Artico – Uscirne Illesi (Overdrive records/Non ti seguo records)

Artico - Uscirne Illesi

Incontrollabili momenti di hardcore che persistono nell’etere attraverso un post imbrigliato capace di unire At the drive in, Altro e Ulan Bator in una coesione esistenziale di testi e tanto sudore. Gli Artico confezionano un disco pieno di rimandi ad una musica semi scomparsa. Un insieme di pezzi diretti, schivi, ma che parlano con voce gridata di tutto ciò che non funziona, di tutto quel nascosto che risiede tra forme e dimensioni di conforto. Uscirne illesi non è autocelebrazione, ma piuttosto un tentativo imponente di riuscire a vivere la propria normalità nei casini di ogni giorno. Ecco allora che cadono, come pioggia suadente e fagocitante, canzoni come Lo chiamavamo casa, Purgatorio, Frastuono, Incubi, Quando arriverà il momento saremo stanchi, Schegge a ricucire le ferite, a rincorrere il proprio destino. Uscirne illesi suona veloce. Pieno. Un mare in tormenta con radici ben piantate. Un disco di genere che incanala la rabbia del momento. Undici attimi di incontrollabile energia proiettata nel presente.


77 Gianky Project – Non mi fermerò mai (Overdrive Records/Duff Records/Scatti Vorticosi Records)

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Punk imperterrito scavato al suolo con approccio evidente, sciolto e mai contorto, in voli pindarici stratosferici che si sposano poi con la nuda realtà abbandonando la quiete e sposando la caotica visione di una sostanza che vale molto più dell’apparenza. Continua a testa bassa la carriera multiforme del chitarrista dei Meat for dogs Giancarlo Capicotto in una prova coadiuvata da Eugenio Pullano al basso e Simone Matarese alla batteria, una prima prova dal sapore d’altri tempi che cerca sempre e comunque una direzione ostinata e contraria alla regola preimposta consentendo all’ascoltatore di entrare all’interno di un mondo fatto di materia lasciata a sedimentare e pronta a ricoprirsi di nuove ambizioni all’insegna di un testo immediato che fa subito breccia e convince. Non mi fermerò mai è un disco che nella sua omogeneità ricerca una parabola nel mondo delle illusioni ponendo, in modo tangibile, un riflesso di un tempo che non c’è più. 


Fall of Minerva – Portraits (Overdrive Records, Basick Records)

La rabbia lacerante che va oltre l’orizzonte e si staglia di energia dalle viscere che implementano l’odio di una generazione per tutto quello che li circonda, presi sul serio dalle spallate della vita in frantumi, orgoglio per chi sotto il palco non smette di gridare una musica sostenuta da un cantato urlato screamo che concede spazi di dilatazione in pezzi in cui trova spazio un cantato italiano, quasi incomprensibile, a manifestare una forza di volontà incompresa dai più, ma di sicuro effetto, tassello dopo tassello, in un vortice sostanziale, sostenuto da una notevole base ritmica e chitarristica, sostenuto da quell’esigenza di urlare al mondo la propria esistenza.

Loro sono i Fall of Minerva, vengono da Vicenza, ma la loro musica ha poco a che vedere con le produzioni locali, hanno invece una forte connotazione internazionale che li porta a collaborare con distribuzioni che si trovano fuori dai confini italiani a sancire un sodalizio e una speranza di essere luce nel buio che avanza, ritratti del tempo che viviamo, ritratti di un mondo in decadenza.

(AllMyFriendzAre)DEAD – Wonders from the grave (Overdrive Records)

Innestare ritmi frenetici e corrosivi di un post grunge assoluto che strizza l’occhio all’hard rock fulminante del passato, in un’estasi mistica trasportante e fuori da ogni previsione che cancella il ricordo per rendere la realtà più vera che mai, più attenta all’inverosimile e tracciando un solco indissolubile.

Un punk rock sporcato dall’heavy, una road americana sotto il sole cocente a tutto volume e quel turbo compressore canalizzato in un rock and roll che si esprime lungo le 12 tracce che compongono l’ultima fatica dimostrabile della band calabrese, nata nella terra del fuoco, nata in quell’arsura che per luogo comune non crea, ma inghiotte e fagocita i pensieri di chi prova a dare un senso al mondo che lo circonda.

Un disco polveroso quindi, che alza nuvole e saette incrociando Turbo Negro ai Ramones, molto più evidenti, molto però più in primo piano, dove costrutti corporali si intensificano per dare al tutto un approccio fisico, diretto, quasi live a intensificare la scena, a sottolineare l’importanza di un connubio con l’ascoltatore.

Chitarre roboanti che si aprono con Alice in Wonderbra finendo con lo sporco riff di Whoopy groupie, dando un senso circolare all’intera prova, una prova che ha conosciuto la siccità, ma che ora è alla ricerca di un qualcosa di sempre nuovo che la possa alimentare.