Sei anni non son pochi per assaporare un disco, dopo questo tempo , che parla di piccoli fatti e vicende quotidiane narrate con lo spirito del poeta d’altri tempi che si contorce come essere attorno all’albero della vita.
Sei anni e il ritorno dei Valentina Dorme si comprende in soli pochi ed essenziali fraseggi, niente paroloni, niente mezze misure, un arrivare diritti al significato recondito, celato, amorevole e disincantato dove le rime non sono chiamate per narcisismo fine a se stesso, ma il tutto si scioglie per relegare una poetica piena di lacrime e sudore.
I Valentina Dorme si consumano raccontando la realtà , si consumano raccontando una parte di Noi stessi che non vogliamo far uscire e inevitabilmente si fanno portavoce ora più che mai di quel cantautorato impegnato che abbraccia il filo sottile del rock per annientarci ancora una volta con frasi dal sapore dolce amaro e una costante ricerca negli arrangiamenti che non sono altro che sali scendi emozionali incostanti, privi di schemi del tutto logici, ma capaci nel colpire di sorpresa, in modo repentino e quasi suadente, a segnare ancora una volta il cammino per compiere l’impresa.
Un disco di protesta che cela un’aria di mistero e di tenebra, quasi a parafrasare una fine del mondo inevitabile, una catastrofe nelle nostre mani, Noi unici padroni del nostro destino che ci annientiamo per sopravvivere relegando il tutto ad una fine mortale.
Canzoni come A colpi d’ascia o Ricordi, cagna? ne sono l’esempio, passando per la storia in Lucido Sentimenti IV e l’emblematica Il circo lascia la città concludendo il tutto con la canzone testamento Shanghai.
Un album personale e carico di quel bisogno di cambiare che si accosta prepotentemente alla fatica di essere giorno dopo giorno noi stessi, ancora una volta, con le nostre speranze e le nostre illusioni, il chiacchiericcio di contorno e il nulla che avanza.