Comaneci – Anguille (Wallace Records/Tannen Records/Santeria)

Diluite atmosfere si infrangono all’orizzonte convogliando maestria e dovere estetico in un disco che ha il sapore di una ricerca incompiuta, ma pur sempre una raffinata visione dell’universo, nel tentativo, sempre reale, di incanalare emozioni e sentimenti all’interno di brani capaci di smuovere qualcosa dal di dentro. Devo essere sincero, mi sono sempre piaciuti più in versione folk acustico che sperimentatori elettronici anche se devo dire che questa nuova creatura ha un fascino tutto particolare. Lasciata da parte, spero momentaneamente, l’esperienza Amycanbe, Francesca Amati con il fidato Glauco Salvo, Simone Cavina e altre preziosi collaboratori dà vita a suggestioni che si percepiscono attraverso un’esigenza contemporanea di ritrovare il proprio posto nel mondo da occupare. Ci sono innumerevoli sfumature in questo album. Difficile la piena comprensione dopo una manciata di ascolti, quello che però possiamo percepire è la descrizione di un viaggio interiore, un qualcosa di scivoloso che a volte sfugge, ma pur sempre parte importante di un mare che ritrova, nella pericolosità della tempesta, la propria ancora di salvataggio in una mutevole concezione di forma e sostanza.


Don Antonio & The graces – Colorama (Strade blu factory/Santeria)

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Disco eclettico westernato a rintracciare balere estive in simultanea con sentimenti che aspirano ad un suono blues melancolico di purezza quasi irreale. Colorama è la sincronia dei colori che si fondono a creare atmosfere da cinema d’altri tempi dove personaggi in cerca d’autore ritrovano spazi di sopravvivenza grazie ad un suono costellato da miriadi di sfumature che si intrecciano e donano all’ascoltatore una qualità esplosiva. Don Antonio & The graces ci regala per l’occasione un ricordo sovrapponibile in musica. Un insieme di fotografie lontane che non si domandano, ma cercano, nella particolarità ricreata, un proprio modo di uscire, di abbracciare, cogliendo il senso profondo del messaggio da veicolare. Un disco, questo, fatto di movenze e cadenze, un album di quattordici canzoni compatto, ma a tratti sfuggente, caratteristica quest’ultima delle cose migliori. Un insieme di pezzi che parte da un determinato territorio circoscritto e via via guadagna spazi di libertà che portano con sé un’idea, sempre più percepibile, di internazionalità.


Don Antonio – La bella stagione (Santeria)

Un tempo per seminare, un tempo per raccogliere. Un tempo per guardare gli uccelli alzarsi in volo, un tempo per vederli tornare. La bellezza che si respira nel concentrato autoriale di questo disco è sinonimo di qualità perpetua in grado di attraversare lo spazio per come lo conosciamo ad intrecciare vite e sedimenti all’interno del nostro essere reali. Il disco di Don Antonio, all’anagrafe Antonio Gramentieri, già leader dei Sacri Cuori, riesce a condensare fugacità e concretezza cercando di interpretare gli stati d’animo post pandemia ripartendo da un’intimità mai celata, piuttosto sussurrata, avvolta, calda, rassicurante. Un ritorno quindi alle radici e agli affetti per un album fatto di speranza e bisogno di appartenenza. Un insieme di tracce che diventano impronte sulla strada verso casa. Da Acceso fino a Le prime stelle della sera passando per il singolo Batticuore, la riuscita title track, Lo stesso, Distanza il nostro riesce a creare un disco sincero e in stato di grazia che trova nel cantato una forma liberatoria e coraggiosa nel dipingere questo tempo.


Bobo Rondelli – Cuore libero (Santeria)

Cuore Libero

Polaroid nascoste nel cassetto della vita afferrano l’inquietudine di questo nostro tempo deliziando l’ascoltatore con piccole poesie quotidiane dove il senso di tutte le cose si sposa con il nostro errare. Ritorna Bobo Rondelli con un disco leggero e stratificato. Parole semplici, ad alta digeribilità che colpiscono al cuore. Sono storie dentro altre storie. Qualcosa di mai abbandonato che abbondantemente ritorna quando meno te lo aspetti in un saliscendi emozionale fatto di strumentazioni mai conclamate e ricche di rimandi ad una vita che non c’è più. Una sorta di incrocio cantautorale tra Caposella, Tenco, Endrigo in una formula che sembra aver trovato il proprio posto nel mondo pur mantenendo una certa indipendenza e soprattutto una certa libertà. Bellissime Un punto immenso, Falso Chagall, Sabrina, immensa e irraggiungibile Il più bel teatro come del resto la calma apparente e introspettiva nel finale di Se vuoi andare. Cuore libero è un album sussurrato. Un disco capace di creare una sorta di pace consolatoria tra le onde tumultuose del nostro venire al mondo.


Giunto di Cardano – Caos (Santeria)

album Caos - Il giunto di Cardàno

Parole che come velluto ti sussurrano da vicino e ti guardano andare via, laggiù lontano, sul molo. Parole che come poesia lacerano la carne per stratificare i nostri ricordi attraverso canzoni che mutano con il passare delle stagioni, come pezzi di cielo da adombrare, come pezzi di noi che sentono il bisogno interiore di vivere nuovamente. Giunto di Cardano compie un mezzo miracolo. Caos è un disco di immacolata bellezza. Riesce a riappacificare gli animi e quando meno te lo aspetti ti rende partecipe di una tempesta interiore, ti rende partecipe di un tutt’uno che sa di pioggia e di lacrime, di polvere e sudore. Caos è un insieme di tredici pezzi che guarda al futuro con radici ben piantate nel passato. Caos è un disco di sopravvivenza metafisica nel nostro bisogno costante di cercare nuovi spazi d’aria.


Sycamore Age – Perfect Laughter (Santeria/Woodworm/Audioglobe)

Inclassificabili è forse la parola che gira nella mia testa ascoltando il secondo album di una delle band più interessanti del panorama italiano odierno i Sycamore Age.

Cantano in inglese e sanno molto di internazionalità, anche perché il loro suono è una continua sperimentazione tra folk psichedelico e lisergico, contaminato da cori che ricordano il celebrato bianco album dei quattro di Liverpool per un approccio al tutto condito da eleganza di sintetizzatori che vogliono costruire, in un incedere melodrammatico, un’opera dai contorni segmentati, una ricongiunzione con una divinità astratta, il metafisico punto d’incontro con il me stesso nell’aldilà.

Il disco suona però concreto e i nostri ne escono i vincitori anche perché la commistione di generi provoca nell’ascoltatore un senso di stordimento iniziale che già al secondo ascolto riesce a inquadrarsi per essere maggiormente definito.

Non che questo sia facile, ma la ricerca porta il gruppo a varcare territori cari alla sperimentazione sonora tra MGMT e Pink Floyd, delicatezze alla Nick Drake passando per velate introspezioni Reznoriane a tentare di definire un concetto che implode tranquillamente in un Hail to the Thief più intimo e meditato.

Un album che sa di perfezione, altisonante e imperioso, colpisce e affonda, annienta l’inutile e si concentra sul raggiungimento di un qualcosa che non è percepibile, su tutte la meraviglia eterea Drizzling Sand.

Un gruppo che regala sorprese a non finire e stupisce per la qualità musicale proposta, un ricreare l’ambiente circostante tra acustiche sintetizzate e folk legnoso, tra pianoforti che sanno di boschi e batterie cadenzate, un ricreare perpetuo di un concetto arcano, ma così vicino a Noi, puro ed essenziale, fresco e dirompente.

 

Ashram Equinox – Julie’s haircut (Woodworm, Santeria)

A un anno di distanza dal precedente ep gli emiliani Julie’s Haircut tornano alla grande firmando un disco di atmosfere metropolitane denso di significati e altrettante pretese che vengono soddisfatte lungo i 40 minuti in una sola e unica sinfonia d’autore.

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Una suite di post rock strumentale dove l’avant  viene mescolato all’Oldfield d’annata creando una trance di pura improvvisazione e ricerca sonora difficile da trovare, difficile da sentire oggi.

I 5 ragazzi entrano a far parte così di una schiera ricercata e amata per l’ambizione di donare al panorama musicale sempre qualcosa di nuovo e di vero.

I meandri tendono alla luce quando Ashram si impone vorticosa partecipando all’Elfman indiavolato di Tarazed; sentori orientali si ascoltano in Johin tra i fumi dei Narghilè e i tappetti sonori a ricoprire il tempo dilatato e oltremodo disperso, mentre Taarna è una cavalcata circoscritta al fulmine che verrà, al rullante in primo piano a preannunciare scariche elettroniche di synth in tremolo.

Equinox è puro ambient che preannuncia la semi Morning-Bell Sator e qui entra in gioco il piano che squarcia le profondità con bassi poderosi nel viaggio Floydiano di Taotie, a finire la speranzosa Han.

Un disco fatto di immagini suggestive, di racconti che vanno oltre il definito, un viaggio di ricerca continua e mutevole capacità di esprimere energia composta e psichedelica maestria.