Plasmaphobika – Plasmaphobika (Red Eyes Dischi)

Suoni incapsulati in potenza che imbrigliano le distorsioni e incentrano l’energia di un suono proveniente dagli anni ’90 e immagazzina un prodotto che parte dalla pancia per esplodere in testa per una produzione breve e arrabbiata, malata e sudata attraversata da un suono claustrofobico e stoner quanto basta per assaporare l’emblema di un tempo che non c’è più, un suono che rimanda a richiami mai incapsulati per costruzioni e architetture sviscerate in due canzoni cerebrali che trasformano la realtà in un incubo ad occhi aperti. Un corpo e l’infinito e Progenie sono linfa essenziale per piantare frutti di nichilismo e distruzione in territori da far decomporre e far rinascere sotto una nuova stella.

Duvalier – Hay Lobos (Red Eyes Dischi)

Non è un paese per vecchi e lo sappiamo molto bene, tra desertiche e ataviche sensazioni che ci imprigionano al suolo, sotto la terra, nella miriade sconfinata di territori e lande desolate dove gli approcci costruttivi si aprono quasi a comparse di sogni/incubi in oasi solo immaginate e lontane, fuori dal tempo e dai vincoli futuri, ma dentro all’ingestione di sostanze mascherate, che alterano la percezione in una visione annebbiata e sudata.

Sono tornati i vicentini Duvalier e grazie a questo disco, il loro quarto disco, inglobano l’oscurità del mondo tra chitarre sgangherate e giustamente distorte per l’occasione che filtrano il passo a ritornelli poppeggianti e refrain che si fanno ricordare concessi all’apertura di Black is the sun che si lancia poi in voli pindarici nella fuzzeggiante presenza di Tony La Muerte, compagno di etichetta, in Il vecchio del monte, rivisitazione dello stesso one man band in chiave sonora assai differente.

Un disco di introspezione in stato di grazia, non definitivo e completo per fortuna, ma sempre  alla ricerca di quell’energia primitiva che ci incolla al terreno e ci ricorda prepotentemente il nostro essere materia in decomposizione con un’anima da preservare.