Virginia Waters – Skinchanger (JAP Records)

Copertina di Virginia Waters Skinchanger

Tuffo sonoro rimediato dagli anni ’90 dove il rock si mescolava all’indie per originalità della proposta e per intenti non del tutto sottovalutati, ma anzi lasciati a sedimentare per poi esplodere in necessità cosmiche che hanno reso grande un genere che ancora oggi porta con se numerose angolature influenzanti la musica moderna. L’anima dei Virginia Waters è Maria Teresa Tanzilli che abbandonati i progetti passati decide di costruire una band attingendo sostanza invidiabile da altre formazioni locali come dai The Rust and Fury e dagli OH!EH? tanto per citarne alcuni. Il risultato è un rock sbarazzino, altre volte un po’ più cupo in grado di raccontare un lato quasi animalesco, il bisogno di gridare il proprio senso di non appartenenza e quella sorta di potenza post adolescenziale in grado di scardinare gli ordini precostituiti e manipolando a dismisura le carte disponibili, le carte in tavole, con passaggi sonori originali e taglienti tipici di una tradizione che sembra non voler scomparire.

Miss Stereochemistry – Harlequin Ep (Spleen-Prod/rock & pop factory)

Continua la via della sperimentazione per Karla Hajman, in arte Miss Stereochemistry, una via sperimentale di profusione acustica, che abbandona, per certi versi, la strada dell’elettronica leggera per entrare in punta di piedi verso lidi più intimi e appartati, per un EP che è continuazione di un percorso iniziato nel passato, un EP che nasconde tracce remix e collaborazioni che si accavallano e lasciano comprendere la potenza espressiva di questa cantautrice dalla forte personalità e dalle ottime potenzialità, per un disco multietnico e multiculturale che incrocia Barcellona, Istanbul, Belgrado e Berlino, un suono cosmopolita di periferia che invita a lasciare in disparte pregiudizi di ogni sorta per un pensiero comune che deve andare oltre le barriere precostituite e deve farsi carico di un’esigenza essenziale che è racchiusa prepotentemente nella vita stessa, oltre i confini della vita e della morte, per una tavolozza di colori a ridisegnare quell’arlecchino goliardico segno dei tempi che stanno cambiando.

Tra le quattro tracce originali proposte, c’è una bellissima reinterpretazione di Smells like teen spirit dei Nirvana, un omaggio all’odore pregno di gioventù, un profumo quasi mistico che si abbandona in altri cinque remix che sondano le strade anche del trip hop per un eterogeneità mai conclamata, ma piuttosto ben studiata ed esposta.

Un disco che è pura anima di una cantautrice in divenire che sa sorprendere con delicatezza ad ogni uscita, un album che osa nel profondo alla ricerca di una narrazione spontanea e nel contempo vicina a tutto ciò che possiamo chiamare vita.