Oh Lazarus – Sailing (Off Label Records)

Concept marinaro di vibrante necessità che sfodera dal cilindro delle meraviglie un bisogno sostanziale di ricercare nell’originalità di fondo un punto d’attracco per andare oltre l’ordinario quotidiano che oramai è diventato l’indie italiano. Personalità quindi per il trio lombardo che riesce in qualche modo a mettere insieme sporco blues, improvvisazione, pop diretto e rock mai gridato, in un insieme utile di stratagemmi e ingranaggi atti a contemplare una visione d’insieme, un’attenzione particolare per tutto ciò che parte dal delta del Mississippi fino ad arrivare a lambire il nostro Po in una suadente immagine in progressione di talento e voli pindarici. Sailing è un disco che suona omogeneo, ma nello stesso istante è anche un disco che coglie le sfumature di ciò che è stato e inevitabilmente lo trasforma per dare linfa vitale ad un genere che può e che deve ancora far stupire. Gli Oh Lazarus confezionano una prova importante. La versione in vinile del disco è qualcosa di notevole che si può percepire, toccare con mano. Una grandezza che non è mistero, ma puro godimento per i nostri occhi e per le nostre orecchie.


 

Oh Lazarus – Good Times (Off Label Records)

Il corvo colpisce con il becco la tomba di un passato che non c’è più e non si spaventa davanti a queste macabre danze che vanno oltre la concezione di gotico, ma si lasciano rapire dai suoni di matrice americana, immaginando un horror western d’annata, tra le nebbie de L’insaziabile e le sconfinate praterie attorniate da ostili rocce di Ritorno a Cold Mountain, per un disco che sa di un’altra epoca, un album oscuro, nero, nel senso più cupo del termine, dove tutto non è come sembra e dove i pericoli si celano dietro l’angolo.

Questo è un disco che esce dagli schemi e gli Oh Lazarus dal classico trio si moltiplicano e danno spazio alle collaborazioni più disparate con membri dei News for Lulu, Jack La Motta, Pocket Chestnut e Dead Shrimp; un aggrovigliarsi di strumenti impolverati dal tempo che ricreano un’era e lasciano convincere l’ascoltatore grazie alle capacità straordinarie del gruppo di fare dell’immedesimazione un punto di forza sui cui scommettere e su cui sperare per un futuro diverso.

Il clarinetto si innesta all’organo e poi via via le percussioni ricreate, la chitarra resofonica, il banjo, il pianoforte: un saloon di scheletri che danzano al ritmo di questa musica che risiede nel più profondo del nostro corpo e nasconde aspirazioni volute, ricercate e mai raggiunte, Edgar Allan Poe e il suo eterno malessere interiore, che incontra la raffinatezza di Antony e la sperimentazione di qualsivoglia grande della musica contemporanea, un disco da avere e da ascoltare.