Jasmine gli Sbalzi – Fellem Potoane (Big Lakes)

Punk rock che si getta al suolo e colpisce come proiettile a lacerare gli ideali precostituiti e inventati, troppo amari, troppo lisergici e abbondantemente sudanti vita, tanto da confezionare un disco che è una sperimentazione viva di un punk trasformato che attinge direttamente le proprie idee e le sue profonde radici nella ferrettiana memoria dei primi CCCP a comprimere un’esigenza materiale di raccontare il nostro mondo raccolto tra le macerie del tempo, in una continua evoluzione che è puro attimo di vita vissuta e racconto tracotante desiderio di essere ancora un giovane fuoco d’artificio che inonda l’aria di meraviglia.

A due anni di distanza dal primo EP, La fine dell’eternità, i nostri Jasmine gli Sbalzi continuano il loro percorso incisivo di studio legato all’improvvisazione, il tutto caratterizzato da una forte capacità intrinseca e diretta nel raccontarsi in interludi e tripudi, con un singolo, Mi sento Mario, che è la summa del loro concetto di invettiva, pronto a scaricare al suolo i paradossi di questa società, in mezzo alla passione, legata alla sopravvivenza, grazie anche ad un punk rock introspettivo e corale  che mescola di continuo le carte nel mazzo, per regalarci attimi di purezza esistenziale da ascoltare ad altissimo volume.

Lush Rimbaud – L/R (Bloody Sound Fucktory & fromSCRATCH Records)

Lush Rimbaud è il suono della poesia elettronica, quel salire sul palco e immaginarlo ricoperto di luci crepuscolari che ci sommergono e ci indicano la via da seguire, un paesaggio buio e qualche fascio perpendicolare alla nostra testa che ci porta verso il cielo, verso l’ignoto; evocazione sonora di un tempo criptico e introspettivo, dal sapore martellante della new wave e dalla sincope continua che caratterizza produzioni più moderne.

I marchigiani si rinnovano e si concentrano sulla formula less is more, partendo dalle cose semplici, quasi togliendo l’inutile e dilatando i tempi verso concetti che si fanno via via sempre più ampi e divulgativi: Massive Attack che incontrano i Portishead lanciando sguardi glaciali verso la poesia islandese anche se a fare da tema portante del tutto è l’oscurità con i propri sogni e i propri incubi.

Incubazione quindi perfetta, gestazione e cambio in divenire di stile e sostanza che parte con Marmite per raggiungere alte vette sonore con il finale Dark Side Call in un perpetuo atollo solitario che si domanda e racconta nei testi ciò che si vede nell’aldilà, dopo la fase rem, un dipinto di De Chirico che si muove tra chiaro scuri esistenziali e concentrici.

Ecco allora che il vuoto viene riempito dalla spazio circostante e l’atterraggio versò ciò che non conosciamo sta per avvenire, le mutazioni sono dietro l’angolo e ciò che ci aspetta oltre il sonno si racconta e si fa raccontare quasi rendendoci partecipi di questa meraviglia a occhi aperti.

The chairs – Stanze Vuote (Alka Record Label)

Stanze vuote nel tempo, sono i ricordi, quelli che ci restano dentro, ma che non sono più tangibili, appaiono nella mente come un fugace bagliore e poi inesorabili se ne vanno lasciando indietro magari qualche lacrima di nostalgia.

La rock band marchigiana The Chairs racconta momenti di vuoto nel loro nuovo disco Stanze vuote per l’appunto, approdando ad una forma canzone che si divide tra cantato italiano e inglese, quasi fosse un’esigenza, che vede l’essenzialità del testo rispetto alla musica in alcune parti del disco, viceversa la lingua straniera si insinua lasciando spazio alle incursioni sonore dimenticando tutto il resto, in altre.

Questo album parla di come cambiamo nel corso degli anni, di come ci facciamo grandi belli e forti e allo stesso di tempo di quanto facile è cadere inaspettatamente, un disco che parla di cammini in salita e strade da percorrere non sempre facili.

Il tutto suona rock si, ma non troppo alternativo, diciamo un classic rock da classifica con cantato al femminile che ammicca, facilitando l’ascolto e abbordando il tutto con riff sonori di imminente impatto.

Elisa che si scontra con Shirley Manson lasciando al vento tutto ciò che ancora non è concesso di conoscere e di respirare.

Si parte con Effe per finire con la title track Stanze vuote, in un continuo perdersi e ritrovarsi, assaporando i momenti, viaggiando con la mente.

La Clè – Via dalla routine (Autoproduzione)

copertina la clè

E’ un pugno allo stomaco l’album dei La Clè, formazione marchigiana che per sonorità ricorda i primi Litfiba e Negrita con tocchi internazionali e divagazioni post core e hard rock di suoni americani distorti e voce piena e comunicativa.

Il loro lavoro parte dal concetto di affrontare la realtà in modo diverso e questo “Via dalla routine” ne è l’esempio:  uno specchio dove poter lavare via la propria anima sporca di dolore e rabbia, di sogni infranti e pomeriggi andati a male.

Il suono è granitico e al basso e batteria, Nicola Serrani e Enrico Biagetti, fanno la loro meritata figura impreziosendo il tutto da cambi di ritmi consacrati al non troppo, ma fatto bene.

Michelle Bellini alla chitarra, per approccio costituisce parte integrante del gruppo, utilizzando sonorità che si intersecano tra ’70 e ’90, percorrendo sentieri post-punk in pezzi come “Ricomincio dal mi”.

In “Segno d’acqua” si disturbano involontariamente Gentle Giant e Yes o ancora meglio i nostri conterranei “Le Orme” riportando in voga usanze dimenticate che per una rock band sono marchio di fabbrica, nonché segno distintivo.

Infatti il loro pensiero di fondo abbraccia l’idea di un concept album che per certi versi viene toccato attraverso canzoni quali “La fine del mondo”, “Cose pop” e “Vivo” confluendo in un unico fiume che scorre trasportando acqua dalla foce alla sorgente.

Si perché questo è un percorso al contrario, si parte dalla chioma dell’albero per arrivare alle sue radici, solo così facendo potremo fuggire via dalla routine.