proviamo e sentiamo ogni giorno, nel nostro incedere nel nostro non volere morire; ecco allora che il cantautorato prende il sopravvento, il senso delle parole, per vederci più chiaro in questo mondo sempre meno ospitale.