Passenger Side – It means a lot (Cabezon Records)

E’ un viaggio dentro a noi stessi, un viaggio che ci permette di riscoprire punti di vista differenti, nuovi e stimolanti, abbracciando la lezione del tempo e concatenando fatti e avvenimenti con un qualcosa che sentiamo vicino a noi, lo accogliamo, lo accarezziamo, lo facciamo nostro e nel contempo lo lasciamo andare al suono indistruttibile di noi stessi, delle nostre aspirazioni, per creare strutture multiformi, colorate, in un divenire coscienzioso e sperimentando approcci nuovi per conquiste future.

Mario Vallenari, assieme ad altri fidati musicisti del veronese, da vita ad un progetto molto interessante che in qualche modo si lega al neo folk dei giorni moderni, strizzando però un occhio di riguardo a tutte le produzioni degli ’90, ricordando, per sonorità, Badly Drawn Boy per appigli sonori per così dire vintage in tutte le canzoni e un’attenzione a questo che si immedesima molto bene con la complessità e gli arrangiamenti della band in questione con l’intento di lasciarsi alle spalle vecchi ricordi e dar vita ad un disco, tra l’altro di notevole spessore artistico, leggero e impegnato allo stesso tempo.

Pezzi degni di nota sono le aperture lasciate a Last night alive e Black Dawn, passando per le riuscitissime Pieces e Out per arrivare al finale consegnato alla Title track, un finale che garantisce un nuovo inizio, con la consapevolezza che un seme è stato piantato, un seme splendente luce in giorni bui.

Novadeaf- Carnaval (DreaminGorillaRecords)

Strumentisti mutevoli e cangianti che si inoltrano in boschi di betulle inospitali per aprire l’oscurità alla passione, incanalando energia e scoprendosi capaci di sprigionare un pensiero riconducibile a diversi strati e teorie musicali, mai ben definiti, ma che abbracciano in modo elegante e anche direi con un tocco di finezza il pop, l’elettronica e l’indie folk d’oltreoceano, tornato alla ribalta con artisti del calibro di Bon Iver senza dimenticare Micah P Hinson e Bonnie Prince Billy fra gli altri.

Un disco che ruota attorno al polistrumentista e mente della band Federico Russo che per l’occasione si dimena tra basso, chitarra, voce, tastiere ed elettronica in un connubio con gli altri membri: Matteo Quiriconi alla chitarra e Matteo Amoroso alla batteria, andando oltre la concezione di power trio e riempiendo di sovrastrutture le sonorità che di volta in volta sono lo specchio dei nostri giorni, sono l’immagine di chi crede nell’evoluzione e nella maturazione data dal tempo e da tutte le forme sonore che verranno.

Con questo album i ritmi sono colorati, cangianti; si abbandonano le buone idee del primo Humoresque, anche se più cupe e misteriose, per lasciare spazio a strade in continuo divenire, dove le ombre del passato sono solo un ricordo che per ora, se non per alcuni passaggi malinconici, è giusto riporre nello scrigno della nostra memoria.

Otto canzoni in bilico tra Radiohead e Nick Drake con un occhio di riguardo alle uscite discografiche d’oltreoceano più recenti, un disco dal sapore moderno che crea una continuità di pensiero e si fa armonia cangiante per i giorni che verranno.

Mad Chickens – Kill Hermit (LadyMusicRecords)

E’ un suono sviscerale e allo stesso tempo è pura psichedelia, senza mezzi termini e mezzi misure.

Le 12 tracce che compomad chickensngono l’album delle Mad Chickens “Kill Hermit” è un concentrato di suoni lisergici e distorti in cui  la parola rumore è sinonimo di grazia pensata per un fine comune.

Le quattro (mi scuso per Nicola, ma la maggioranza è donna) manipolano suoni fino a raggiungere riverberi lunghissimi e delay incrociati da controcanti e seconde voci lasciando l’ascoltatore a bocca aperta in cavalcate senza fine e apparentemente senza una strada da seguire.

Invece dopo un secondo ascolto tutto appare più chiaro, gli spiriti affini a questa band: vedi sotto la voce Verdena, Nirvana, Marlene Kuntz, il post grunge e i suoni più acidi ’70, si incontrano per una riunione sul futuro della musica.

La sentenza riassunta la troviamo nella traccia d’apertura “Kill Hermit/Gun in my head” e in pezzi come Fell in love, Bed Never bed e The tin Man.

Un disco che nel suo apprendere dal passato regala emozioni da conservare per gli che verranno. Complimenti!