Kaiser Chiefs – Padova – Geox Live Club 18/10/14

Andare ad ascoltare i Kaiser Chiefs è come fare un pieno di energia a pochi km da casa, un rifornimento che porta con se le giuste aspettative e che non delude, forse, nemmeno questa volta.

Per la quarta data del mini tour italiano, la band di Leeds, sovrasta, nel vero senso della parola, il piccolo palco del Geox Live Club o Geoxino di Padova, a sorpresa di molti che pensavano di vedere i nostri, come del resto il sottoscritto, salire sullo stage principale.

Ricomposte le membrane cellulari dopo questa piccola delusione, si entra nel club alle ore 21.00 e puntualissimi partono a suonare i Ramona Flowers, band dal buon suono complessivo, ma che non colpiscono appieno vuoi per il poco potenziale sfruttato vuoi per il cantante non del tutto convincente nelle sue pose plastiche dal sapore fittizio.

La loro musica è un misto tra U2, soprattutto nel cantato e sonorità più alternative legate al mood brit – rock d’oltremanica in una commistione che regala, solo a tratti, forti emozioni.

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Ore 22.00 e qualche minuto sale sul palco Ricky Wilson accompagnato dalla ormai prode ciurma, pronta a far scatenare i circa 500 corsi ad applaudirli.

ima2Il frontman della band è un vero e proprio animale da palcoscenico, non smette di muoversi e come un fiume in piena si distrugge e si ricompone in pochi attimi, quasi fosse il concerto della vita, quasi fosse l’ultimo concerto a cui può partecipare.

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Gli altri elementi della band si muovono appena, defilati, impostati, quasi fermi, c’è intesa e si vede, ma i riflettori sono puntati solo su un’unica figura che si dimena continuamente tra pubblico e palcoscenico.

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Dopo i primi quattro pezzi è tempo di togliersi la camicia per Ricky e mostrare quel sudore che deve essere segno distintivo per qualsiasi rock-star che intrattiene e coinvolge, quasi fosse un bisogno necessario, innato, quello di far parte del pubblico, di farlo partecipe dello spettacolo, in un unico grande esempio di savoir-faire che solo pochi grandi gruppi di genere riescono ad ottenere.

Le canzoni poi parlano da sole, Education, education, education & War, a mio avviso sottovalutato, è portatore di un suono completo, energico e potente e dal vivo i pezzi si fanno umani, quasi terreni, bellissime le versioni di Modern Way o One more last song, praticamente un inno da stadio, come del resto il singolone Coming Home o la circense Misery Company tra i pezzi finali.

Degna di nota My life, rallentata rispetto alla versione originale e costruttrice di un appeal sincero e percepito anche tra il pubblico.

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 In mezzo a molti pezzi dell’ultimo album si snocciolano in modo naturale canzoni cardine della discografia del quintetto, un’energica Ruby, un’impertinente Everyday I love you less and less e come non notare una The Angry Mob direttamente cantata dal bancone del bar?

Tra tutto questo si trova il tempo anche per festeggiare il compleanno di Simon Rix il bassista e cofondatore della band, tra domande del pubblico e tanto di torta con candelina consegnata dal tastierista Peanut.

ima7Una band che si fa notare, ma con garbo, coinvolge senza strafare e che ha la fortuna di avere un leader carismatico e pronto a tutto per conquistare chi lo ascolta.

Un concerto potente e reale: questo mi sono portato a casa!

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Genuini e non leziosi, i Kaiser Chiefs dopo poco più di un’ora e un quarto di live non vogliono insegnare agli altri come si fa della buona musica, lo fanno e basta e questo vi sembra poco?

Voto: 8+

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scaletta

Emmanuele Gattuso – Plaything (Autoproduzione)

emanueleSolo 6 tracce per entrare in un mondo e non uscirne più, solo 6 i passi che accompagnano nell’inconscio e nelle terre inesplorate, solo 6 i brani che racchiudono un’energia segreta e misteriosa, potenza nascosta dietro a foglie di alberi plurisecolari.
Emmanuele Gattuso scardina la forma canzone per far parlar di se con un album strumentale e onirico, fatto di sintetizzatori e parole rigenerate in bilico tra il primo James Blake e il Kid A passando per Massive Attack su tutti.

Un incrocio di stili che già si pongono con accento meditativo nella traccia di apertura “Loser” accompagnata da rumori disturbanti e intrecci chitarristici a quietare animi pronti al sussulto quotidiano che ti fa capire quanto perdenti possiamo essere nella vita di tutti i giorni.

“Bist du auch in meinem Traum?” tradotta “Sei nel mio sogno” romba di colore invernale, calpestata da una batteria e un synth schizzato e cerebrale.

“Ocean” è pura bellezza sonora legata a mescolanze lunari, mentre la spiazzante “Plaything” sembra una ninna nanna robotica dove nulla è affidato al caso aprendo il campo a “Your Sunday” l’altro pezzo cantato del disco che incrocia Kings of Convenience a Jimmy Gnecco.

Nel finale l’aria si fa leggera con “Wire Field”: 6 minuti di pura catarsi.

Questo disco ha del magico perchè conquista per le atmosfere e le trame sonore eleganti ed essenziali, un quadro dipinto su di un tablet dove i colori sono bit sonori impressi su di una tela infinita.

ASCOLTA IL DISCO QUI

http://emmanuelegattuso.bandcamp.com/

Kalweit and the Spokes – Mulch (Irma Records)

kalKalweit è tornata assieme agli amati Spokes.

Una voce ammaliante e quasi imprevedibile dove il cantautorato più raffinato si mescola ad intrecci di elettronica meravigliata da sali e scendi di tastiere in refrain che si permettono il lusso, stilisticamente parlando, di creare ambiziosi intrecci di synth e percussioni suggestive che si perdono in lontananza per poi entrare inesorabilmente come sveglia del mattino.

Atmosfere quindi oniriche, chitarre e lievi sussurri alla Kings of Convenience supportati dal ritmo delle 6 corde in roll and rock e preferendo piccoli interventi a momenti suonati allo stremo.

Un disco che rimanda al passato, il sapore vintage di questa piccola opera traspira a dismisura negli anfratti e nei solchi di questo laser cd, mentre come un lento carillon il tempo si scaglia con respiri a polmoni aperti.

Presenze in questo disco di un certo livello come Gnu Quartet in Fifth Daughter la fanno da padrone per impreziosire maggiormente la qualità totale dell’album.

12 pezzi che strizzano l’occhio a Velvet Underground e Radiohead, Cure e Jeff Beck.

Meraviglie sonore le possiamo toccare con mano in tracce come Kate and Joan o nella leggiadra Appliances, No need ricorda Placebo e Corgan classe 1979 mentre la pre – chiusura è affidata in Wetutanka con il clarinetto di Nicola Masciullo e il violino di Eloisa Manera.

Un album per tutte le stagioni che racchiude in un cuore di metallo una piccola fiammella che riscalda anche i cuori più gelidi, regalando attimi di luce prima del buio.