Verderame – Roma tossica (Exit Record)

Verderame è prima di tutto amore per gli anni ’90 e per quelle sonorità che hanno contribuito a fare la storia della musica per come la conosciamo da oggi all’eternità, il loro è un rock deciso, tagliente e a tratti ruvido, con testi mai banali e ricchi di quella carica diretta e in parte introspettiva, che si fa racconto, che sa raccontare di vicoli bui da dove poter uscire, di speranze da raggiungere e fughe verso mondi lontani.

I riferimenti si fanno accentuati, ma delicati, nella bellissima Seattle ’96 che ricorda gli Smashing Pumpkins di Mellon Collie, per poi ritornare a farsi esplosione in G8 o in pezzi come Isola accerchiata non solo dal mare, ma anche da riff potenti e incisivi, capaci di penetrare e dare sostanza ad una forma canzone che prende piede pian piano e si insinua dentro di noi, come i primi album dei Verdena, ad accorpare materia cosmica, pronti per una nuova esplosione.

Dieci pezzi che hanno come portavoce Fiore Etilico, una canzone sull’insicurezza e sul nostro bisogno di dare un senso diverso e magari ricercato alla nostra forma esistenziale, un album che vede il ritorno della band romana dopo cinque lunghi anni, un ritorno che, ne sono certo, lascerà il segno.

Malamadre – Malamadre (BProduzioni)

Il mondo a fumetti approda nella musica e ci regala uno strampalato affresco veritiero di una società stagnante pronta ad essere inghiottita e fagocitata da qualsivoglia schema privo di ordine, capace di relegare il passato a mero ricordo e di costruire nuove forme di comunicazione e sensazionale visionarietà.

Malamadre è un collettivo di artisti polivalenti che si mette in gioco per raccontare, per estrapolare vissuti e onirici e in qualche modo dare un senso a ciò che li circonda, con cantato in italiano e vissuti che si innestano alla goliardia dei momenti felici, un progetto che sa di nuovo, ben strutturato e congegnato per l’occasione.

11 pezzi tra cui spiccano Chi non muore si  risiede, La canzone della luna e La regina che non dorme senza dimenticare Il tango delle portiere, singolo che ha ricevuto un successo di critica al Roma Web Fest ricevendo il Premio Speciale Club Tenco e Olio vincitrice di altri riconoscimenti non meno importanti.

Un gruppo quindi in divenire che non si accontenta di fare poesia ammaliante su carta, ma suona come un vero e proprio diario aperto dove il tempo scorre inesorabile e quegli attimi di luce lontana, sembrano i riflessi di un giorno che mai verrà, un raccontare quindi il presente con ironia senza tralasciare il significato insito nelle loro canzoni.

Tre cover diverse disegnate per l’occasione per un rock elettro acustico condito da sprazzi di vera e propria originalità che ammorbidisce i giorni e consegna nuova speranza.

Gianluca Secco – Immobile (BProduzioni)

Una voce in primo piano che si divincola, scalda, si prende cura, ti fa compiere vorticose planate nel cielo fino a rendere la timbrica malleabile per future aspirazioni, coinvolgendo, rischiando, vivendo.

Un viaggio dentro la voce, arti immobili, che non lasciano scampo, lasciano trapelare da quella follia esistenziale un concentrato di sostanze che guardano ad una città in decomposizione, distrutta e poi una luce ammaliante che colpisce e ci rende partecipi del dopo catastrofe, del rinnovamento, del ritorno il tutto amalgamato da sovraincisioni passeggere.

Un disco dal sapore teatrale che si racconta, una spiegazione continua di note e testi che non lasciano nulla al caso, ma si fanno portatori di valori dimenticati; un Lato A e un Lato B specchio repentino del cambiamento che ci riporta ad un vinile d’altri tempi, alla suggestione, al contatto dei corpi, alla parte lesa che ritorna ad essere nuova vita.

Titoli assai diretti Grido, Fame, Voce, Vertigine, Lento, Sapone; la calma, la quiete contrapposta all’errare nudi in un triste cammino, carichi di rabbia, ma carichi anche di speranza, laggiù oltre l’orizzonte.

Silenzio & Sexy – Gentile Sempre (BProduzioni)

Una ventata di freschezza nelle produzioni italiche che certo non guasta per capacità espressiva, buon gusto e finalità ottenute innescando una formula semplice e poco usata dai musicisti, un gruppo che va diritto al succo del discorso senza strafare, senza comporre arrangiamenti memorabili, ma riflettendo un’esigenza di lasciare i pezzi sorretti da un’impalcatura a tratti scarna che regge comunque una qualità di fondo da far invidia a gran parte delle uscite discografiche odierne.

Il packaging è alquanto strano e la grafica non rispecchia molto l’immagine che mi sono fatto del disco, ma questo poco importa per IndiePerCui, in quanto mi trovo difronte ad un concentrato di canzoni ben riuscite che non sfigurano, anzi, si concedono il lusso di andare oltre la poesia, in un immaginario che ci coinvolge e ci racconta le piccole difficoltà di ogni giorno, con una velata ironia; improbabile capacità, che con il trio in questione riesce ad esplodere e a colorare le grigie giornate quotidiane.

Un disco di indie pop prettamente acustico con sferzate di elettrica energia che innesca dentro all’ascoltatore un bisogno da colmare; canzoni come Panico, Signor Pianeta, Psicopatico, passando per Suora Zen e Ad esempio sono il risultato di una scelta multiforme e variegata che mescola in modo egregio il cantautorato agli ukuleli, le macchine da scrivere ai mixer del passato dando tono e carattere a una composizione che di per sé risulta alquanto gradevole.

Menzione speciale ai capolavori sonori  Trasparente e Autobus 37, quest’ultima scritta alle 7 del mattino in onore di Agide Melloni che guidò l’autobus durante la strage di Bologna per 15 ore di fila nel tragitto stazione/ospedale per portare in salvo i feriti.

Un disco dal notevole impatto, canzoni che ti entrano e non ti lasciano andare via, si annidano sotto la pelle e ti entrano nel sangue, fanno parte di te e tu di loro: una giostra dai colori vintage che non smette di girare.

 

Noon – Noon (Autoproduzione)

Questo è un disco per fiori forti che stanno sbocciando, lasciando la neve al suolo per ricondurti a qualcosa di più vero, in stato emozionale, contorte visioni del futuro, li in mezzo ad un campo tra la terra e il sole, in mezzo a  quei fiori che stanno per crescere.

Sono i Noon e con questo primo ep ci fotografano all’interno di paesaggi nordici dove le incursioni sonore post rock cantate in italiano, si stagliano al suolo con reminiscenza affamate di Camilla che incontrano i milanesi Les Enfants per ricreare un mondo prima sommerso, quattro racconti di vita che si dipanano su ciò che ora non abbiamo più, su ciò che ancora è lontano, su quello che ancora speriamo di avere.

Titoli criptici citando i non lontani musicalmente Sigur Ros e trovandosi uno spazio vitale in cui vivere tra pop emozionale e rock in divenire cha fa di questo mini album un grande trampolino di lancio per soddisfazioni future.

Valdaro è citazionismo puro, è il Battisti che corre a fari spenti nella notte è annientamento delle aspirazioni, Scatola #1 racchiude un mondo quotidiano pieno di attimi e di paure, Cerbero è traghettare le anime all’inferno o forse ci siamo già? Chiude il disco Duluth con echi primordiali di poesia sussurrata che sia apre fragorosa nel finale.

Un disco dalle forti ambizioni che rende necessario un approfondimento per questa band, gruppo che  possiede tutte le carte in regola per entrare a pieno titolo nelle future migliori proposte della nostra penisola, coniugando la sofferenza con il divenire, l’introspezione con l’amore.

BluDiMetilene – La Rivolta (GoodFellas)

Passare il confine, scoprire che quello che trovi è solo un baratro di oscurità, un baratro dove tutto sembra vicino e inesorabile si dimostra distante, lontano da noi, lontano dagli occhi e dal nostro cuore di pietra; ecco allora che dal nulla troviamo la speranza, quella speranza che sembrava perduta, la troviamo in una sola parola: Rivolta.

La Rivolta è il nuovo disco dei BluDiMetilene, che grazie a questo concept album ben studiato, portano in scena un’interessante visione della realtà che si innesca e si interseca prepotentemente con chi sta ascoltando, immaginando territori ostili da cui uscire, da cui fuggire e dove il voltarsi indietro sarebbe solo un’unica spinta vorticosa verso il basso.

Quello che il gruppo però ci racconta è ben altro perché il costrutto del disco non è un viaggio immaginario, ma una lotta continua alla società, oggi più che mai disorientata, alla ricerca di valori perduti e in bilico con la necessità di ricrearsi, di ritrovare se stessa e in qualche modo di ricostruire un mondo che la società ha portato alla catastrofe.

Suoni rock internazionali che mescolano grunge ad un qualcosa di più tangibili, fresco e vigoroso, che trasmette energia e che in qualche modo collassa al suolo come meteora creando al proprio passaggio un cratere di cambiamento.

Uomini dei noi non siamo più e tutta la poetica è incentrata sul bisogno di reagire quando l’aria manca, quando noi non siamo più noi stessi.

12 tracce di puro rock esistenziale che parlano del nostro io introspettivo che cerca un inizio dopo la fine, ancora una volta.

 

La sindrome di Kessler – La sindrome di Kessler (Goodfellas)

La sindrome di Kessler

Un disco ricercato, ambizioso e perfettamente in tema con le sonorità chiaroscurali che intrecciano cantato narrato a distinzioni che non vogliono fermarsi alla prima associazione, ma che si rendono necessarie per compiere il miracolo sonoro.

Artigiani del suono si possono definire i campani La sindrome di Kessler che grazie al loro disco si impadroniscono di una capacità letteraria fuori dal comune per imprimere con arguta decisione un suono mutevole e cangiante, caratteristica tipica di una band che non si accontenta, ma che vuole trovare sempre e comunque nuove forme di comunicazione da avvicendare ad un suono ben calibrato.

Il disco omonimo è un movimento costante e fluente, capace di incrociare il miglior grunge a suoni legati ai primi Afterhours, Marlene Kuntz e ai primi Scisma di Benvegnù, un album pieno e sorprendentemente ricco di quella rabbia giovanile che incita alla rivolta sempre e comunque e aiuta a combattere e a resistere, dall’alto dell’apatia mistica che sovrasta senza nulla dare, incide profondamente su chi crede troppo e su chi perde la coscienza e qualsiasi aspirazione.

I nostri entrano prepotentemente con Fanfarlo a definire un mondo si solitudine per poi via via concedersi ad amori non corrisposti e a parabole che si fanno desideri concreti per un mondo migliore; si accarezzano poi Sinuose alterazioni tra la chitarra che si fa sentire e graffiante concede spiragli fino alla fine, fino al nuovo giorno.

La sindrome di Kessler  rimescola le carte in tavola per reinventarsi ancora una volta, tra il già sentito certo, ma tendendo a nuove possibilità da raggiungere.

Tic Tac Bianconiglio – Il volto di Lewis (Autoproduzione)

Discendere in un abisso discostante popolato da creature oscure, un concentrato di profondità da cui fuggire, ma che inesorabilmente ci consegnano la verità che non riusciamo a comprendere.

I Tic tac bianconiglio con questo nuovo disco ci rendono partecipi di un esperimento che porta a riflettere sul lato più oscuro della nostra anima, ci porta a guardare dentro allo specchio della nostra vita per vedere se ancora qualcosa resta, se ancora quel che sembra è effettivamente l’essenziale.

Una voce malata quella di Cristina Tirella che ci fa entrare in un vortice di tensione pronto ad esplodere in incursioni sonore di chitarre in deflagrazione cosmica suonate da Armando Greco ricordando post rock, con piglio new wave, nell’oscurità buia della caverna dell’anima.

Ispirato al mondo di Alice di Carroll questo disco è una discesa negli abissi più profondi di ognuno di noi, una continua ricerca atta alla purezza e alla bellezza, rivolta a scoprire quello che ancora riteniamo profano in un bagliore continuo di luce.

Priscilla Bei – Una Storia vera (Autoproduzione)

Entrare in punta di piedi in un mondo delicato, fatto di piccole cose che si trasformano in sostanza, in energia da poter vincolare, ma allo stesso tempo in passi da incidere in un incedere della vita che non sempre risulta dolce e sincero, ma si porta appresso le vicissitudini, le ansie e gli abbandoni, gli stretti contatti persi in un giorno quieto d’autunno.

Priscilla Bei regala un album di cartapesta, un album aperto alla vita dal colore cartone, pastelli da appendere sul filo dei ricordi a ricomporre un viaggio dentro al passato, alla memoria che appartiene a tutti Noi, un cammino fatto di sogni, conquiste e paure.

Il passare delle stagioni in queste cinque canzoni è scandito da acquarelli leggeri che riempiono, lasciando qua e la sprazzi di luce bianca.

La voce delicata si sposa perfettamente al pop jazz sopraffino fino a condurci alla creazione di una musica che non è semplice intrattenimento, ma che richiude in se una variegata miscela di colori che si sposa bene con il suono creato da Giacomo Ronconi alla chitarra, Nicola Ronconi al contrabbasso, Antonio Vitali alla tromba e Daniele Leucci alle percussioni.

Un disco che denota classe, un pizzico di follia e tante buone intenzioni, una storia che potrebbe essere tranquillamente la nostra, una storia da raccontare, Una Storia Vera.

Luca Loizzi – Canzoni quasi disperate (Autoproduzione)

Queste sono tutt’altro che Canzoni quasi disperate, anzi, sono delle vere e proprie perle che omaggiano il tempo che trascorre dietro di Noi.

Un turbinio di suoni acustici e strumenti ben suonati, che anche solo per un momento, ci fanno assaporare quel cantautorato malinconico, ma vivo e presente come fosse un suono a noi famigliare.

Dopo il primo album pubblicato con Puglia Sounds Records, il nostro Luca Loizzi si cimenta in una prova ricca di armonie perpetue dove a farla da padorne è quell’esigenza di chiudere un cerchio che si apre inevitabilmente con le esperienze della vita e trova come sola via di fuga il viaggio, tra personaggi stralunati e testi taglienti che si ripercuotono in un pensiero condiviso.

Il cantautore si fa quindi cantastorie e dopo numerose collaborazioni che lo portano ad una crescita personale il nostro si permette il lusso di fondere il proprio stile con la canzone francese e la tradizione cabarettistica d’alta scuola italiana.

Ecco allora che sembra di stare dentro ad un circo ipnotico, pieno di parole dove trarre giovamento; bellissima E se per caso che si dipana in folkeggiamenti fino ad Estate di merda di Fumarettiana memoria che porta al finale di Valzer senza nome.

Un disco da spiagge deserte dove raccontare un’estate che non c’è più e dove sperare che qualcosa si veda, di nuovo, là, oltre l’orizzonte.