Influenze di un oceano passato sdoganato tra navi e uccelli in volo capaci di tramutare la marea e condensare quel poco che avanza in pioggia sovrabbondante a ricoprire i campi, a sperare in un raccolto migliore e a disegnarci diversi almeno per una volta.
L’introverso è una band milanese che al secondo disco esplode, esplode di rabbia e malinconia per ciò che mai saremo e si trasforma in un qualcosa che prende forma lungo l’ascolto degli undici pezzi presenti, tra un rock d’oltremanica che abbraccia gli anni ’90 in modo appariscente, quasi copiato, ma che si appropria di uno stile unico quando parte la voce; il cantato convince raccontandoci di un mondo opulento visto dalla periferia, sottolineando le proprie radici e le proprie aspirazioni, ben lontane dai mondi patinati dei giornali e della Milano bene.
Un disco che racconta di come la vita sia accompagnata dalle distorsioni quotidiane abbondandoci di inutilità svelata che dobbiamo con forza, ogni giorno, cercare di lasciarci in disparte.
Prodotto artisticamente da Davide Autelitano dei Ministri, il disco apre con la bellezza sopraffina di Tutto il tempo per avanzare sempre più fino al gran finale di Una primavera, alla ricerca di tutte le cose perse, del tempo perduto e di quelle emozioni dell’indole umana che sono parti vitali di qualsiasi infinito.