Vostok – La geometria delle abitudini (Nonomori)

Suoni eleganti che si perdono nella solitudine delle stanze abbandonate allo scorrere dei giorni dove poesie d’amore si intrecciano ad un suono prettamente acustico che solo nel finale si apre a considerazioni ritmate che danno senso e acquisiscono profondità, consegnando una proposta di classe neo folk mai conclamata, ma piuttosto un’evoluzione di intenti che ben si sposa e ben trova la propria dimensione nel cambiamento e soprattutto nell’introspezione coltivata ad arte e resa in qualche modo tangibile dal calare della sera che tutto ammanta e tutto rende più reale e più vero. I pugliesi Vostok a quattro anni di distanza da un’altra piccola perla: Lo spazio dell’assenza, ci regalano un album che segue il filone passato perpetuando il senso di solitudine e donando agli ascoltatori anfratti sonori di rara bellezza che si perdono e si ritrovano cercando una verità di fondo che in fin dei conti risiede dentro di noi e ci scruta da lontano come viaggiatori erranti in cerca di un po’ d’amore.

Vostok – Vostok (Blotch Records)

Rock sferzante, brioso, impreziosito da eleganti e palpabili incontri dilazionati che si lasciano vincere dall’orgoglio, combattendo la paura che attanaglia le persone costrette dall’apatia e dal disagio a rintanarsi dentro a lugubri case dove l’unica fonte di illuminazione è il chiarore della Tv.

I nostri però sono di un’altro pianeta e dal satellite luna i Vostok raccontano un’altra cosa; la vita è un’insieme di vicende e vissuti che si identificano in un piano più ampio, più maturo ed essenziale, si ritorna alle origini per proporre una musica che non muore mai, che non deve morire mai.

Ecco allora che tracce scendono veloci come acqua alle rose, segni del tempo non se ne sentono, anzi, il bagliore che la loro energia sprigiona è raccontata in pezzi come Solo un’ora, uno scorrere inesorabile, trattenendo il fiato, verso mete lontane da cui possiamo solo ricavarne l’Odore.

Un disco fresco e quasi essenziale per le giovani leve che avanzano, perchè ti fa capire come un genere sperimentato da decenni possa essere sempre in qualche modo rinnovabile, più vero, più puro.