Paolo Bernardi – Impressions (Sifare Edizioni Musicali)

Paolo Bernardi con questo nuovo lavoro confeziona la nostalgia per un passato che non c’è più a ricercare passioni di velluto impresse in fotogrammi dal sapore di un bianco e nero rappreso da rami avvolgenti in distese di campi abbandonati all’inverno.

Un viaggio attraverso i boschi della memoria, in bicicletta, dove il vento ti invade la faccia e dove i sentieri ad un tratto si fanno meno sicuri e poi il ricordo di Tullia, al tempo passato assieme forse, a quell’essere giovani in un’altra era, in un’altra epoca dove i fiori per miracolosa magia rimanevano vivi allo scorrere dei giorni.

In questo disco ci sono le improvvisazioni jazz a cui il pianista ci aveva già abituati, ma c’è anche molto minimalismo a sancire quella corrente emozionale che non ha mai fine.

Notevoli inoltre le leggere incursioni sonore in elettronica di derivazione sotterranea del fratello Fabio che chiude un cerchio fatto di pensieri e note.

Un album ricco, una colonna sonora che si permette di citare cover deliziose come Yesterday dei Beatles o Song for Eia di Michael Jones, un disco da riascoltare più volte in un eterno divenire di correnti post moderne.

 

Nymphalida – Portraits (Tranquillo Records)

Mi piace definire questa musica, una musica senza spazi e confini, da assaporare nota per nota e da dove poter attingere il giusto nutrimento nell’attesa che avvenga qualcosa di importante e di sperato.

Questo è un progetto davvero singolare, dietro a tutto questo troviamo Pietro Bianco che si diletta tra rumori di sottofondi sonori accompagnati da un pianoforte malinconico e ostentato che ricorda il Nyman di Lezioni di piano, atto alla rinascita in divenire di archi sintetizzati e preciso nell’istante di colpire al cuore ancora un volta.

Un suono calibrato e congegnato da quei meccanismi di ricercatezza che fanno in modo di inglobare narrazioni da altri pianeti e improvvisazioni sonore che introducono a nuovi brani con singolare perspicacia.

Ecco allora che la chitarra classica prende il posto del pianoforte ricreando una malinconia, diversa, quasi desertica aiutata da flussi di vento e incedere filiforme di ombre sonore.

Un disco, una colonna sonora utile e preziosa, raffinata e ricercata, che parla del tempo, della solitudine e di quella costante ricerca di perfezione che accomunava i grandi compositori degli anni passati.