Rainbow Bridge – Unlock (Autoprodotto)

album Unlock Rainbow Bridge

Psichedelia contorta e in sovrabbondanza concisa e nel contempo pronta a implementare una ruvidezza di fondo in costante divenire. Mescolare blues e hard rock è segno di un tempo che non è finito e che sa donare linfa vitale alla nostra incerta realtà. I Rainbow Bridge sono tornati con un dischetto appetitoso. Alle volte confuso e autoreferenziale, ma nel complesso portatore di un suono ricco di rimandi ad una scena che non c’è più. Cinque pezzi soltanto per un EP di devastazione e meditazione. Un album dal suono molto garage. Un lo-fi perennemente in bilico tra classico e tradizione. Unlock è un disco che nonostante il limitato numero di pezzi proposti dura la bellezza di quarantaquattro minuti. E’ un’esperienza. Bisogna viverla. Uno sfogo continuo e costante. Una jam session lunga una vita intera.


Rainbow Bridge – Lama (Autoproduzione)

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Disinteressati delle mode i Rainbow bridge intavolano sul palcoscenico della vita un disco prorompente di energia viscerale direttamente proveniente dagli anni ’60 dove la chitarra deflagrante di Hendrix incontra poi le decadi musicali successive tra Led Zeppelin e discostanti provocazioni di un rock che sembra non conoscere punti di rottura. Tuffarsi quindi in un’altra epoca dove la potenza sonora non è lasciata al caso è l’obiettivo importante e costruttivo di questa creatura Lama che convince sin da subito, tra ambientazioni desert e accenni ad uno stoner che è quasi psichedelia. Sei pezzi studiati a tavolino, si inizia con la title track per finire con l’essenziale No More I’ll be back per riscoprire dichiarazioni d’intenti nei confronti di una musica che fa dello sporco blues sudato un punto d’attracco, un punto d’ancoraggio nel porto delle distorsioni moderne. 


Rainbow bridge – Dirty sunday (Autoproduzione)

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Trio di potenza acida che implementa la lezione del tempo, la lezione degli anni ’60, quella di Hendrix per intenderci in una costante ricerca di fondo che approda allo strumentale dove le incursioni si fanno sempre più vive in una chiara e netta psichedelia che fa scuola e porta il nostro Giuseppe Piazzolla, Fabio Chiarazzo e Paolo Ormas ad instaurare e a tessere geometrie di improvvisazione sostenuta in un disco che ha il sapore di una sporca domenica costituito per l’occasione da cinque pezzi che implementano il valore intrinseco di questo EP e garantiscono un approccio del tutto riuscito a canzoni che trasportano l’ascoltatore attraverso il tempo per come lo conosciamo. Un album stratificato e nel complesso immediato che farà impazzire di gioia i nostalgici di genere e lascerà spazio alla luce colorata proprio quando quest’ultima sembra non aver spazi d’apertura.