Non Giovanni – Ho deciso di restare in Italia (IRMA Records)

Immaginatevi un disco di un ragazzo degli anni ’50 e la sua valigia di cartone pronto a cercare fortuna girando il mondo, una fortuna che potrebbe essere dietro l’angolo, una fortuna da costruire.

Un cantautore con la C maiuscola, si ride, si piange, ci si prende in giro, si raccolgono i momenti per partire e poi si decide di restare in Italia.

Si rimane per raccontare, si rimane per cambiare, l’inesorabile declino che respiriamo ogni giorno sotto numerosi punti di vista, anche quello musicale, sembra essere motivo di sfogo, motivo di interesse per quei cantautori che osservano i cambiamenti, li studiano e ne fanno materia prima per componimenti sbilenchi, ma ricchi di quella genuinità ed analisi che ancora oggi risulta essere merce rara e preziosa.

Giovanni Santese, in arte Non Giovanni, stupisce anche perché le carte mescolate in questo nuovo disco sono molte, differenti e variopinte, pensate solo agli interventi di elettronica presenti nello stesso che fanno presagire cieli sfumati d’azzurro anche sotto acquazzoni primaverili.

I sogni che si fanno sono il sunto di un mondo onirico, spiazzante, di citazioni folcloristiche; un percorso che si apre e si chiude con Ho deciso di restare in Italia, il pensiero che si fa viaggio e poi ritorno.

Ecco allora che l’analisi si sofferma sul modo di rifarsi, quasi un riscatto, l’autodeterminazione di potercela fare e poi via a correre giù per la discesa che ti porta al Paese natio, dove possiedi i ricordi più cari; lo vedete ora quel ragazzo con la valigia di cartone? Si si sta sorridendo proprio a Voi.

 

 

Four Green Bottles – Step (IRMA Records)

Padovani, alternativi quanto basta per accogliere fiori da far rinascere e da far rivivere grazie alle sette tracce che compongono il loro nuovo lavoro.

Un’unione inusuale di generi che si intersecano in armonie del tutto portatrici di un sound energico e sinceramente pronto a sorprendere, a emarginare l’inutile per dare un senso al dovere, al prototipo di ciò che potrebbe essere buono ai nostri tempi.

La facilità d’ascolto che si ha con i Four Green Bottles si associa a band dalla spiccata internazionalità, incrociatori sonori per animi che esaltano il riemergere, un indie rock compresso e pronto all’esplosione.

Spiriti affini li troviamo in qualcosa dei primi Staind o Nickelback, passando per la cometa inespressa degli Starsailor.

Un suono quindi che coinvolge già dalle prime battute con Hurricane passando per la ballata My Home interrotta dalla convincente Wind che anticipa la post punk You live what you feel.

Buona prova inoltre in Ora Che, pezzo cantato completamente in italiano anche se la vera simbiosi si trova con la lingua inglese, quasi fosse un costrutto a cui non poter rinunciare, ne è esempio lampante nel finale la meditativa Hands.

Un disco autunnale di foglie da raccogliere tra boschi infiniti in cui poter rompere il silenzio con una folata di vento.

 

Kaufman – Le tempeste che abbiamo (Irma Records)

Abbracciare frontiere, un turbinio appartenente al vortice di quell’indiepop fatto e suonato bene che conquista al primo ascolto; parole ricercate si divincolano in modo preponderante in una tempesta atomica di polvere di stelle.

Le sciagure sono elencate, le sciagure però non abitano nella musica dei Kaufman, tutto suona impreziosito nell’etere, un passaggio obbligatorio verso mondi lontanissimi e che ti accarezzano piano piano.

Note di un piccolo armonio da cucina,  preso in prestito dai ricordi più nascosti, dove i pensieri si alzano e si contraddistinguono, vivono e crescono di luce propria.

La presenza di Alessandro Raina (Amor Fou) si sente nell’intera fase di produzione anche perché il suono si colloca molto facilmente vicino all’opera I moralisti di quest’ultimi: intelligente modo di trasportare l’essenzialità in un progetto di gran respiro.

I pezzi poi parlano da soli, in bilico tra un Graziani (Ivan) dei tempi migliori e di un Umberto Giardini ancora nel sensato Moltheni, accarezzando rose di un colore intenso e delicato, petali che si sovrappongono per insegnare a vivere ancora un volta.

Alieni disorienta delegando il passaggio dell’abbandono a Modigliani, crisi di certezze poi in Il manifesto struggente di giovani vampiri che cerca esigenze compiute di mondi lontani in Astronauta per passare alla ballata emozionale  Santa kryptonite.

Ancora i passaggi temporali in un Aprile immaginato lasciando ciò che resta nel country di La mia piccola rivoluzione francese, coronando il finale con Gotham: la loro oceano di gomma.

Un band di carattere che con grazia conquista al primo ascolto, chitarre mai gridate e voci sussurrate per l’ennesima conquista dei Kaufman, tra sortilegi dei primi ’90 e la classe cristallina di chi vive nel mondo di oggi.

Musicanti di Grema – Musicanti di Grema (Irma Records)

Un gran bel pop radiofonico con sonorità tipicamente indie che si divincolano in maniera esemplare alla ricerca di uno stile particolare, unico, che abbraccia cantautorato e melodia, brit pop con tanto di cori e distorsioni in elettroniche derivate.

Un percorso che parte con Pollicino a far da linea d’ombra che si può superare indicando la direzione essenziale da seguire e da poter mantenere cercando istruzioni che non sono presenti, ma che si incorporano ad una canzone ironica, capace di rallegrare anche le giornate più oscure e fredde, quasi fosse un disco per ogni tipo di stagione.

A dispetto delle previsioni atmosferiche i nostri quattro parmensi confezionano un album che risulta essere sorpresa per le nostre orecchie, una bibita fresca in una giornata di sole.

Il loro stile a tratti risulta debitore di un approccio legato all’ammicamento, alla canzone facile, tesa alla ricerca di schiere sempre più ampie che possono apprezzare questa musica anche se la loro peculiarità però sta: nel non accontentarsi della canzone radiofonica, ma di cercare di essere se stessi lungo tutte le 12 tracce, dimostrando gran capacità compositiva e cura nei particolari.

Ecco allora che le canzoni scivolano via creando un viaggio uniforme dove la natura dei sentimenti è l’interrogativo vibrante per i quattro ragazzi.

Un album da ascoltare in loop quest’estate, un sorriso di stupore di certo, sul nostro viso, non mancherà.