Mush – Mush (Etichette Varie)

Post punk emozionale che comprime la rabbia del tempo passato e la fa esplodere in modo del tutto naturale grazie ad un’immediatezza che ha fatto scuola e grazie anche ad un apporto tecnico che trova ispirazione nell’attimo di ricerca confezionato ad arte per una band che non smette di gridare il proprio disagio intensificando una musica che attinge proprio dagli anni ’80 il proprio stile inglobando la musica di CCCP, Diaframma, CSI fino alla vibrante prosecuzione di band come FASK a dire a tutto quello che ci circonda che non rimaniamo qua in eterno e il vuoto assoluto è vicino, il tutto condito dall’intervento di chitarre acide in esigenza di richiamo e velocità d’intenti e una base ritmica davvero cazzuta che non lascia respiro e a pieni polmoni sancisce la disfatta in arrivo attraverso queste dieci canzoni di puro impatto che rendono i Mush una delle realtà emocorepostpunk italiane più interessanti degli ultimi anni.

Petrolio – Di cosa si nasce (Etichette varie)

Petrolio lo senti avvicinarsi da lontano, da sotto i piedi che avanza in veste elettronica e sradica preconcetti per porsi nei confronti di un assoluto morente ad intessere trame di abbandono, di dolore, di buio che circonda una prova dove il silenzio o la calma di un pianoforte sono maggiormente discostanti di tutto quello che ci gira attorno, una prova solista quella di Petrolio moniker di Enrico Cerrato, un prova che trasuda potenza che si esprime in modo esemplare passando da un industrial ad un ambient d’ampio respiro, quasi fossero i suoni della terra, le ombre discostanti assuefatte dalla paranoia collettiva e quella strana sensazione di vita che viene via via ad esaurirsi, ad incombere nell’incedere spassionato di tempeste e fulmini cercando una via d’uscita nel labirinto della nostra ragione, ma scoprendo alla fin fine che siamo fatti di molecole pronte a disgregarsi al suolo, tra la materia e l’infinito ecco Di cosa si nasce a fare luce dove luce non c’è.

Colpi Repentini – Duomo ore dieci (Autoproduzione)

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Muoversi sul filo sospeso di una bruttura moderna da denunciare è l’obiettivo che si pongono i Colpi Repentini, band capace, attraverso questo disco, di raccontare di un’Italia contaminata dalla moda hipster, dagli svoltini e dalle barbe troppo curate a far tendenza in un’omologazione diffusa che si perde nell’abbandono dell’essenziale senza interrogarsi sul futuro che verrà. In questo piccolo disco non ci sono generi precisi di associazione, ma piuttosto troviamo un miscuglio eterogeneo di mondi a farla da padrone, tanta musica quindi sapientemente elaborata dai cinque che attinge dal cantautorato e dal beat degli anni ’60 passando per sofisticazioni jazz e swing senza dimenticare blues e dintorni con escursioni sul terreno semplice di un gipsy a portata di mano pronto ad infiammare canzoni che sono prima di tutto uno sfida nei confronti di tutto ciò che ci circonda e sono anche inconsapevolmente un modo per uscire dalle mode preconfezionate dando adito a una situazione complessa e ispirata pronta, indiscutibilmente, a far parlare di sé.