Nèra – Nèra (ALKA Record Label)

Dicotomie che esplodono in sentimenti avversi e lontani quasi fossero chimera che infrange la notte, proiettata però sulla terra  a ricucire gli animi e a ricucire gli ultimi, parlando di bisogni essenziali e verità da scoprire in un sodalizio con l’alternative che abbraccia a dismisura l’elettro rock più celato e oscuro, se non fosse per i testi che entrano come un pugno nello stomaco a risanare vecchie ferite in una costante ricerca di una nuova realtà, capace di essere veritiera il più possibile in un mondo che non ci vuole.

I giovani Nèra al secondo EP ci regalano cinque canzoni di pura matrice aggressiva e conturbante, con riferimenti ai Subsonica, soprattutto per timbro vocale, in modo da creare con l’ascoltatore la capacità di immedesimarsi grazie a tematiche sempre attuali e un senso profondo e oggettivo nel vedere il mondo in modo razionale, un mondo colto nel momento, un mondo in cui l’inutilità delle cose materiali è sempre più divisione piuttosto che condivisione, un mondo trascinato dal caos e dalla disillusione.

I nostri convincono sin dalle prime battute con Quel che sei, passando per il singolo La plastica fino al finale lasciato, non a caso a La cosa migliore, cinque pezzi che sono la pura matrice essenziale di un rock che non chiede, ma piuttosto che sa donare nella sua immediatezza.

Siciliano sono – Mundo malo (Autoproduzione)

Contaminazioni sonore che fanno del destino della nostra società un punto da cui partire, un punto di sospensione che ci incanala verso mondi lontani e ci rendi forti per affrontare le sfide del tempo che verranno; una musica che trasporta e disorienta, ci fa apprezzare le culture lontane e ci rende partecipi costantemente di qualcosa di più grande e finalmente condiviso.

I Siciliano sono nel loro secondo disco Mundo malo, sembrano racchiudere al proprio interno una musica che parla al mondo in una Torre di Babele ricostruita e pronta a denunciare i mali della società, l’oppressione del più ricco nei confronti del più povero, l’eterna lotta tra chi conosce la fame e chi l’ha solo vista per televisione: undici tracce che parlano della società moderna in un mondo sottomesso dal vivere nell’ingordigia di pochi.

Ecco allora che l’occasione di riscatto arriva a ritmo di patchanka, di ska, di rumba e di reggae con un tocco di musica balcanica ad insaporire una ricetta certamente riuscita e di sicuro impatto sonoro, che si esprime al meglio in pezzi come La terra, il sole e il mare, Balla, Raccomandazioni e la scintillante di speranza title track.

Un album che analizza il nostro tempo, lo fa in modo che questo raccontarsi sia godibile innanzitutto e ballabile, un concentrato di energia che si fa canzone per le generazioni future, pronte a sperare in un quadro futuro di rispetto e condivisione tra i popoli.

Leon – Gli eroi muoiono (Meat Beat)

Gli eroi muoiono e ce lo spiega Leon nel suo nuovo disco, il cantautore valdostano confeziona una prova di sperimentazione innanzitutto in quanto il pop è mescolato con il cantautorato, il rock e l’elettronica e a farla da padrone sono testi generazionali in cui gran parte dei giovani ci si possono rispecchiare, tra lavoro precario e incertezza sul futuro, senza basi d’appoggio su cui sperare e senza la minima convinzione di poter far valere un proprio pensiero nella miriade di voci che fanno parte del nostro vivere.

Un disco esistenzialista che divaga, per ben quattro pezzi, nella lingua francese, parole presenti, pesanti e possenti, ci sono le poesie di Baudelaire e il colore nero prende il sopravvento dopo giorni spesi a chiedersi chi siamo; del domani non vi è certezza e noi protagonisti insicuri non abbiamo nemmeno più gli strumenti per affrontare ciò che ci troviamo davanti.

Intimo nella propria esistenza, Leon, ci regala una prova dei nostri tempi, un bel disco formato da dieci pezzi, una solitudine mescolata all’attesa e quella luce filtrata ad illuminare l’altra faccia di noi, l’altra faccia della luna, l’altra faccia che non dobbiamo far cadere nell’oscurità eterna.

Alessandro Sipolo – Eresie (fasolmusic.coop)

Alessandro Sipolo si muove in direzione ostinata e contraria, contro il vento che inonda la faccia del tempo vissuto e contro ogni forma di mercificazione che la letteratura musicale ormai ora ha raggiunto pur di riuscire nell’intento di stupire o attirare nuovi discepoli.

Parlo di letteratura musicale perché Alessandro è un cantautore che riesce a dare forma sostanziale alle parole, non semplici frasi lasciate li per caso, ma piccoli pezzi di poesie che incrociano le orecchie attente di chi ascolta e sanno comunicare un concetto di libertà e soprattutto di mondialità.

Una mondialità priva di barriere che viene narrata con l’utilizzo di luoghi geografici in molte canzoni, le citazioni territoriali servono a far immedesimare l’ascoltatore con i luoghi che per quest’ultimo hanno un valore, sono pregni e carichi di significato e questo si può definire tranquillamente un valore aggiunto di certo invidiabile.

Le mani sulla città vede la collaborazione del chitarrista e compositore Alessandro Asso Stefana, mentre in Arnaldo spunta l’acustica del bandabardiano Alessandro Finaz Finazzo, la batteria è curata da Ellade Bandini mentre al basso è presente Max Gabanizza a sottolineare l’importanza della prova stessa, in un miscuglio eterogeneo di complessità e colori.

Prodotto artisticamente da Taketo Gohara e Giorgio Cordini, questo disco ha tutte le carte in regola per fare un salto di qualità meritato e ricercato, nel mare di produzioni nostrane, nell’oceano della musica italiana.

The Flying Madonnas – Per Aspera ad Astra (Factum est)

Le fatiche danno le soddisfazioni maggiori e da questo nuovo parto della Factum Est Records, etichetta proveniente direttamente dal corpo multiforme della Jestrai Records, esce un disco estemporaneo e significativo dal titolo Per Aspera ad Astra dei romani The Flying Madonnas.

Luci primaverili che si affossano in una psichedelia diretta al nocciolo e capace di trasformare onde sonore in multiformi ipercubi in metamorfosi, indicando l’infinito che era prima di noi, senza racchiuderlo in segmento, senza farlo partire, ma relegando il nostro scorrere in una linea retta, puntini di sospensione e energia cosmica indissolubile, penetrante e intersecata ad energie che sono esse stesse causa del nostro vivere quotidiano.

Un disco che parla di galassie lontane e di come noi esseri infinitamente piccoli ci troviamo ad osservare un orizzonte ancora troppo importante per essere compreso, un orizzonte compreso solo da chi sa osare ripetutamente nelle ultradimensioni che ancora non conosciamo.

Ecco allora l’eterogeneità dei generi: dal post rock all’elettronica, dal noise fino al potente piglio progressive, in un disco che è esso stesso viaggio cosmico verso una via lontana, forse inarrivabile, ma di certo via da seguire.

Les Jeux sont funk – Erasing rock (Irma Records)

Musica contaminata dai colori dell’arcobaleno e della neve, in un groviglio esistenziale pronto a sdoganare il rock vecchia maniera per far si che la ricerca sia da stimolo vitale ed essenziale nella trasposizione meticolosa dei suoni e delle ragioni che spingono a creare melodie di una bellezza non di certo rarefatta, ma ostinata, per una prova dal sapore moderno e soprattutto internazionale capace, attraverso un gioco di parole sin dal nome del gruppo, di sradicare le convinzioni del passato per creare un sodalizio tra elettronica e funk, tra strumentale e composizioni lunari che vanno oltre il già sentito, tra echi di St. Vincent passando per Daft Punk e Funkadelic in un Groove deciso e di spessore, una eco continua di rimandi al passato con orecchio proteso al futuro, capace di segnare, in modo indelebile, una strada poco battuta in Italia e in grado di trasformare un’esigenza in qualcosa di più ampio respiro.

Nicola Battisti – Bellissimo così (Cabezon records)

Cambiamento in divenire per il nuovo di Battisti, cantautore veronese con alle spalle una crescita costante e un disco di tre anni fa che lo ha visto protagonista del suono di quel tempo fatto prevalentemente di chitarre acustiche e canzoni strutturalmente ambiziose nonché difficili da eguagliare.

Oggi si cambia, oggi è il momento di dare una ventata di novità al cammino passato, oggi ci sono le basi elettroniche e un’ambizione connotata dal forte respiro internazionale, capace di penetrare fino in fondo con pezzi più diretti, da canzone radiofonica con piglio alternativo che male non fa e galleggiando in un r&b emancipato e una voce che convince sempre più.

Un disco sulla bellezza dell’amore e sulle istantanee che si ammirano solo in quel momento, un disco sulla lucidità in divenire contornata da un pop mai mieloso, ma accattivante e convincente, una leggerezza che non è sinonimo di mancanza di spessore, ma è proprio quella grandezza di cui abbiamo bisogno per ammirare i gesti quotidiani da un altro punto di vista.

La bellissima Ti porto al mare è l’esempio di come la melodia tessa trame sostanziose e allo stesso tempo disimpegnate, sempre alla ricerca di un buon motivo per confezionare dischi così, sempre alla ricerca di un proprio cammino; un talento che non ha bisogno di discussioni per un album che ne è lo specchio.

Animarma – Horus (Alka Record Label)

Anima e arma, contrapposti per sempre in un’eterna lotta, abbandonando i fasti dell’incompreso inglese, per approdare ad un italiano convincente e che colpisce per argomenti trattati in un ep fatto di canzoni al fulmicotone che lasciano il segno, cinque pezzi di grande impatto sonoro in vibrante alternative rock costante che porta appresso un concetto, un’esigenza che fotografa l’istante, un elemento, per creare una continuità con il passato e nello stesso tempo per dare vita a pezzi che parlano di morte conoscendo la vita, portando alla rinascita, portando ad essere noi stessi veicolo per il nostro futuro migliore.

Pezzi confezionati a dovere tra le strade polverose e disarmanti, dove l’oblio e la disperazione lasciano il posto alla rassegnazione e quel campo lungo visionato che rappresenta la nostra vita attimo dopo attimo, alla ricerca della strada perduta tra le dune di sabbia infinite, alla ricerca di un sorso d’acqua, alla ricerca di qualcosa di diverso nel mare di ogni giorno.

Chicken Queens – Buzz (La Clinica Dischi)

Duo spaccatimpani e psichedelico che spara a mille sui volti nascosti di chi tenta di osservarli, non si lasciano dietro nulla, non si lasciano dietro il tempo e creano una commistione di sudore e rumore che si avvicina per molti versi al primordiale rock sviscerato da Hendrix per passare al Jack White dei nostri tempi in un’altalena piastrellata di forme e colori dove la melodia non esiste, ma la forma e la sostanza sono elementi imprescindibili per la buona riuscita di questo disco.

Impatto notevole quindi che lascia lo spazio a qualcosa di primitivo che ti entra nel corpo e non ti lascia andare, quel qualcosa che sa di ruggine e tempo perduto, di maturità sonora, ma anche di punk alla vecchia maniera, quando il marcio che era dentro, si esponeva ed usciva con tutta la sua rabbia carica di significato e d’altronde i nostri non sanno contenersi e creano sfacciatamente un modo diverso di approcciarsi alla musica, un modo più diretto, meno elaborato, ma di sicuro effetto.

 

Habitat – MaiPersonalMood (Faro Records)

Essere lontani da casa e raccontare di un mondo diverso, poco conosciuto, in attesa di nuovi sviluppi e soprattutto un mondo capace di darti capacità espressive che si dipanano lungo brani di pop elettronico cantati in italiano tra geometrie essenziali e sbilenche, un mondo che non di certo appare invitante, ma che sicuramente regala possibilità mai fini a se stesse.

Un lavoro molto elettro indie quindi che non sfigurerebbe di certo nel panorama nazionale anzi un disco che convince sin dalla prima Ego per capacità di divincolarsi dal già sentito per formulare una tesi del tutto soggettiva, del tutto originale, quella forte capacità di raccontare un mondo attraverso il viaggio, attraverso il volo di un aereo, attraverso le nuvole che scompaiono oltre l’orizzonte.

Ecco allora che la band di Francesco Allegro sa ricomporre i colori grazie ad un’essenzialità di fondo che ambisce ad essere voce portante nel panorama indie pop italiano, un disco fatto di sogni e speranze celate, un disco di sussurri e voli pindarici, di gesti metropolitani e di città nascoste allo scorrere dei giorni.