HeavenBlast – STAMINA (MusicForce)

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Incrociatori satellitari di generi che man mano si aprono ad incursioni corali e definite che accennano a ricoprire spazi di un concept sopraffino difficile in prima battuta da incanalare, ma caldo e avvolgente ascolto su ascolto in una stesura impressionante che ben si amalgama con le parole suono scaturite con un rigore metrico spaventoso che pian piano si avvicenda e ci nutre con fare sospinto grazie ad un metal sinfonico che concede spazi a ritornelli pop rock incandescenti e lascia a bocca aperta quando deve ricondurre il tutto ad una forma che non è di certo statica, ma piuttosto in continua evoluzione. Il disco degli HeavenBlast non dà nulla per scontato anzi, ricerca a gran voce un proprio posto nel mondo dove stare, tra la forza di libertà e l’accurata sensazione che tutto possa evolvere, che tutto possa cambiare, che tutto riesca a trasformarsi di nuovo. Bellissima l’idea di fondo di alternare una moltitudine varia di voci, quasi un collettivo d’autore che si presta per una giusta causa, per un disco di inesauribile originalità. Stamina è il desiderio di procedere e di sedimentare nel contempo i ricordi, di recuperare in qualche modo il tempo perduto grazie a sprazzi che non possono di certo cadere nell’ovvietà delle immagini circostanti, ma piuttosto perpetuando un’idea di moto che non conosce ostacoli e che non conosce fine. 


Afar Combo – Majid (Music force/Toks Records)

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Ci sono delle sensazioni nell’aria da club d’avanguardia che riesce a far suonare sul proprio palco uno stile inconfondibile che incrocia l’energia e il movimento di un mondo intero, un suono capace di abbracciare i continenti per come li conosciamo, le Americhe, l’Asia fino ad approdare alla’Africa e i paesaggi sterminati di un jazz accogliente, vellutato, corposo e soprattutto ben suonato. Gli Afar Combo sono in quattro e fanno musica d’atmosfera, intercettando le sensazioni di un jazz sopraffino sporcandolo e contaminandolo con i viaggi e con tutto ciò che possiamo apprendere dalle nostre divagazioni, lontano dai nostri paesi, lontano dalle nostre città. Pezzi incastonati come  l’apertura Rokia, Paesaggio, Mare, la canzone che dà il nome al disco, la finale Bulga bulga sono l’esemplificazione del ritmo incarnato, del bisogno di comunicare, oltre le barriere, significati che attraverso la musica degli Afar Combo ritrovano un’umanità perduta, un posto nel mondo da occupare.


Paoloparòn – Vinacce/Canzoni per inadeguati (Music Force/Toks Records)

Alchimista dei suoni incentrati su di un volere che va oltre le mode attuali, ma che piuttosto si stabilisce laddove la musica frenetica del momento sembra fermarsi in un solo colpo per accostare il proprio approccio ad una ricerca costante e di puro effetto inebriante. Le Canzoni per inadeguati di Paoloparòn prendono vita e crescono lungo i tralci invernali lasciati al tempo che verrà, sono composizioni che uniscono generi su generi, letture su letture mescolando un prog di ciò che è stato con un cantautorato sghembo a tratti impegnato che stabilisce con l’ascoltatore un’unione di pensieri e situazioni che inevitabilmente sono chiara esemplificazione di questa nostra vita vissuta. Pop rock stagionato quindi che non disdegna approcci ammiccanti in pezzi come L’allegro caos delle scolapiatti, La domenica del supermercato, la stessa title track passando per Via Bertaldia blues a sancire un desiderio espresso chiaramente di parlare con linguaggio diretto avvicinando l’orecchio alle piazze e alle case della gente, fonte d’ispirazione primaria per questa ed altre soddisfazioni ritrovate sul fondo di una bottiglia chiamata vita. 


Danilo Di Florio – Il migliore dei mondi possibili (MusicForce)

Musica d’autore di una certa caratura che imprime solidità ai secondi che interferiscono e rendono dilatato il tempo durante l’ascolto di questo e altri mondi possibili in un concentrato cantautorale che trova nel pop un sodalizio mai esasperato, ma piuttosto trova punti di fuga e di interesse con la sostanza che lieve scorre nell’etere. Il migliore dei mondi possibili parla con voce immediata di materia effimera, ma anche di vicissitudini e di vita, di ambizioni profonde e di attimi frastagliati al suolo alla ricerca di un qualcosa di scomparso, di un qualcosa che sta per trovare il proprio punto di fuga laddove tutto sembra esaurirsi, tutto sembra morire inevitabilmente lungo i flutti della nostra coscienza. Danilo Di Florio tira fuori dal cilindro un terzo disco che nella sua naturalezza composita imprime alla registrazione una visione d’insieme che già si evince dalla title track passando per Corri già, Il mio tempo, Un’abitudine, arrivando a Dal mare per una conclusione che diventa essa stessa inizio attraverso visioni temporali di un mondo nascosto e da scoprire.

Giuseppe Calini – Verso l’Alabama (Music Force)

Cartina in mano, strada lunga e infinita a far da contorno e sabbia, tanta sabbia che si trasforma in polvere fino ad arrivare ad una città fantasma popolata da vecchi seduti sul tavolo di un saloon legnoso a bere l’ultimo istante di vita concessogli. Il rock di Giuseppe Calini, al suo diciassettesimo album, si avete capito bene diciassettesimo, è un disco di classic rock puro cantato in italiano. Coadiuvato dalla presenza degli ormai in pianta stabile Simone Sello (Vasco Rossi), Matt Laug (Slash, Guns N’Roses), Leonardo De Bernardini, Johnny Tad e al mix Mike Tacci (Metallica, Cheap Trick) il nostro intasca una prova di rock spumeggiante, duro e incisivo che si perde nei meandri di una voce e di una prosa metrica che rende onore al miglior Blasco e si afferma nel ricreare un immaginario collettivo abbagliato dal sole dell’istante appena trascorso. Verso l’Alabama è un viaggio prima di tutto, è un percorso che attraversa le origini del nostro essere senza chiedersi troppo, ma ragionando quasi per istinto, seguendo una direzione, vivendola profondamente fino al momento in cui, in fondo tra la prateria sconfinata, possiamo intravedere quel qualcosa chiamato casa.

Rose – Moving Spheres (Music Force/Toks Records)

Soul d’atmosfera che incanta per rarefazione divincolata a dovere pronto a riempire di luce stanze buie e sterili, una musica capace di far brillare una perla dal suono corposo e tenebroso, un fiore dal temperamento cadenzato che sboccia pian piano quando meno te lo aspetti. Moving spheres è un disco composito e stratificato, un album che racchiude al proprio interno sei canzoni capaci di dare un senso al percorso artistico della giovane polistrumentista Rosa Mussin, sei pezzi che raccolgono il segreto della motown per trasferirli all’interno dei sogni di provincia in una cascata di pienezza che si fa rotondità avvolgente e tendente, con lo sguardo, alla ricerca di nuove vie di fuga per sperimentare senza mai perdere il controllo. Canzoni come Relation, la stessa title track o Amused si collocano tra le più riuscite dell’intera produzione per un album davvero notevole sotto diversi punti di vista. Ricerca quindi e amore per il passato sono le chiavi intrinseche per entrare all’interno di questo onirico mondo fatto reale, un viaggio tra le carezze della sera e il caldo abbraccio prima di dormire, prima di chiudere gli occhi ancora.

Reveers – To find a place (Music Force/Toks Records)

Oltre la nebbia dei nostri ricordi esiste un gruppo di giovani ragazzi, ma veramente giovani che sono stati in grado di intrappolare un’istantanea davvero alternative di un momento astratto che in qualche modo si è fatto visione perpendicolare e piena di forza, vitalità e freschezza. I Reveers, band di Udine, è riuscita a fondere il meglio dell’indie d’oltre manica con una musica proveniente direttamente dagli anni ’80 cucendo malinconie che si sono fatte realtà cesellata a dovere. Arpeggi in dissoluzione fanno da contraltare a veri scoppi di potenza che possiamo ascoltare lungo tutti gli otto brani proposti in accenni sospirati e tutt’altro elementari di una band che, nonostante l’età, ha forse già trovato la propria strada. Canzoni come l’apertura Low to the ground o Waves from the sky non passano di certo inosservate fondendo l’attimo in una pura eccitazione e inquadrando il gruppo come essenza di un talento giovanile davvero invidiabile. Sentiremo ancora parlare di loro, o almeno lo spero.

Blue Cash – When she will come (Music Force/Toks Records)

Velocità in transizione capace di alzare polveroni occidentali in grado di abbattere il tempo perduto e consegnarlo sotto forma di acustiche visioni impazzite e senza sosta grazie ad uno spirito acustico che si fa ritmo, tenacia perseguibile e bontà di fondo capace di consegnare a questo giovane quartetto la forza per una prova a tratti irresistibile, a tratti meditata. I Blue Clash fanno della potenza controllata il loro cavallo di battaglia, lo fanno con stile, con la classe di chi non ha nulla da perdere ma solo da guadagnarci. Ecco allora che dal cilindro esce un disco davvero ben equilibrato e a tratti sorprendente, un album che unisce la canzone d’autore con il rockabilly, unendo realtà disomogenee e lontane, diverse, ma astutamente intrappolate nella tela intessuta dal gruppo. Le prime canzoni presenti nel disco hanno il sapore di un vero e proprio intro scoppiettante che si concedono fino ad arrivare a pezzi autoironici nel finale come Maledetti Cash in una manciata di brani, dodici davvero che portano con sé il sapore delle cose semplici e genuine, fatte per amore della musica e irrobustite da una passione senza fine.

Beny Conte – Il ferro e le muse (Music Force)

Musica contaminata e mediterranea che si interseca con un sapore di vita lontano, laggìù oltre il mare, oltre i confini che conosciamo e che non sappiamo comprendere a vista d’occhio, ma che si fanno portatori di valori inestimabili, l’Oriente e l’Occidente fusi proprio a Palermo, fusi tra l’acqua e l’azzurro del cielo in uno strato mellifluo di lontananza che appare e scompare coma onda del mare. Il disco di Beny Conte è tutto questo, sotto la velata introspezione cantautorale si nasconde un desiderio di incrociare destini attraverso una musica d’insieme che sfiora le solitudini del momento per lasciarci appresso un album di musica popolare, nel senso più stretto del termine, capace di andare oltre  e intensificando il proprio lavoro con uno studio su carta di ogni singolo accenno di movimento intrinseco. Le poesie in musica presentate, tratte dal romanzo omonimo di Beny conte Il ferro e le muse, sono solo fuggevoli carezze sul calar della sera, fotografie stagionali, piccole perle da scoprire lentamente.

Simone Piva e I viola velluto – Il bastardo (Music Force/Toks Records)

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Sentimenti westernati per anfratti polverosi in caverne della nostra realtà che centrifugano con vicissitudine desiderosa lo scoprire il nostro venire al mondo tra teatro canzone, parlato, sussurrato, gridato con forza e mai mascherato, in un’arte che si fa musica ed è essa stessa musica per l’arte e dove il folk riunisce e convince decretando spazi d’azione che nell’attimo si fanno portatori solari e canicolari di desideri psichdelici. Simone Piva e I viola velluto confezionano un album dal forte carattere deciso dove le metafore all’interno dei pezzi sono spaccati di vita che rispecchiano una società da cambiare con forza oltre le regole precostituite. Una formazione di batteria, percussioni, contrabbasso, trombe, piano e chitarre fanno da base ad un disco composto di sette pezzi dove il sentimento predominate verso luoghi lontani fa da contraltare ad un bisogno innato di scrivere la realtà con parole da cinema ormai dimenticato. Dalla title track di presentazione Il bastardo fino alla finale Noi che vede la presenza del cantautore Giò, i nostri riescono a registrare un amore incanalato all’interno di un saloon del vecchio west, un amore polveroso per tutto quello che non c’è più, ma che trova dei rimandi evidenti ed essenziali con tutto ciò che invece ci circonda.