Oceans on the moon – II (Spinnup/Universal)

album II - Oceans on the Moon

Affondare radici umane negli intricati grovigli della nostra mente dove energia viscerale si trasforma in impulsi sovraritmati capaci di entrare, penetrare e stabilire legami indissolubili con la nostra anima. Il nuovo degli Oceans on the moon racchiude al proprio interno un’elettronica di confine capace di imbrigliarsi all’interno di un alternative mai scontato che prende in prestito la lezione dei Radiohead, le linee vocali dei Cousteau e l’imprevedibilità di una new wave sposata con gli assortimenti oscuri e ammantati di mistero di Tricky. II è un viaggio nei meandri nel nostro stare al mondo. Un viaggio senza ritorno che a tratti incontra elementi di post rock per ristabilire la giusta distanza con l’ascoltatore, soppesando ciò che può essere cantato con ciò che può essere suono. Il disco dei nostri è un concentrato di splendida armonia, un album da scoprire ascolto su ascolto che non si risparmia, ma che piuttosto dona incisività e una maturità artistica importante.


Oceans on the Moon – Tidal songs (NewModelLabel)

Si ascoltano gli Oceans on the moon e nel contempo ripercorriamo la storia del rock-pop degli anni 2000, si parte con i Radiohead per struttura sonora e arpeggi discendenti che fanno venire i brividi al solo contatto con le nostre orecchie, ci sono i Coldplay, i primi Coldplay, legati alla malinconia di fondo che si intreccia  a quel suono un po’ sporco che caratterizzava il grunge di fine ’90; c’è l’elettronica che crea atmosfere e strati su strati fino a comporre una tela definita dal lieve contorno della brina che si scioglie e ci incanta per tanta bellezza, così ossessiva e così accogliente.

Poi nel disco ci sono gli Editors, ci sono gli Interpol e anche qualcosa di Robert Smith, in primis però ci siamo dimenticati di ricordare che c’è Andrea Leone e Marco Martini, due geni impazziti che si divertono a ricreare mondi da percorrere e da esplorare trattenendo il respiro e che si insinuano lentamente dentro ai nostri occhi.

Nessun pezzo spicca o prevale sugli altri in quanto la coerenza e la bellezza delle 8 tracce amalgama in modo efficiente il contorno delle cose a definire un linguaggio che potrebbe essere comune, universale.

Un’elettronica ben calibrata che promette e molto direi, portando questo duo sul gradino più alto della musica nazionale e internazionale a fianco di Joy Cut tanto per citare qualcuno e a fianco di quel genere sempre in rinnovamento che caratterizza mostri sacri prima lontani, ora percepibili.