TIR – CLIMA (Ribéss Records)

Evoluzione sonora di quello che era il gAs, gabinetto di Alchimia sonora, costola di improvvisazione che aveva come punto d’incontro la sede della Ribéss Records, un disco composito fatto di astrazioni questo CLIMA, un processo continuo di fare e dismettere, maneggiando con cura l’intero spazio che abbiamo a disposizione e ricoprendo di apposite e dovute precauzioni quel senso di ambiente sonoro elegante e pieno di sfumature, capace di inabissarsi e poi condurci verso lidi lontani, mirabili come gli orizzonti che solo al tatto possiamo immaginare. Moltitudini di generi che si affacciamo alle nostre orecchie sono solo accenno alle strutture che possiamo percepire in questa produzione, nulla è dato per scontato e tutto sembra aprirsi ad un mondo in dissoluzione per dare vita ad una colonna sonora del nostro tempo che è si fuga dalla realtà, ma anche e soprattutto amore per il tangibile, quello stesso amore che segna le nostre esigenze e ci conduce nel vortice infinitesimale di pezzi come Kobane, Eternebra, Munduruku. Dalle astrazioni concettuali dei Casa di Filippo Bordignon passando per l’evoluzione di un post rock elettronico TIR è la candela che ci fa osservare da vicino la profondità degli oceani, della terra e dei cieli che abitiamo.

Crowdfunding per sostenere il progetto:

https://www.musicraiser.com/it/projects/8108

Pieralberto Valli – ATLAS (Ribéss Records)

Il punto di forza di questo disco è la capacità di raccontare il nostro tempo con delicatezza e leggera distorsione della realtà in un quadro tanto criptico quanto comprensibile tra il bisogno nell’attingere linfa essenziale e quell’arte per l’arte fatta di prodezze sempre più necessarie al giorno d’oggi. Pieralberto Valli, già leader dei Santo Barbaro, gruppo conosciuto per prove alquanto sublimi e importanti nel panorama della musica indipendente italiana dà vita ad un concept che ricopre spazi di interezza risultando per complessità narrativa fuori dal tempo, fuori da ogni vincolo precostituito e ricco di phatos atmosferico che coniuga alla perfezione il pop-piano di un ritorno malinconico e l’elettronica in sovrapposizioni non preponderanti, ma piuttosto ritmiche che compensano un’anima capace di esprimere in dieci pezzi un condensato di introspezioni inizio secolo. Per parallelismo mi viene da pensare all’ultimo disco di Paolo Cattaneo poi mi fermo un attimo e mi convinco che questa musica è un organismo a sé, capace di vivere di vita propria, basti pensare a pezzi come l’apertura Atlantide, Frontiera che cita Luca Barachetti e i suoi passati Bancale, passando per il Rumore del tempo, Esodo e nel finale Non siamo soli per comprenderne la cura sonora e gli spazi interposti da qui al futuro in una grandezza tangibile e in evoluzione. I social abbondano di schifezze e di diatribe continue, dai TheGiornalisti passando per Motta, nessuno escluso, mercificazione e sponsorizzazioni in abbondanza, discussioni sulle ultime inutilità di questo tempo, poi così dal nulla ti arrivano dischi come questo, in copie numerate e dal packaging così prezioso e ti riscopri in qualche modo lontano, diverso, più maturo, con la sicurezza che quello che stai coltivando, abbandonando tutto il resto, è solo necessario.

Barachetti / Ruggeri – White Out (Ribéss Records/DGRecords)

Lo spazio inteso come luogo dove vivere non è mai stato così ben definito, l’idea, il concetto di ambientazione sonora qui travalica il senso del già sentito per inglobare un’idea di musica, che musica non è, ma è narrazione lacerante di un racconto post futurista e egregiamente colpito fino al midollo, nella sua imperscrutabile essenzialità, maturata nel tempo, maturata negli anni.

Il duo Barachetti/Ruggeri intasca una prova innovativa che si fa prima di tutto interrogazione sul tempo che abbiamo davanti e su quello che è appena passato, una prova fluida e scarna, quasi malata, sintomo di un qualcosa che ci rende prigionieri, che non ci rendi liberi, ma è ossessione fanciullesca narrata, è abbandono e accoglienza in un moto perpetuo assordante, nel bianco e fuori di esso.

C’è del colore però nella narrazione, c’è il Ferretti del post CSI e tanto desiderio nel ricreare qualcosa che va oltre gli schemi precostituiti, abbattendo le tre dimensioni che conosciamo e facendo dell’elettronica una costante gravitazionale che annienta le produzioni odierne e si fa veicolo e funzione della stessa storia, dello stesso racconto sonoro.

Il bianco che fa da sfondo e l’oscurità che avanza già dal primo pezzo fino a convogliare le energie in quel fiume verticale di mirata desolazione; i nostri, con questo disco hanno saputo raccontare di luoghi inospitali, così vicini alla nostra anima dannata e capaci di infondere l’esigenza di uscire dalla scatola che ci tiene prigionieri.

Righini – Houdini (Ribess Records)

Giuseppe Righini è un’illusionista capace di prodezze che ben si adattano ai nostri tempi e alle magnifiche costruzioni sonore che si stagliano lungo paesaggi ricchi di sostanza da dove poter trarre linfa vitale per non sopperire.

Un incrocio ben riuscito e amalgamato tra nuove tendenze e un piccolo tuffo nel cantautorato dei primi 2000 in bilico tra Tiromancino e Benvegnù.

Il nostro si lascia andare negli anfratti della coscienza, tra le stanze di Motel desolati in cerca di un qualcosa che parli ancora di Lei, che parli ancora di ciò che non c’è più.

Un disco nato a Berlino, ma che si muove per le capitali d’Europa come Amsterdam, assaporando estasiati ricordi e limiti da cui poter uscire per poter vivere ancora una volta.

Atmosfere quasi rarefatte, un roco gridare al mondo che la strada da affrontare è ancora lunga ed è difficile rialzarsi dopo tanto star male, dopo aver combattuto tra i mulini a vento della nostra anima, cercando, vivendo e approdando verso e oltre i nostri confini.

Suoni puntuali alternati da un cadenzare elettrico, raccontato e mai banale, da disinvolto cantastorie di notti insonni, che ci permettono di dare un senso al quadro della nostra memoria, un sogno ad occhi aperti fatto anche di elettronica mai gridata per un disco carico e pieno di introspezione sonora.