Circolo Lehmann – Dove nascono le balene (Libellula/Audioglobe)

Sanno parlare di posti lontani, di territori che fanno parte però del nostro vivere quotidiano, quei territori dell’anima da esplorare attraverso elucubrazioni prog che si spingono ben oltre le maree e ci lasciano con il fiato sospeso ad immortalare il momento, a segnare in modo indelebile una contaminazione che si innesta dentro al sogno psichedelico e attraverso una folata di vento, riesce a ristabilire equilibri scavando nelle passioni dei giorni perduti.

Ascoltare il Circolo Lehmann è prima di tutto fare un passo indietro, negli anni ’70 italiani, tra suite sonore che meritano più ascolti per essere interpretate, una musica che poi si proietta nei giorni nostri toccando le corde di un cantautorato alla Niccolò Fabi in divagazioni alla Paolo Beraldo con suoi Public, per passare prepotentemente ad una quiete acustica che ammalia e sincera commuove, in una ricerca stilistica dei pezzi che incontra la letteratura e il conflitto eterno tra il criptico e l’evidente in una dicotomia sogno e realtà che si respira in apnea lungo tutte le undici tracce che compongono questa piccola opera seducente, dalla bellissima e incontrastata Marlene fino a Cosa ci siamo persi a rincorrere un vuoto che ci vede protagonisti per passare ad osservare l’oceano in Dove nascono le balene, pezzo di pregevole fattura che da il nome al disco e che in qualche modo è il sunto di un pensiero a tratti oscuro e di denuncia, che si contorce nel suo abbaglio e ritorna nelle profondità degli abissi, a ristabilire una comunione d’intenti con le nostre aspirazioni future.

So does your mother – Neighbours (Autoproduzione)

Debutto discografico per la band romana che fa parlare di se grazie alla commistione onnipresente di prog dal sapore d’altri tempi e l’unione con l’elettronica in musica che caratterizza le produzioni più odierne, specificandosi nel genere e facendo del loro collettivo un animale festaiolo dance che sfora il coprifuoco e capace di donare certezze e ospiti illustri come Ike Willis, storico cantante e chitarrista di Frank Zappa e le cantanti Ghita Casadei e Maria Onori.

I vicini escono con la primavera, stagione di rinascita e conquiste, il modo con cui i nostri si rivelano è uno sbocciare di un albero chiuso dal tempo dell’inverno e pronto a scuotersi lentamente per lasciare agli occhi i migliori fiori da assaporare in una musica che ha una forte connotazione internazionale, spruzzate di jazz, funk e grande capacità intrinseca di mettersi alla prova, di conquistare l’ascoltatore con ritmi in divenire e sonoramente persistenti e incisivi.

Un disco per far ballare, pensato per stupire e racchiuso da un cofanetto in un packaging inusuale e di sicuro effetto, segno dei tempi che verranno e di una stagione nuova da assaporare.

 

Siranda – La scatola del male (Resisto)

 Primo full lenght in studio per la band siciliana che riesce a mescolare la critica sociale verso un mondo che non ci appartiene con le suite prog rock in divenire e la sostanza incapsulata nella canzone d’autore di un tempo in un misto alquanto importante di rock e cantautorato, criticando punti di origini e partenza e avendo un occhio di riguardo per tutto ciò che li circonda; una protesta che si fa punto di svolta per le nuove generazioni, un modo diverso di affrontare la vita, attraverso testi che non sono mai banali, ma si rifanno ad una ricerca che ha le proprie radici proprio nella musicalità della lingua italiana, sui termini di confronto, sulle metafore.

Area e PFM a farla da padroni, passando per il Banco e tutto ciò che ha caratterizzato gli anni ’70 nella nostra nazione, quando ancora c’era la voglia di sperimentare e di mettersi in gioco, quando ancora a livello musicale potevamo alzare in alto i nostri occhi e guardare in faccia, senza paura, il pubblico americano e inglese.

Nove tracce che sono critica quindi di questa società, nove pezzi che sono da monito nei confronti di questa scatola del male chiamata Tv che fagocita e non conserva altro, che percepisce soltanto il colore dell’oro e non ridà quella speranza ormai perduta.

 

The Smuggler Brothers – The Smuggler Brothers (Tone Deaf Records)

Strumentale colorato fatto da una tavolozza infinita dove l’argento del copricapo montuoso si staglia sul dorato mare che accoglie questi pittori della musica in grande stile e grande capacità disinvolta di creare, maturando, una forma sottile d’arte che è molto più del risultato finale in quanto ogni singolo pezzo, ogni singolo frammento è un’opportunità nascosta e incontrata, una possibilità in più di dare un risvolto autentico a quello che possiamo definire musica.

Una musica che parte dai grandi maestri delle colonne sonore, toccando il prog dei fasti italiani degli anni ’70 fino ad arrivare ai Calibro 35 dei giorni nostri passando per tutti quei compositori che hanno fatto importante il nostro cinema e non, su tutti Umiliani, Micalizzi, Piccioni, Morricone, i fratelli De Angelis, Cipriani e Frizzi.

Un disco immaginifico e da scoprire, ricco di finestre da aprire e da cercare, tra spazi infiniti dove tutto è concesso, dove la creatività è di casa e dove la forma canzone destrutturata è commistione ed esigenza, passato e futuro pronto ad incantare ancora una volta.

OrangeBetty – Tenthtown (Autoproduzione)

Album di pura musica sperimentale tra incursioni sonore acustiche e cavalcate prog, tra i distorti malinconici e le vie di fuga da raggiungere per tentare di diversificarsi dalla massa, troppo attenta alla canzoncina radiofonica e incapace di osare.

Questo disco ha un qualcosa di portentoso, una capacità di brillare di luce propria; anche se addentrarci nei meandri di questa musica risulta assai complicato in quanto il tutto è composto come fosse un labirinto di pensieri e di suoni da cui è difficile uscirne e dai cui l’insospettabile magnificenza delle canzoni si sposa bene al contesto in cui vengono poste.

12 brani apparentemente confusi e riposti con un ordine casuale che in verità sono pezzi di storie intersecate,  un meraviglioso puzzle d’autore che non ha fine ne confini.

Delicate caratterizzazioni ed energia in stato di calma, sono le carte vincenti di questa giovane band in continua ricerca delle proprie capacità, esemplificate appieno in questo album.

Dadamatto – Rococò (La Tempesta International)

dadamatto rococò

Quarto disco per i Dadamatto che con il loro post prog indie pop si concedono di creare meravigliose armonie uscendo dagli schemi del già sentito e marchiando abilmente il loro futuro con un sigillo che ben pochi sapranno imitare.

Questo è un disco complesso, ricco di sfumature e di controtempi che allegramente si prendono il giusto tempo per incasellare testi ironici e taglienti con altri più meditativi e portatori di un modo di scrivere che garantisce una continuità espressiva a dir poco travolgente.

Si snocciolano tranquillamente argomenti di elevata cultura metafisica come Pluridimensionalità per rendersi conto poi che tutto ciò che di più grande abbiamo sulla terra è l’amore per la persona cara o l’amicizia che va oltre il vissuto come in Insieme.

Si canta l’amore anche in Marina e si tende all’infinito sia con il Prologo che con l’Epilogo, formando quel cerchio che non viene spezzato e tantomeno viene a scalfirsi, tanto è ricca di sovrastrutture questa musica da far impazzire anche il più cervellotico degli ascoltatori.

Ecco perché possiamo leggere il tutto su più piani, c’è chi si accontenta dell’ilarità, c’è chi della profondità altri che apprezzano l’approccio di tastiere in improvvisate sonore.

Un disco carico, ricco e di per sé pieno di quella attitudine genuina e sicura tipica dei grandi e veri gruppi della penisola.

Confusional Quartet (Hell Yeah/Goodfellas)

Che suono.

Che elettricità.

Che energia.

Dire che il Confusional Quartet è semplicemente un gruppo che stanco di aspettare i tempi del cambiamento, si è messo a creare nuovi suoni, è riduttivo.

L’ascoltatore in questo album di prog, new wave, indie rock, samba, jazz, bossanova elettrizzata e chi più ne ha più ne metta, è coinvolto in un vortice di suoni potenti e dirompenti.

Questi giovincelli non più giovani portano con sé ancora la necessità di fare musica ad alti livelli.

A tratti PFM a tratti Eterea PBB, tra i primi Devo e gli Area, si possono scoprire echi di rinascita in quella Bologna confusionaria dove tutto è nato.

Il Confusional Quartet è nato nel 1977 e tra il 1979 e il 1981 realizza alcuni album e tanti live, collaborando con l’Italian Records di Oderso Rubini. Poi il silenzio fino al 2011.

Ora però sono tornati con una nuova band: la musica si è fatta più matura e vissuta, meno ironica e più incisiva, dove tutto è possibile, dove l’inesplorato non esiste e dove vince la cura dei suoni e dei ritmi che conducono a spazi di creatività infinita.

La formazione con Lucio Ardito al basso, Gianni Cuochi alla batteria, Enrico Serotti alla chitarra e Marco Bertoni alle tastiere è accompagnata al mixer da Giugno Ragno Favero (Teatro degli Orrori, One Dimensional Man).

Ricordo che non c’è il cantante nel Confusional Quartet.

Non una sola parola in queste canzoni.

A cosa servono poi le parole?

Buon Ascolto.