Téta Mona – Mad Woman (Garrincha Go go)

album Mad Woman - Teta Mona

Avventure sonore di bellezza che si apre a solitarie lande in levare tra un reggae psichedelico di altissimo libraggio e grandiosa capacità nel creare atmosfere stratificate ed energia pulsante in stop motion a balzi retrattili e appigli che nel tempo del lampo costituiscono una solida impalcatura di base capace di lanciarsi in sperimentazioni mozzafiato, nella purezza del momento, dell’istante imbevuto di incertezza e di forte bisogno di esprimere punti di vista oltre l’immaginato. Teta Colamonaco, in arte Teta Mona, nel suo primo full length mette in campo tutta una serie di capacità nel consegnare all’ascoltatore una prova ricca di savoir faire che non abbandona, ma aumenta il proprio valore nello scorrere delle canzoni tra cantautorato e dub style in lingua inglese c’è anche il posto per due perle in italiano: Orologio e Whiskey quest’ultima di Mina, omaggiata per l’occasione portando avanti una determinazione di fondo che si sposa bene con quella della pantera di Goro, per un disco prodotto da Prince Jaguar e che mette dei paletti di indiscussa qualità in un quadro di insieme da poter affacciare oltre oceano.

Violacida – La migliore età (Maciste Dischi)

Indie pop che abbraccia i canali d’oltremanica per ritmi serrati e ben congegnati che assaporano il tempo perduto e ci rendono partecipi di una costante ricerca, affinata per l’occasione da Manuele Fusaroli, in grado di trasformare il già sentito in qualcosa di personale, qualcosa che possa squarciare l’atmosfera come la bellissima intro affidata a Canzone della sera che apre la strada ad un disco fatto sempre più da sali scendi emozionali, capaci di penetrare la quotidianità in maniera del tutto naturale, attraverso un lirismo mai banale e testi concentrati a ricomporre le speranze per un futuro migliore.

Canzoni come Temporale e via via procedendo con Contraccettivo e Sentiero ci fanno comprendere l’importanza della proposta che viaggia attraverso il tempo e viaggia attraverso lo spazio, Varanasi su tutte è quella che ricopre la maggior distanza alla ricerca di un costrutto necessario per poter vivere ancora grazie ad un disco impattante, grazie ad una prova che sa di rimpianti, che profuma della migliore gioventù, ma che nel contempo è pronta a trasformarsi e maturare, lasciando dietro alle spalle il bozzolo della propria memoria in invettive pindariche dal forte sapore di vita vissuta,  una vita in cui credere ancora, che non smette di dire: siamo finiti, perché tutto scorre, persino Il fiume e noi con lui.

Dulcamara – Indiana (INRI/Metatron)

Suoni di notti stellate e fuoco intorno, introspezioni sonore che viaggiano e creano fantasie e rituali che abbracciano con forma costante un mondo polveroso di vita da sorseggiare ed esteriorizzare in estemporanee fotografie virate seppia che sembrano uscite da un’altra epoca, loro sono i Dulcamara, guidati da Mattia Zani, una band che incrocia in modo essenziale la poesie e il folk nord americano con la canzone d’autore italiana; tanto per fare un esempio moderno prendete il For Emma di Bon Iver e impastatelo a dovere con un pizzico di Bonnie Prince Billy e di Iron & Wine, il tutto cantato però in italiano in una prova notturna che racconta di amori e di bisogno di partire, di viaggi tra foreste di illusioni, di viaggi tra i boschi dell’anima, ricoprendo un ruolo essenziale proprio nei testi che guardano oltre l’orizzonte e non si accontentano, ma trovano una dimensione onirica nell’amara realtà di tutti i giorni, perpetuando una prova che getta i propri punti di forza in canzoni che portano con sé un fascino indiscutibile da Rituale, Luce di frontiera, Sogni lucidi, Labirinti immaginari fino alla reprise dei costrutti di Terminal per un disco che ha l’odore della notte, l’odore di quello che non c’è più e  il profumo della ricerca del sostanziale nostro essere quotidiano.

Omosumo – Omosumo (Malintenti/Edel)

Progetto in bilico sulla voragine della vita tra atmosfere sognanti pop e desiderio elettronico di fondere il cantautorato con la necessità moderna di cambiamento, ad imbastire attimi lucidi di verità da cogliere negli occhi, da cogliere nell’istante, abbandonando il limite stabilito e cercando una naturalità di fondo che comprime aggraziata, si sposa ad arte e si veste di nuovi colori, magnifico esemplare di creatura da mantenere e preservare che trova una prosecuzione naturale con questo disco immaginifico e assurdamente bello che colpisce per acquarelli non troppo interiorizzati in attimi di luce brillante, perché Madre blu è solo il preludio per farci innamorare, poi arrivano le parole da In cielo come gli angeli e giù giù fino all’alchimia profonda tra i legami della natura con quella Sulle rive dell’Est che si fa trasporto e traghettatrice per esperimenti tra il vento del cambiamento e il bisogno di accarezzare l’intangibile e toccare lo sperato in un disco che porta con sé la bellezza delle cose migliori incrociando un’amalgama musicale difficile da incasellare, un po’ come ascoltare i La Crus intersecati a Mango che suona ad un concerto di Caribou per una musica che di certo non si ferma alle apparenze e che ha trovato nel trio delle meraviglie: Sicurella, Cammarata e Di Martino attimi di bellezza sudata e suonata, vissuta e contemplata.

Isterica – Pensieri parole opere omissioni (Autoproduzione)

Punk viscerale che mette sul piatto della bilancia tutte le nostre insicurezze e paure, abbandonando porti sicuri per gettarsi a capofitto nelle illusioni del momento e conquistando una porzione di vento esistenziale che ingloba arte e dimena il garage sotto casa fino a far scoppiare i timpani dal suono di rimbalzo che come ping pong emozionale non lascia scampo a power chord d’annata ad ingabbiare giustamente un suono molto italiano che guarda in faccia senza mezze misure CCCP fino a Prozac+ passando per i vicentini Derozer e ad altre cose più recenti accentrate e immedesimate nei problemi di tutti i giorni, nel nostro nuovo sentire condiviso.

Gli Isterica sono in grande forma e si sente, magari da ammirare su di un palco sgangherato di cemento, da Barabba fino ad Isterica, la title track, passando, in modo quasi del tutto naturale, attraverso pezzi come Nina, Adrenalina e Rive Gauche , a ribadire ancora una volta la battaglia quotidiana contro lo strapotere dei pochi a dispetto delle povere vite dei molti in un concentrato d’eclissi, di buio e luce che può far sperare.

Milo Scaglioni – A Simple Present (Akoustik Anarkhy Recordings/Crytmo)

Una ricerca profonda nel proprio animo blu per capire chi si è veramente, alle prese quotidianamente con un divenire che ci incolla alla poltrona del divano e non scardina i costrutti del tempo passato, anzi li rafforza, rendendo tutto il nostro stare al mondo occasione per non saltare finalmente dentro al cielo che ci appartiene per approdare in una mare degno precursore di ciò che verrà, specchio d’acqua dalle mille sfumature che collega l’Europa al Regno Unito, per un approccio corale che si imbatte proprio lungo gli scogli della terra d’Albione per rimettere in sesto un suono scarno, ma nel contempo suggestivo, che ricorda i grandi del passato, fra tutti i Beatles in un rinfrescare le attese con una simbologia aurea che consente all’ascoltatore di ascoltare oltre il gusto di udire e di generare implicite divagazioni immaginarie per portare la mente lontano dal tempo e dallo spazio, gradiente inusuale per soddisfazioni future, opera di rilassatezza post ’60 da fine serata dove le menti argute di Enrico Gabrielli, Roberto Dell’era, Lino Gitto e qua e là la presenza di un Gianluca De Rubertis al piano che contiene ed amplifica, donano profondità di campo a tutto questo splendore, per un disco assai anomalo nel panorama della musica italiana, che ha saputo ridare speranza e beatitudine psycho beat ad un genere dimenticato, ma nel contempo di facile appeal e sincerità da regalare alle nuove leve.

Spiriti Affini:

Morkobot – Gorgo (SupernaturalCat)

Il post futurismo è alle porte e la potenza devastante dei Morkobot si fa sentire in questo nuovo album, che abbandona in parte l’oscurità del passato, per tuffarsi in un genere strumentale compresso e dichiaratamente distorto, pronto ad affilare le lame della coscienza per esplodere in bisogno esistenziale di ricerca apocalittica fino a farti sanguinare le orecchie, nell’esigenza di ritrovare una musica composta e composita capace di discernere le dimensioni, evidenziando la capacità dei tre di creare sovrastrutture cosmiche che inglobano e pungono profondamente, oltre la materia e i tecnicismi fini a se stessi, ma piuttosto incarnando uno stato, un modo di vivere, che li vede protagonisti della scena noise math, dove il basso è essenza che disturba, scompone e si aggrappa ad una batteria gigante e di impatto che rinvigorisce la formula dando una prosecuzione naturale al percorso iniziato nel 2005 con Morkobot, un percorso che ha la sua piena e devastante ambizione grazie a live paurosi e impattanti.

Registrato da Giulio Ragno Favero al Lignum di Padova, questo nuovo capitolo musicale, concede ampi spazi di produzione nella desolazione del momento e si immola ad essere creatura cangiante in grado di percepire un flusso di modernità veicolante nuove forme sonore.