Statale 35 – Azrael (Estasi Records)

Cupezza d’animo interiore e oscurità ottenebrante per il nuovo lavoro, dopo l’EP sulla breve distanza ES, degli Statale 35; già passati sulle pagine virtuali di Indiepercui, i nostri riconfermano la capacità di esprimere, grazie ad una poesia sofferta, attimi di vita vissuta che esplodono in rabbia, in un’arcana ricerca nei confronti delle angosce sempre presenti che caratterizzano una vita apatica e talvolta, ma solo raramente pervasa da attimi di soddisfazione e gioia, che non punta però, ad un qualcosa che si mantiene nel tempo, ma piuttosto questo nostro essere entra in collisione con la dura realtà, mostrando la vera sostanza di cui noi siamo fatti.

Ecco allora la trasformazione in lupo, noi essere infinitamente piccoli, ci troviamo quotidianamente a combattere contro i dolori della vita, pensando in qualche modo di poterci salvare, ma ciò che ci resta nella trasformazione è soltanto un ricordo amalgamato e compresso, un ricordo debole e flebile, che passa si per l’essenza delle cose, ma che si scorda inesorabilmente di ciò che siamo fatti; tra rimpianti e nuove aspettative, gli Statale 35 ci portano a scoprire la finitezza dell’essere e del suo mondo imploso.

Statale 35 – ES (Autoproduzione)

Un concentrato di rock alternativo targato ’90 si staglia sull’orizzonte della Statale 35, posto dove il tutto si può trasformare in possibilità o annichilimento, in capacità espressiva o pura e semplice apatia verso un grigiore sostanziale di fondo che non da tregua, che non concede un attimo di respiro, che non lascia la parte migliore di noi ad un nuovo e nutriente respiro, prima incatenato, ora libero.

Gli Statale 35 confezionano un Ep di storie, 5 canzoni che si dipanano egregiamente tra Marlene Kuntz del loro periodo centrale, passando per Afterhours e un cantato Verdeniano che sale sale su fino a comprimersi, contorcersi e vivere in un’estasi di affronto, alla nostra natura in lotta con le difficoltà quotidiane.

Un disco ben suonato e un gran bel biglietto da visita che guarda l’oltreoceano e l’oltremanica per un suono di Pixies e primi Radiohead, quelli di Pablo Honey per intenderci, che si fanno portavoce di un disagio nel vivere e nel poter costruire un qualcosa che forse non vedrà mai la luce.

Soltanto un gesto e niente più, una manciata di canzoni che si fanno ascoltare, tra architetture lisergiche e gusto sopraffino.