Matteo Fiorino – Fosforo (Phonarchia Dischi)

Matteo Fiorino è un fuoriclasse sghembo che canta storto intessendo il non sense con un approccio goliardico e fiero pur rimanendo nel complesso dimesso e quasi esistenzialista. Il nuovo album prodotto da Nicola Baronti è un insieme di visioni naturali del nostro essere al mondo raccontate in modo del tutto originale e sicuramente personale, dove avvenimenti o esperienze vissute direttamente dal nostro, intrecciano il proprio procedere con un qualcosa di più frammentato e a tratti malinconico, strappando comunque sorrisi e bellezza che possiamo scoprire analizzando i testi. Impresa alquanto ardua in quanto il significato soggettivo del tutto concede la possibilità di dare interpretazioni personali che vanno oltre l’opinione diffusa e donano però al cantautore una nota di merito per il lavoro svolto e per l’attenzione dedicata ad una visione strampalata di tutto ciò che ci circonda. In realtà a Matteo Fiorino non frega niente di tutta questa complessità, piuttosto il nostro naviga i flutti della quotidianità partendo dal proprio essere e canzoni come l’apertura Gengis Khan, Madrigale, Canzone senza cuore o la stessa title track sono poesie emblematiche per comprendere ogni singola lucentezza estemporanea proposta.

Orfeo’s Dreams – You (IRMA Records)

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Trip hop esistenziale che amplifica atmosfere sotterrane e si posa laggiù dove tutto sembra morire, laggiù dove la forma e la sostanza si intrecciano grazie ad architetture elettroniche di sicuro interesse per un suono internazionale ispirato da band come Portishead o Massive Attack, un suono che apre la mente ad altre circostanze ed eventualità per una manciata di canzoni che si insidiano all’interno del nostro  inconscio e non ci lasciano facilmente. Pezzi come la title track fanno da ispirazione al corollario quasi metafisico che ingloba il progetto del duo italo/lussemburghese procedendo con pezzi emblematici e tutti di caratura notevole come My Thrill o Dust che attraverso substrati di concezioni sonore ci fanno comprendere l’interezza di ciò che abbiamo ascoltato. Gli Orfeo’s Dreams sono dei sognatori, attraversano un mondo onirico in decadenza per uscirne carichi di essenzialità. Una copertina che racchiude la freddezza urbana assieme a quel qualcosa in più che ci tocca corde nascoste dentro di noi, suoni sempre precisi che in dissolvenza ricreano un’armonia che si fonde con il tempo, questi sono gli Orfeo’s Dreams: degli sperimentatori e questo basta.

Felpa – Tregua (Sussidiaria/Audioglobe)

album Tregua - Felpa

Continuano le elucubrazioni sonore di Daniele Carretti, continuano all’insegna della sperimentazione notturna in grado di trasportare l’ascoltatore attraverso mondi lontani, contando sul senso di appartenenza con un qualcosa di latente e soprattutto interiore capace di scardinare l’immediatezza di una musica d’autore aggiungendo sostanze in post rock e delay ambient regalando alla scena distorsioni e sintetizzatori capace di concludere un’ipotetica trilogia discografia partita con Abbandono, proseguita con Paura e arrivata a Tregua in un sodalizio con un respiro profondo che abbraccia tutto il tempo per come lo conosciamo. I testi sono diretti, semplici, ma non banali, si sposano bene con la musica che accoglie passando facilmente da atmosfere shoegaze fino ad incontrare i silenzi d’autore e la calma apparente che ricorda i lavori di Santo Barbaro o del solista Pieralberto Valli. Le canzoni proposte sono intrise di significati naturali, Svegliarsi, Ancora, Illumina, Dormire sono solo alcuni dei momenti più interessanti di un disco che chiude un cerchio, ma apre la mente a tutto ciò che per noi può essere segreto, nascosto e celato quotidianamente agli occhi.

Godblesscomputers – Solchi (La Tempesta International / Fresh YO!)

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Incedere nel tempo e nello spazio attraverso flussi neuronali capaci di confondere ed infondere elementi compositi grazie ad un’elettronica che segue il disorientamento magmatico dei ricordi incanalando energie e stati d’animo di polvere sulla foto della nostra gioventù. Il nuovo di Godblesscomputers è amore per l’arte a trecentosessanta gradi, è un disco che seppur rimanendo nell’ambito dell’elettronica instaura rapporti con un mondo in continuo interscambio, incrociando le meraviglie di Moby, Air, James Blake, Tricky, Massive Attack, Radiohead solo per citarne alcuni in una vertigine sincopata in dub style che incontra le impressioni e le metamorfosi del jazz per elaborare un gusto per l’atmosfera davvero unico e invidiabile. Solchi è scavare all’interno del nostro organismo, all’interno della nostra mente per comprendere se tutto ciò che abbiamo fatto finora è ancora necessario, tra un caleidoscopio di musica colorata e in divenire e un funambolismo da primo della classe il nostro dà vita a sedici composizioni che ben rappresentano o che possono comunque rappresentare un viaggio onirico e spiazzante, lassù tra le galassie lontane, in un’esplosione radente suolo che si farà ricordare.

Paolo Tocco – Ho bisogno d’aria (IRMA Records)

Canzoni soppesate al filo della quotidianità che entrano in punta di piedi all’interno di stanze possibilmente vuote da dove poter creare e ottenere bagliori di luce nella mediocrità che avanza e in tutto quello che la felicità nasconde lontana. Il cantautore Paolo Tocco, al terzo disco, incornicia una prova acustica sussurrata, in grado di attraversare le tempeste di ogni giorno in modo introspettivo e atmosferico, contando i minuti che lo separano dalla bellezza attraverso canzoni fatte per scrutare l’orizzonte lontano, parlando di abbandono, di rabbia e della difficoltà di interagire con un mondo che corre e non riesce a fermarsi, mai. La title track ci fa entrare nell’universo di Paolo e tutto il disco è un insieme omogeneo di stati d’animo davvero bellissimi e vissuti, per certi versi il nostro ricorda la malinconia stagionale di Danio Manfredini, in un insieme di poesie che portano la voce di chi voce più non ha. Ho bisogno d’aria sarà anche un romanzo che uscirà in concomitanza con il disco, sarà un libro di quotidianità vissuta che se si dimostrerà all’altezza del’album certamente continuerà quel percorso di apertura mentale volutamente mosso e analizzato tra le canzoni ascoltate. Ho bisogno d’aria è uno spaccato di vite inglobate dall’ineluttabilità della vita, canzoni però piene di tenacia e capacità d’analisi che fanno di questo grande cantautore un contemporaneo da scoprire. 


Giovanni Succi – Con Ghiaccio (Ala Bianca/La tempesta dischi)

Poesia ammaliata di precaria presenza dove le luci della sera fanno capolino e si insinuano lentamente nelle tristezze malinconiche di un giorno che sta per venire. Ombre e passione quindi, morte incombente e aleatorietà del caso si fanno costrutti essenziali per comprendere il nuovo progetto solista di Giovanni Succi già con Bachi da pietra, Madrigali magri, La morte in un eterno divagare verso l’oscurità che si fa presenza ammaliante e possibilità di racconto, possibilità irrequieta di creare, custodire e inventare nuove forme di comunicazione caratterizzate queste da una voce importante che di certo non passa inosservata, ma anzi dona profondità al campo e altrettanti spiragli alternati da dove poter raccontare l’Italia vissuta, l’Italia piegata dai vizi e dai continui deturpamenti, tra l’abbandonato e le possibilità da cogliere, ancora, una dopo l’altra. Quel che ne esce è un disco crepuscolare, profondo e intenso, un album che non chiede, ma costruisce ricordando per certi versi le cavernose presenze di Nick Cave o Tom Waits in un’adesione demoniaca musicale inconfondibile e difficile da paragonare se non per il gusto e il bisogno di mantenersi fedele ad una linea controcorrente e di certo ispirata.

Ottodix – Micromega (Discipline Records)

Il poliedrico artista trevisano Alessandro Zannier, in arte Ottodix, confeziona un disco davvero notevole e nel contempo mutevole, dove l’elettronica di fondo è materia esistenziale per dare un senso ad una serie di architetture cosmiche che si rivolgono in modo sostanziale al mondo della fisica, della matematica, della scienza, in uno sviluppo pragmatico e che passo dopo passo ci porta ad incontrare un mondo dove l’uomo è in costante sviluppo con la macchina, uno sviluppo lontano dalla religione e dalla superstizione, ma piuttosto una continua evoluzione nei confronti del futuro e della ricerca. Flavio Ferri, ex DeltaV è materia portante per lo sviluppo di questo disco e i suoni pop siderali mescolati all’elettrosinfonia in evoluzione ci portano lungo il perimetro attualmente invalicabile tra ciò che è stato e quello che verrà, non risparmiando quell’essenza nel ricercare nei viaggi verso una luce inesplorata, un concetto ben evidenziato nella cover del disco: installazione – opera dello stesso Zannier che permette di approfondire visivamente le tematiche affrontate nelle canzoni stesse. Quello che ne esce è un album criptico e quasi oscuro, tra la filosofia e la meccanica, tra il virtuale e il tangibile in un sali scendi ricreato ad arte che non passa di certo inosservato.

Evan – Reworks, Remixes, Alternatives (Autoproduzione)

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Album liquido dopo il post esordio del 2016 che vede il produttore, dj e compositore Evan all’anagrafe Gaetano Savio, costruire un’evoluzione di concetti espressi nel precedente disco che vede geometrie di stampo elettronico fondersi attraverso remix e versioni alternative affidate ad innumerevoli artisti che si alternano per l’occasione in una composizione d’insieme dagli alti picchi emotivi in suadente armonia con un mondo circostante ricco di parallelismi continui e forme mutevoli che ben si approcciano all’ascoltatore e lasciano scovare anfratti sintetici costruiti e concessi per l’occasione in sodalizi che guardano al futuro, ma che riprendono in mano quella poesia free jazz opportunamente contaminata arricchita da un nu-soul spiazzante e a tratti etereo che dona freschezza in pezzi dal forte impatto emozionale dopo un esordio di per sé fortunato e che continua nel sostanziale ritrovo di una propria ibrida via da seguire.

Filippo Dr.Panico – Tu sei pazza/Edizione Deluxe(Frivola Records)

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Tempo fa avevo parlato dell’ufficiale Tu sei Pazza in questi termini:

Un disco spiazzante dalle sonorità semplici e un’attitudine punk da primo della classe che sfrontatamente cantando in italiano ci racconta di amori non corrisposti, di amori perduti, un disco sull’amore insomma.

Non quell’amore però da carta patinata e nemmeno quello che si fa raccontare nei diari segreti adolescenziali, questo è un amore da ring, un amore che si consuma e lotta per sopravvivere, dietro alle apparenze, dietro alla scia di vapore che ci ingloba, mentre tutti gli altri stanno a guardare, disinteressati, svogliati, accomunati per nulla dall’intento finale.

Quello di Filippo dr.Panico è un disco  dal carattere forte e deciso, con frasi ridondanti e ripetitive, segno dei tempi, segno di un concetto ossessivo, gridato e snocciolato mentalmente; Filippo ci consegna le istruzioni per l’uso, quelle da scatoletta dei medicinali, quelle da buttare per seguire l’istinto, a Filippo sostanzialmente non frega niente di come andrà questa sfida, lui tenterà in tutti i modi di viverla e questo basta.

L’edizione Deluxe regala sorpresine per tutti coloro che vogliono scoprire il mondo di Filippo nella sua per così dire completezza, anche se di completezza non possiamo parlare, ci sono diversi adesivi all’interno del plico, un poster, il libretto straordinario delle sue mitiche poesie ormai stra consumato da un po’ e in procinto di mietere vittime a dismisura sempre e comunque e il disco vero e proprio che si completa con una serie di canzoni, presentate dall’amica Mica che proseguono la ricerca sonora un po’ punk riadattata ad un cantautorato multiforme che nella finale Situazioni in altissimo male mare dà il meglio di sé e dona alla proposta una visione d’insieme altamente contagiosa che non smette di stupire anche dopo numerosi ascolti.

Pin Cushion Queen – Settings 3 (Autoproduzione)

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Siamo arrivati alla fine di un percorso caleidoscopico, di una trilogia in evoluzione, lontana anni luce dalle regole di mercato e pronta ad entrare nel mercato stesso per cambiarne regole e soprattutto punti di vista, lontano da mercificazioni e suadenti contratti, ma piuttosto vicino ad un originale percorso d’avventura musicale che prende il sopravvento grazie a forme desuete e sperimentazioni già narrate qui, su queste pagine virtuali e che ora volano verso un finale che è forse chiusura o forse spazio che si comprime, chiudendo in qualche modo il cerchio aperto e nel contempo osservando un buio sempre più presente con quegli occhi che hanno e che vedranno ancora tanto, da sfondi cinematografici a territori deserti il trio bolognese grazie a The Tunnel, l’articolata Backward Future e il finale lasciato a Wachosky si immola a dare un senso sempre maggiore alla proposta in questione, tendendo la mano all’infinito e abbandonando i pensieri a nuove scoperte future.