Erio – Inesse (Kowloon Records)

Erio stratifica l’elettronica pur mantenendo un’introspezione di fondo davvero esemplare che si inerpica su territori minimali sfumando in misura importante le condizioni vitali che fanno di questo disco un punto di luce discostante nel panorama della musica italiana. Inesse è la descrizione di un hip hop mescolato all’ R’n’B che trova matrice essenziale in pezzi capaci di creare una struttura portante associando facilmente interpretazioni dell’ultimo Bon Iver o di James Blake per parallelismi azzardati, ma calamitati verso forme desuete e cariche di atmosfera, verso forme che incanalano il buio dentro di noi estraendo opportunità sempre nuove ad ogni ascolto previsto. C’è della sofferenza nelle canzoni proposte, c’è il reale bisogno di contribuire a creare qualcosa di importante e in un certo qual modo il nostro riesce nell’impresa di incamerare la bellezza di pezzi come The biggest of hearts, Limerence, Kill it!Kill it!, Attic in sodalizi esemplari con una canzone moderna, con una via contemporanea all’ascolto capace, seppur nella quiete di fondo, di schiodarti dalla sedia per farti vivere di nuovo. 


Erio – Fur El (La Tempesta dischi)

Profumo di nordico in terra nostrana, tra i fiori di un candore acustico dal sapore retrò, tinti di un colore che non acceca, ma che abbaglia di luce calda e continua, misto al ghiaccio, misto alla neve:  passeggiare in lande desolate è tutto ciò di cui abbiamo bisogno.

Erio ci accompagna, lo fa con grazia da cantante lirico mancato che si dona e fa scoprire un universo diverso, più reale e meno costruito, fatto di brughiere immerse nelle natura e di boschi di abeti e betulle, quasi a colorare il candore leggiadro del primo sole primaverile.

In bilico tra Bon Iver del For Emma e di Antony di I’m a bird now, rispettivamente le loro prove più dirette, il nostro dipinge attimi di vita vissuta quasi a sancire un testamento per la persona che ama snocciolando parole/immagini sensazionali che riscaldano e ci fanno vedere con occhi diversi la vita.

Un’elettronica a tratti disturbante, ma di sicuro effetto ci porta  a scoprire canzoni-perle di questo disco dalla prima Oval in your trunk finendo con On his van, dove tutto si conclude per lasciare posto a digressioni sonore che fanno da cappello ad un disco riuscitissimo e personale.

Un album fatto di natura e per la natura, trasformando il grigio delle città, in qualcosa di più alto, di più nobile, che guarda lassù nel cielo, come quella conifera in piedi da anni che si dondola allo spostarsi del vento, senza dar fastidio, senza essere al centro dell’attenzione, ma creando spettacolo uniforme agli occhi di chi guarda.