Bluestones – Groupie (Autoproduzione)

Potenza di fuoco sotto controllo capace di intonare i versi di un tempo che fu attraverso  musica contemporanea di un potere devastante e da un lato rassicurante che mescola elementi hard, metal, blues, grunge in sodalizi che aprono allo stoner ingigantendo la proposta in qualcosa che non è di certo di rapida assimilazione. Groupie è un album esageratamente internazionale, non nell’accezione negativa del termine, ma piuttosto viene immortalato laddove le produzioni italiane sono carenti, dando valore aggiunto ad una biografia stampata completamente in inglese, segno che i nostri fanno sul serio e che hanno il desiderio di esportare il proprio pensiero magari anche oltre oceano. Disintegrare costrutti su cui poggiano le consuetudini è un merito di sicuro assoggettato ai Bluestones, composizioni come l’apertura Worn-Out Organism, Death by fire, Mantide o la ballatona finale To those who left us non passano di certo inosservate, ma anzi alzano il tiro dando un senso omogeneo all’intera produzione. Un disco che sembra intrappolato fuori dal tempo, lontano dalle mode, ma che porta con sé il gusto e il sapore di un periodo storico che purtroppo non esiste più.

Wonder Vincent – Fiori (Autoproduzione)

Prendete i primi Smashing di Gish, aggiungete un tocco di post grunge americano e condite il tutto con la follia degenerativa dello stoner impreziosito dall’incontro con Vincenzo Sparagna direttore di Frigidaire/Il Male per dare vita ad un gruppo prima e ad un album poi che contiene quella potenza reazionaria in grado di dare un senso perenne al nostro lottare, quel senso di libertà che non è incasellato in un confine ben delineato, ma che si fa portatrice di rabbia contro il sistema, una rabbia pronta ad uscire già dalle prime note.

Un disco realizzato nell’autoproduzione più totale dove i Wonder Vincent hanno avuto la possibilità di sperimentare e sperimentarsi, un quadro analitico fatto di contrapposizioni sonore che verso la fine del disco si aprono a lisergiche melodie acustiche, acide quanto basta per essere condite da un folk Barrettiano e memorabile; visione di luce profonda in una triste mattina d’inverno.

Il resto sono grida di ferocia e intensità che non colpiscono solo allo stomaco, ma anche al cuore, trasformando il già sentito in una sorta di parabola ascendente verso mete difficili da riproporre, in grado di coinvolgere e di portarci all’interno di un continuo cambiamento.

1 disco, 3 amici e 13 canzoni, 13 varietà di fiori che si contendono il primato nell’immergere il proprio gambo nell’acqua della vita, prima che appassiscano, prima di essere scordati per sempre, in uno spazio temporale così vicino alle nostre ambizioni e così lontano da ogni forma di inutilità vissuta.

Siren – The Row (Red Cat Records)

Rock band dal sapore ’90 che include una passione per il ritmo ad altre introspezioni sonore dove lasciarsi andare, inglobati dal suono di riferimento e portati a raggiungere il benessere attraverso sferzate di post grunge e incursioni dosate al punto da essere caratterizzanti in un  equilibrio esistenziale.

Questi sono i Siren, rock band di Pesaro, con il loro nuovo e primo album The Row capace di amalgamare melodia e buon gusto ad un alternative non spiccato, ma pronto a sfociare quando meno te lo aspetti.

Il tutto si evince ascoltando la commistione con strumenti inusuali per il genere come violini e violoncelli, trombe e fisarmoniche a creare e a sancire dico io, un’unione emblematica che vede l’inusuale appunto con il voler creare qualcosa che va ben oltre il già sentito, spiccando per coraggio e originalità.

Un disco che parla dei paradossi della vita a cui ognuno può dare la propria interpretazione e dove ognuno di noi è la chiave, a sua volta, per comprendere il mistero, incasellarlo e rigettarlo al suolo con nuovi significati tra ombre oscure e spirito di rassegnazione.

Un disco ben composto che si avvale, per la registrazione, dello studio Waves di Paolo Rossi a Pesaro, un album intenso e ricco di suggestioni, capace di raccontarsi e vivere.