Sofia Brunetta – Former (Piccola Bottega Popolare)

Incursioni soul influenzate da un pop internazionale che scalda le valvole di una musica oltre confine. oltre le barriere a cui siamo abituati, regalando ritmo e decisione, grande caparbietà e precisione nel ricreare e soprattutto nel dare speranze ed emozioni, innovazione sonora quindi, in Italia, per un’originalità indipendente che con difficoltà si può replicare.

Sofia Brunetta parte per un viaggio, quei viaggi che forse ti cambiano la vita, ci mette passione in questo viaggio, ci mette tutta se stessa, un viaggio dove l’onirico si immola ad incontrare il reale, riscoprendo il gusto per il vintage e per il caldo abbraccio di suoni che a fatica possiamo ancora ascoltare.

Il Nord America, il Canada e la natura incontaminata, sento tanta natura in questo disco, un essere tutt’uno con le radici della nostra coscienza che si divincolano e trovano nell’espressione interna la parte più geniale del se e poi il ritorno in un paese diverso, ma sempre pronto ad accoglierla per riversare le fantasie di una donna in un disco che brilla di luce propria.

Ecco allora che come farfalla la nostra esce allo scoperto, e con precisione regala ad ognuno di noi una parte di se stessa, quella parte custodita gelosamente, che pian piano si lascia sciogliere per raccontare un bisogno di essere diversi tra Low e Black Little Star, piccoli paesaggi sonori in bilico tra una poetica d’autunno e uno stato di grazia difficilmente replicabile.

Moustache Prawn – Erebus (Piccola Bottega Popolare/MarteLabel)

Questa è musica che viene dal mare.

Fuori da ogni etichetta di genere in un cantato beatlesiano targato 2.0, tra un susseguirsi di cambi di tempo, maestose variazioni e incontri sonori che ammiccano in modo evidente, ma anche personale, ai mostri sacri della musica rock targata ’70.

Beck sarebbe felice di questo lavoro e ancora di più lo siamo noi, perché questo album, è maestria calcolata e nessuna nota è lasciata al caso o al tempo che verrà, ma ingloba e ci rende partecipi di quel tutto, un tutto capace di scuotere e oltretutto convincere.

I Moustache Prawn convincono a dismisura grazie a questo Erebus che sembra la colonna sonora di un racconto fantasy fuori dal coro, non allineato, poco propenso all’orecchiabilità, ma che nella sua varia natura ci regala emozioni che non sono da pagare con quattro miseri soldi, ma ad ogni ascolto ci fanno comprendere in modo evidente l’originalità della proposta e la fatica di promuovere musica di così alto livello, strutturata e incorniciata a puntino.

Su tutti pezzi come Something is growing, la sbilenca Solar e la floydiana Eating plants suonano come una cena tra orpelli da disintegrare e buon gusto da dispensare ancora.

Loro sono pugliesi, di Fasano, sono però animali che provengono dal mare, sono usciti dall’acqua qualche anno fa e con il tempo hanno potuto condividere palchi di tutto rispetto con artisti del calibro di  Hugo Race, Zen Circus, Bud Spencer Blues Explosion…tuffati nell’inesorabilità dell’esistenza i nostri però si vogliono ancora cercare il giusto spazio tra la folla che li circonda, in attesa di ritornare nelle profondità marine, nel felice vivere dentro ad una conchiglia.

 

 

Il Bric – Nuovo ordine mondiale (Piccola Bottega Popolare)

Bellissima idea, bellissimo disco.

Si parte dal presupposto che nazioni come Brasile, Russia, India e Cina compongono più del 40 % della popolazione mondiale e di conseguenza hanno diritto di entrare a loro modo in un contesto globale più ampio tralasciando ciò che era l’economia fin ora tra galleggiante saliscendi europeo e americanismo=capitalismo imperante.

Provate solo a pensare perchè si è costruita l’Europa e perchè si vuole sempre più rafforzarla.

I nostri mattoncini hanno una visone della terra molto più ampia e la loro idea sta in un incrocio di culture che deve inevitabilmente avvenire senza pensare che dimenticando certe problematiche la situazione venga risolta.

Sotto l’aspetto musicale questo Nuovo Ordine Mondiale stupisce.

Non è un disco di Taranta e nemmeno di etno-sound o quelle cose li che semplicemente trovo inutili se non in un contesto territoriale ben definito.

Quella che hanno inventato i nostri è un nuovo tipo di musica che abbraccia il pop elettronico di Max Gazzè e i pianoforti di Francesco Magnelli, un grido da far ascoltare a generazioni di persone che cercano di uscire dalla conformità con stile ed efficacia.

I synth sono imperanti, ma non sono invasivi, mantengono una loro struttura dimenticando l’abuso smodato degli anni ’80 per dare più spazio ad un cantautorato espressivo e concentrato a contenuti e a forma-canzone congegnata.

Le dieci tracce si divincolano in velocità lasciando lo stereo di casa in loop continuo.

Veramente una bella e briosa novità, sia sotto l’aspetto concettuale che sotto l’aspetto sonoro, un gruppo che mi auguro possa esportare la propria musica fuori dal contesto Italia, costruendo un’unità più viva e colorata, più leale e sincera; dimenticando il futile della vita e convergendo all’essenziale.