Pollock Project – AH! (Autoproduzione)

Terzo album per i Pollock Project che continuano sulla via della sperimentazione a colori in spore primaverili che brillano di luce propria e si fanno concatenamento della mente, difficile da sciogliere, in una costante ricerca appassionata di andare incontro ad un art-jazz che non si ferma alle apparenze, ma che mescola in maniera del tutto coscienziosa un modo nuovo per raggiungere la bellezza contenuta nella frase esclamativa stessa che da il nome al loro nuovo disco.

Un album per pochi, un album difficile, ma pieno di sostanza multiforme, cacofonia, jazz che si innesta all’elettronica per passare ai sample vocali tanto cari all’idea dell’immagine che va oltre lo schermo e che crea un tutt’uno con i ricordi che ci portiamo dentro fin da bambini in un’esperienza oserei dire plurisensoriale, dove la materia è solo un ricordo e dove gli anfratti che si celano nella nostra coscienza sono substrato sonoro per un mondo diverso e forse migliore.

Tre nomi importanti, tre nomi che pesano nel panorama italiano, Marco Testoni, Elisabetta Antonini, Simone Salza e un disco che è pura innovazione, alla ricerca complessa e non sempre strutturata di nuovi modi per comunicare.

fatsO – On tape (jazzhausrecords)

Abbracciare il tempo che passa seduti a guardare su di una panchina di legno i viandanti assonnati al calar della sera che tornano dal lavoro e si fanno compagnia respirando la stessa identica aria: l’aria della Colombia.

 Vapori sulfurei della notte che avanza e capacità di dominare la scena lounge in prospettiva, oltre i luoghi comuni, ma personalizzando e contaminando un blues sopraffino con un jazz d’annata ricco di sfumature che incontra il cantautorato di Tom Waits e Joe Cocker passando per gli estinti, ma sempre nel cuore, Cousteau.

I fatsO hanno le carte in regola per far diventare una grande metropoli come Bogotá, in qualcosa di conosciuto, di essenziale, alla portata dell’uomo, sono capaci di penetrare la scena e rinvigorire il tempo perduto, scavando in profondità per cercare l’essenza nell’anima della musica, senza chiedere riscontri commerciali, ma lavorando duramente per raccontare le immagini di un popolo, l’essenza stessa di un movimento verso il bello, verso ciò di cui abbiamo bisogno.

Ecco allora che i pezzi si sciolgono lentamente, tra le luci soffuse di un locale in penombra; il silenzio costante di un’esigenza in divenire e l’ambizione di ricostruire qualcosa di vero nel caos di ogni giorno.