Garage punk rock divincolato dalle mode del momento e diretto alla costruzione polverosa di impalcature geometriche sporche e vissute, snocciolate in contesti di buio raccolto e vibrante sudore in modo naturale, in modo pieno ed esclusivo, strizzando l’occhio alle produzioni degli anni ’90, quelle più vere che attingono nella ruvidezza delle band scandinave tutta la loro imperfezione o che magari fanno un salto un po’ più indietro toccando i Cramps con disinvoltura e sfacciataggine senza tralasciare la matrice del punk californiano di fine ’70 per commistioni che non sono da etichettare, ma convogliano in strutture che attingono direttamente dall’esperienza del tempo per questa rivoluzione borghese che racchiude diciotto brani che si affacciano con prepotenza ai giorni nostri, parlando della nostra società e di tutto ciò che la circonda con occhio di riguardo nei confronti degli ultimi che attraversano i momenti della storia subendo inevitabili sconfitte tra il buio e la luce e la speranza che forse risiede dietro l’angolo, più lontano.